- Messa Crismale
- Giovedì Santo: Messa in Coena Domini
- Giovedì Santo: Lavanda dei piedi
- Giovedì Santo: Altare della Reposizione
- Giovedì Santo: Adorazione Eucaristica Comunitaria
- Venerdì Santo: Passione e Morte del Signore Nostro
- Venerdì Santo: Adorazione Eucaristica
- Venerdì Santo: Con Maria sotto la Croce
- Venerdì Santo: Azione Liturgica
- Sabato Santo
- Veglia nella Notte della Resurrezione
- Pasqua di Resurrezione del Signore
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Il Triduo della Passione e della Risurrezione del Signore risplende al vertice dell'anno liturgico, poiché l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale, col quale, morendo, ha distrutto la nostra morte, e risorgendo, ci ha ridonato la vita.
La preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la Pasqua nell'anno liturgico.
Il Triduo Pasquale ha inizio dalla Messa in Coena Domini, ha il suo fulcro nella Veglia Pasquale, e termina con i Vespri della Domenica di Risurrezione.
(Norme generali per l'ordinamento dell'anno liturgico e del calendario, 18.19)
Il Triduo Pasquale, o Triduo Sacro, è l'annuale celebrazione della Pasqua in tre giorni, all'interno della Settimana Santa: nel Triduo si fa memoriale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo.
L'unità del Triduo Pasquale
Il Triduo costituisce un'unica celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo, ripartita nei tre giorni di Venerdì Santo, Sabato Santo e Domenica di Risurrezione, con la Messa in coena Domini che ne costituisce il prologo.
Il Triduo va colto nella sua unità: le varie celebrazioni che si effettuano in esso non possono essere separate, ma vanno considerate come un'unica grande celebrazione che va dalla Messa "in coena Domini" del Giovedì Santo alla Domenica di Risurrezione. "Come la passione-morte sono inscindibili dalla risurrezione, così il Venerdì santo è inscindibile dalla Domenica di Pasqua"[1].
L'unità del Triduo Pasquale è data, in senso liturgico e teologico, dall'antica celebrazione eucaristica che in esso idealmente si celebra, cioè quella della Veglia Pasquale. Nel Venerdì e nel Sabato Santo non c'è celebrazione dell'eucaristia, perché la celebrazione eucaristica del Triduo è quella che si celebra nella Veglia Pasquale, unitamente agli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana. È quindi la Veglia nella notte tra il Sabato Santo e la Domenica di Risurrezione a fare da elemento unificante dell'intero triduo. Senza questo riferimento alla Veglia, il mistero pasquale celebrato nel venerdì e nel sabato santo rimane senza chiave interpretativa, ma anche la Domenica di Resurrezione sarebbe unicamente il ricordo di un evento prodigioso e non la celebrazione della risposta di Dio alla vita donata del Figlio obbediente fino alla morte di croce.
Un secondo elemento, di tipo più specificamente rituale, segnala l'unità del Triduo Pasquale. All'interno di esso troviamo il saluto di chi presiede solamente all'inizio della Messa in coena Domini; ugualmente, vi è una sola benedizione finale e un solo "congedo alla fine della Veglia Pasquale. Più in dettaglio:
- nella Messa in coena Domini non c'è congedo, ma l'assemblea "si scioglie in silenzio";
- il Venerdì Santo la celebrazione inizia nel silenzio, senza riti di introduzione[2], e termina senza benedizione e senza congedo, nel silenzio;
- la Veglia Pasquale inizia con il lucernario, senza segno di croce e senza saluto; solo alla fine della Veglia si trova la benedizione finale e il congedo.
Tutto questo ci dice che il Triduo Pasquale è un'unica grande celebrazione che inizia con la celebrazione della sera del Giovedì Santo e termina con la Veglia Pasquale, nelle prime ore della Domenica di Risurrezione.[3]
Note storiche
L'analisi storica dello sviluppo del Triduo Pasquale mostra che nel Medioevo si verificarono alcuni sviluppi nella celebrazione del Triduo stesso che ne sgretolarono sempre più la primitiva armonia e unità. Si verificò cioè una certa decomposizione dell'unità teologica della passione-morte-risurrezione a vantaggio delle solo passione e morte del Signore, delle quali è più facile, tra l'altro, generare "rappresentazioni". Emerge inoltre una tendenza a rendere la liturgia "dramma sacro" nella stessa azione liturgica e nelle manifestazioni folcloristiche che l'accompagnano e prolungano.
Gli inizi
Gli inizi della storia del Triduo Pasquale vanno cercati nelle prime testimonianze esplicite della celebrazione annuale della Pasqua, datate alla metà del II secolo e ubicate nelle Chiese dell'Asia Minore; queste celebravano la Pasqua il 14 Nisan, giorno in cui era prescritto ai Giudei di immolare gli agnelli. Questi cristiani, chiamati appunto quartodecimani, convinti che la morte di Cristo aveva sostituito il Pesah giudaico, celebravano la Pasqua digiunando il 14 Nisan, e terminavano il digiuno con la celebrazione eucaristica che aveva luogo alla fine della veglia notturna tra il 14 e il 15 Nisan. Le altre Chiese, guidate da Roma, celebravano la Pasqua la domenica dopo il 14 Nisan.
Eusebio di Cesarea († 339/340) ci informa nella sua Storia Ecclesiastica (5,23-25) che questa diversità di date provocò una seria controversia tra Roma e le Chiese dell'Asia Minore; la polemica giunse al culmine al tempo di Papa Vittore I (189-199). La controversia non consisteva nel dilemma se la Pasqua ricordi la morte o se invece ricordi la risurrezione di Cristo, ma nel dilemma se la Pasqua debba essere celebrata nel giorno della morte o nel giorno della risurrezione di Cristo. Di fatto nel corso del III secolo si impose la data domenicale della Pasqua.
Le più antiche fonti che testimoniano la celebrazione annuale della Pasqua provengono quindi dall'area dell'Asia Minore. Le principali sono:
- l'Epistola degli Apostoli, testo apocrifo (150 ca.);
- l'omelia sulla Pasqua di Melitone di Sardi (165 ca.);
- un'omelia sulla Santa Pasqua di un Anonimo quartodecimano (fine del II secolo).
In questi documenti la celebrazione della Pasqua si presenta essenzialmente come un digiuno rigoroso, generalmente di due o tre giorni, seguito da una assemblea notturna di preghiere e letture, conclusa poi dalla celebrazione eucaristica. Risulta già in quest'epoca la lettura di Es 12 (immolazione dell'agnello pasquale).
In Occidente le testimonianze sulle celebrazioni pasquali sono scarse nei quattro primi secoli; in seguito invece, nei secoli V-VII, sono più abbondanti. Sant'Ambrogio († 397) e Sant'Agostino († