IL SACRAMENTO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI

 

A CURA DI DON ENRICO FINOTTI
 
 
I        Il «mistero» dell’Unzione degli infermi
 
Come per ogni altro Sacramento, occorre, anche per il sacramento dell’Unzione degli infermi, innanzitutto individuare l’evento soprannaturale, che si compie sotto il velo dei riti e dei simboli; ossia quel mistero di grazia che, per ritus et preces nella potenza (virtus) dello Spirito Santo, si realizza nelle anime dei fedeli. Tale mistero lo si comprende alla luce dell’esempio del Signore e degli Apostoli, che consegnarono alla Chiesa il loro stesso ministero di guarigione.
 
1.    L’attività taumaturgica del Signore e degli Apostoli
 Un aspetto fondamentale della vita pubblica del Signore, trasversale in tutte le sue manifestazioni, è l’incontro con ogni genere di sofferenza, che dà l’occasione al Signore di operare numerosi e grandi miracoli:
    «Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva (Lc 4, 40).
   «C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti (Lc 6, 17-19).
Inoltre, Gesù stesso invita i messaggeri, inviati da san Giovanni Battista, a considerare i suoi miracoli quale prova della sua messianicità:
   «Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!» (Lc 7, 20-23).
Negli Atti degli Apostoli si riassume l’opera del Signore con queste parole:  
    «Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza, Gesù di Nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (At 10,36). 
Gesù ha una cura continua e privilegiata per gli ammalati e il suo intervento taumaturgico unisce sempre la guarigione dalle malattie e infermità del corpo con la remissione dei peccati, che opprimono l’anima degli uomini peccatori. Non a caso, dopo aver risanato il corpo, con uno sguardo divino che penetra nell’interiorità dell’anima, dichiara: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (Mc 2,5) e si congeda dai miracolati con il monito: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv 5, 1-15).
Questo collegamento intrinseco tra il peccato, che insidia l’anima, e la malattia, che debilita il corpo, è importante per capire l’effetto del sacramento dell’Unzione, il quale non mira solo al sollievo dalle sofferenze fisiche o alla stessa guarigione, ma rimette anche i residui del peccato, sollevando l’anima dall’oppressione dovuta alle conseguenze dei peccati.
Gli Apostoli ricevono dal Signore il medesimo suo ministero taumaturgico, quando, inviandoli in missione, include, in modo specifico, anche la cura dei malati, mediante l’imposizione delle mani, come fece lui:
   «E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16, 17-18).
È importante al riguardo l’allusione dell’evangelista Marco all’unzione con l’olio:
  «E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano» (Mc 6,12-13).
La Chiesa nel corso dei secoli ha sempre obbedito al Signore organizzando una costante attenzione e cura verso gli ammalati e i sofferenti, adattando alle molteplici circostanze storiche, ambientali e sociali i suoi interventi sul piano naturale e soprannaturale. Tale azione benefica e salvifica raggiunge, nel sacramento dell’Unzione degli infermi, il suo vertice sacramentale.
 
2.    La malattia e la morte corporale, segni del peccato originale
È importante ritenere, alla luce della sacra Scrittura, come l’origine della sofferenza e della morte sia nel peccato originale. Senza questo imprescindibile dato della divina Rivelazione non si potrebbe comprendere, né la lotta del Signore contro le malattie e la morte, né il legame intrinseco, nei suoi miracoli, tra la guarigione corporale e la remissione dei peccati.
       «Non si può negare che ci sia uno stretto rapporto tra la malattia e la condizione di peccato in cui si trova l’uomo; ma sarebbe un errore il considerare la malattia stessa, almeno in linea generale, come un castigo di peccati personali (cfr. Gv 9,3)»[1].
Se il Signore si commosse profondamente e pianse davanti al sepolcro di Lazzaro e davanti al figlio morto della vedova di Naim e alla figlia di Giairo e, soprattutto se provò un’angoscia mortale nell’agonia che precedette la sua Passione, significa che la morte e il dolore non sono conformi al piano originale della creazione voluto dal Creatore. Con le sue lacrime il Signore attesta ciò che è scritto nel libro della Sapienza: «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sap 2, 23-24)). Per questo anche la Chiesa, fedele al comando del Signore, combatte contro ogni malattia riconoscendo nel dolore e nella morte corporale le conseguenze dell’antica disobbedienza di Adamo.
Al contempo il Signore sa che ogni sofferenza è frutto dello stato di peccato in cui versano gli uomini e per questo realizza una sanazione profonda che implica il perdono dei peccati. Non vi é vera salvezza se l’anima stessa non viene lavata dal peccato e ristabilita nello stato di grazia santificante. Ed ecco il motivo per cui nostro Signore, quasi con un intercalare immancabile, dopo i suoi miracoli di guarigione, esclama: «Va’, e d’ora in poi non peccare più!» (Gv 8, 11). Risulta allora evidente perché nell’intera storia del sacramento dell’Unzione degli infermi la Chiesa non abbia mai separato l’effetto del sollievo corporale nella malattia, dalla completa remissione dei peccati e della pena temporale per i peccati commessi, in modo che l’anima stessa ne riceva sollievo e salvezza.
 
3.    Un duplice effetto: il sollievo dalla malattia e il perdono dei peccati
A questo punto è facile intendere lo stretto legame, che la Chiesa ha sempre considerato, tra il sacramento della Penitenza e il sacramento dell’Unzione degli infermi. Nel concilio Tridentino la dottrina, relativa a questi due sacramenti, è esposta in un unico decreto e in essa si afferma che l’Estrema Unzione porta a perfezione quella remissione dei peccati, che, ordinariamente, é già ricevuta mediante il sacramento della Penitenza. Infatti, col sacramento dell’Unzione, ricevuto possibilmente dopo la Confessione sacramentale, vengono tolti i residui dei peccati commessi, soprattutto quando il sacramento é amministrato nel momento estremo della vita terrena, prima di varcare la soglia dell’eternità. Sono illuminanti le dichiarazioni del Tridentino, che intende questo sacramento come «Estrema Unzione» nel pericolo di morte imminente:
      « Il santo sinodo ha ritenuto di aggiungere alla precedente dottrina sulla penitenza ciò che segue sul sacramento dell’estrema unzione, considerato dai padri come il perfezionamento, non solo della penitenza, ma di tutta la vita cristiana, che deve essere una perpetua penitenza»[2].
 
 
II       Il «sacramento» dell’Unzione degli infermi
Secondo la classica affermazione di san Leone Magno: «Ciò che era visibile nel nostro Redentore é passato nei sacramenti della Chiesa», l’evento misterico sopra descritto a riguardo del rapporto del Signore con la malattia si attualizza nel Sacramento dell’Unzione degli Infermi.
 
1.    L’istituzione di Cristo
Il Concilio tridentino ha definito innanzitutto l’appartenenza dell’Unzione degli infermi al novero dei sette Sacramenti: tale azione sacra è un «Sacramento vero e proprio»:
     «Questa unzione degli infermi è stata istituita come vero e proprio sacramento del nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo »[3].
Inoltre ha dichiarato la sua promulgazione da parte dell’Apostolo Giacomo:
     «Accennato da Marco, (Mc 6,13) è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore. “Chi è malato, dice, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Gc 5,14-15) »[4].
 
2.    La materia, la forma e il ministro
Quanto alla materia e alla forma il Concilio Tridentino afferma:
      « Con queste parole [Gc 5,14-15], così come la Chiesa ha imparato dalla tradizione apostolica, trasmessa di mano in mano, egli insegna la materia, la forma, il ministro proprio e l’effetto di questo salutare sacramento. La chiesa, infatti, ha riconosciuto che la materia è l’olio benedetto dal vescovo, poiché l’unzione rappresenta in modo perfetto la grazia dello Spirito santo, da cui l’anima dell’ammalato viene unta invisibilmente e che la forma sono le parole: Per questa santa unzione, ecc. »[5].
Quanto al ministro:
       « Quanto alla determinazione di coloro che devono ricevere e amministrare questo sacramento, anche questo è stato indicato chiaramente nelle parole citate [Gc 5,14-15]. Infatti, ivi si mostra che ministri propri di questo sacramento sono i presbiteri della Chiesa, nome con cui si devono intendere, in questo passo, non i più anziani o più ragguardevoli del popolo, ma i vescovi, o i sacerdoti da essi regolarmente ordinati con l’imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri (1 Tm 4,14)»[6].
 
3.    Gli effetti di questo sacramento
Il Concilio tridentino enumera tre effetti fondamentali: l’espiazione dei peccati (effetto penitenziale), la forza nella lotta contro il demonio (effetto esorcistico), il sollievo corporale fino alla stessa guarigione se giova alla salvezza dell’anima (effetto terapeutico):
       «La realtà e l’effetto di questo sacramento sono spiegati dalle parole: la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso dei peccati gli saranno perdonati. Questo effetto è dunque la grazia dello Spirito santo, la cui unzione lava i peccati, se ve ne fossero ancora da espiare, e ciò che resta del peccato; solleva e rafforza l’anima del malato, suscitando in lui una grande fiducia nella divina misericordia. L’infermo per il sollievo ricevuto sopporta più facilmente le sofferenze e le pene della malattia, resiste più facilmente alle tentazioni del demonio che insidia il suo calcagno, e qualche volta, se ciò può giovare alla salvezza dell’anima, riacquista la salute del corpo»[7].
Il Catechismo maggiore di san Pio X espone gli effetti del Sacramento in modo ancor più chiaro e dettagliato:
       «Il sacramento dell’Estrema Unzione produce i seguenti effetti: 1. accresce la grazia santificante; 2. cancella i peccati veniali, e anche i mortali che l’infermo pentito non potesse più confessare; 3. toglie quella debolezza e languore per il bene, la quale rimane anche dopo aver ottenuto il perdono dei peccati; 4. dà la forza di sopportare pazientemente il male, di resistere alle tentazioni e di morire santamente; 5. aiuta a ricuperare la sanità del corpo, se sia utile alla salute dell’anima»[8].
Il rituale vigente afferma:
       «Questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua  salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo, e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano»[9].
 
4.    Chi può ricevere il sacramento e quando riceverlo
Il Concilio tridentino dichiara:
       «Si dice anche [in Gc 5,14-15] che questa unzione deve essere amministrata ai malati, specialmente a quelli così gravi da sembrare in fin di vita: per questo si chiama il sacramento dei moribondi. Ma se, ricevuta questa unzione, gli ammalati guariranno, essi potranno ancora giovarsi dell’aiuto di questo sacramento, quando versassero un’altra volta in pericolo di vita»[10].
Il Concilio Vaticano II afferma:
       «L’ “Estrema Unzione”, che può essere chiamata anche, e meglio, “Unzione degli infermi”, non é il Sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte» (SC73).
Tra il Concilio tridentino e il Concilio Vaticano II vi sono due prospettive diverse, ma complementari. Mentre il Tridentino accentua la recezione del sacramento della sacra Unzione in extremis (Estrema Unzione), come congedo del cristiano da questa vita; il Vaticano II induce al ricorso più frequente al sacramento per accompagnare, col sostegno della grazia soprannaturale, le fasi più acute della malattia grave. Il Vaticano II, infatti, mette in luce il valore del sacramento anche nella sua funzione di cura dei malati nel corso di una grave malattia o età avanzata.
La diversa accentuazione risulta anche dal nome dato al Sacramento: il Tridentino lo chiama Estrema Unzione, mentre il Vaticano II, senza escludere tale nome, preferisce Unzione degli infermi.
Tra le due discipline ammesse dalla Chiesa certo non vi può essere contraddizione, ma si deve riconoscere una complementarietà, che offre con più abbondanza la grazia del sacramento.
Infatti, né manca al Tridentino la possibilità di una ripetizione del Sacramento ogni volta che si presenta la necessità, né manca al Vaticano II la raccomandazione di amministrare il sacramento in extremis nel contesto del Viatico.
Ciò si può comprendere in analogia con la santa Comunione, che presenta un uso ordinario e quotidiano per l’alimentazione della vita della grazia e un uso straordinario e specifico quando è portata come Viatico nel momento estremo della vita terrena. Infatti, come il Viatico ha un carattere unico rispetto alle precedenti Comunioni, in quanto il Sacramento è dato come cibo per l’ultimo viaggio, così l’Estrema Unzione ha un carattere unico rispetto alle eventuali e precedenti altre Unzioni, in quanto l’olio degli infermi, mentre nel tempo della malattia dà il vigore necessario per la prova, in extremis dispone all’ultimo combattimento (agonia) sulla soglia dell’eternità. In tal modo si compone insieme la ripetizione dell’Unzione degli infermi nel corso di una grave malattia (cfr. Vaticano II, SC 73) con l’Estrema unzione conferita insieme al Viatico al termine della vita del cristiano (cfr. Tridentino). I due usi vanno quindi raccolti con pari opportunità: né deve venir a mancare il conforto del sacramento al malato nel corso della sua malattia, né deve venir meno in extremis la grazia del sacramento per affrontare l’agonia terminale.
 
5.    Le norme vigenti relative al sacramento dell’Unzione degli infermi
La Costituzione Apostolica con la quale il papa Paolo VI promulga la riforma del Sacramento dell’Unzione degli infermi esprime con chiarezza la modalità e le condizioni essenziali per il conferimento valido e legittimo del Sacramento:
        Il sacramento dell’unzione degli infermi si conferisce a quelli che sono ammalati con serio pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio d’oliva o, secondo l’opportunità, con altro olio vegetale, debitamente benedetto, e pronunciando, per una volta soltanto, queste parole: «Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. Amen. E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi. Amen». Tuttavia, in caso di necessità, è sufficiente compiere un’unica unzione sulla fronte oppure, in particolari condizioni dell’infermo, in un’altra parte più adatta del corpo, pronunciando integralmente la formula anzidetta. Questo sacramento può essere ripetuto, qualora l’infermo, dopo aver ricevuto l’unzione, si sia ristabilito e sia poi ricaduto nella malattia, oppure se, perdurando la medesima infermità, il pericolo diviene più grave[11].
Il vigente Codice di Diritto Canonico (1983) espone con precisione giuridica le norme essenziali relative alla recezione del Sacramento dell’Unzione:
                Can. 1004 – §1. L’unzione degli infermi può essere amministrata al fedele che, raggiunto l’uso di ragione, per malattia o vecchiaia comincia a trovarsi in pericolo. §2. Questo sacramento può essere ripetuto se l’infermo, dopo essersi ristabilito, sia ricaduto nuovamente in una grave malattia o se, nel decorso della medesima, il pericolo sia divenuto più grave.
                Can. 1005 – Nel dubbio se l’infermo abbia già raggiunto l’uso di ragione, se sia pericolosamente ammalato o se sia morto, questo sacramento sia amministrato.
                Can. 1006 – Si conferisca questo sacramento a quegli infermi che, mentre erano nel possesso delle proprie facoltà mentali, lo abbiano chiesto almeno implicitamente.
                Can. 1007 – Non si conferisca l’unzione degli infermi a coloro che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto.
 
Considerazioni pastorali:
1.    L’Unzione degli infermi è un Sacramento e non una comune benedizione.
È importante rilevare che in ciascuno dei sette Sacramenti l’azione sacra ha come soggetto agente il Signore stesso, che interviene con infallibile efficacia ex opere operato. Questa peculiarità, esclusiva e tipica dei soli sette Sacramenti, fà sì che anche nel sacramento dell’Unzione sia il Signore stesso, che, mediante il sacerdote e la sacra unzione, accompagnata dalle parole sacramentali, si rende presente all’infermo per effondere su di lui la virtus risanatrice che pervade, sia il corpo malato, come l’anima debilitata dai residui dei peccati. È necessario che l’ammalato, il sacerdote e tutti gli altri fedeli presenti abbiano sufficiente percezione di questa mirabile presenza ed azione salvatrice del Signore, che non si realizza, con questa intensità, sicurezza ed efficacia, nelle altre azioni liturgiche o preghiere private, per quanto siano intense e partecipate. Occorre allora vigilare affinché il sacramento dell’Unzione degli infermi non venga ridotto ad una comune benedizione, impartito a persone non seriamente ammalate e con una frequenza non conforme alla sua natura specifica e allo stato reale di vera necessità secondo la costante tradizione della Chiesa.
Le precisazioni del rituale vigente inducono ad una valutazione seria dello stato di salute dell’infermo per non indulgere ad un uso inconsulto del sacramento:
      «L’unzione si deve dare agli infermi, dice l’epistola di san Giacomo, perché ne abbiano sollievo e salvezza. Con ogni premura quindi e con ogni diligenza si deve provvedere al conferimento dell’unzione a quei fedeli, il cui stato di salute risulta seriamente compromesso per malattia o per vecchiaia. Per valutare la gravità del male, é sufficiente un giudizio sufficiente o probabile, senza inutili ansietà; si può eventualmente interpellare un medico»[12].
 
2.    Lo stretto legame tra l’Unzione e la Penitenza.
Dal momento che è necessaria la Confessione nel caso di peccati mortali e il sacramento dell’Unzione non ha lo scopo di rimettere direttamente tali peccati, è necessario educare i fedeli a predisporsi alla recezione del sacramento mediante il sacramento della Penitenza, in modo da poter ricevere l’Unzione in modo il più possibile fruttuoso. La necessità dello stato di grazia è ribadito dal Can. 1007:
      «Non si conferisca l’Unzione degli infermi a coloro che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto».
Il Catechismo di san Pio X distingue i sacramenti dei vivi dai sacramenti dei morti:
       «Questi due sacramenti, cioè il Battesimo e la Penitenza, si chiamano perciò sacramenti dei morti, perché sono istituiti principalmente per ridare alle anime morte per il peccato la vita della grazia»[13].
Invece:
       «Questi cinque sacramenti, cioè la Cresima, l’Eucaristia, l’estrema Unzione, l’Ordine Sacro ed il Matrimonio si chiamano sacramenti dei vivi, perché quelli che li ricevono, devono essere senza peccato mortale, cioè già vivi alla grazia santificante» [14].
L’unzione degli infermi, dunque, è «sacramento dei vivi», ossia richiede lo stato di grazia santificante, e, in tal senso, se è necessario e se l’infermo è in possesso delle sue facoltà mentali e fisiche, è tenuto a premettere al sacramento dell’Unzione il sacramento della Penitenza.
 
 
 
 
[1] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, (1972), Premesse, n. 2.
[2] Concilio Tridentino, Sessione XIV, 25 nov. 1551, Dottrina sul sacramento dell’estrema unzione, Introduzione, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1990, p. 710.
[3] Idem.
[4] Idem. cap. 1°
[5] Idem, cap. 1°
[6] Idem, cap. 3°
[7] Idem, cap. 2°
[8] SAN PIO X, Catechismo Maggiore, Parte IV, Cap. VII, n. 809.
[9] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, (1972), Premesse, n. 6.
[10] Concilio Tridentino, Sessione XIV, 25 nov. 1551, Dottrina sul sacramento dell’estrema unzione, Introduzione, cap. 3°, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1990, p. 711.
[11] PAOLO VI, Costituzione Apostolica La sacra Unzione degli Infermi, 30 novembre 1972.
[12] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, (1972), Premesse, n. 8.
[13] SAN PIO X, Catechismo Maggiore, Parte IV, Cap. I, n. 541.
[14] SAN PIO X, Catechismo Maggiore, Parte IV, Cap. I, n. 543.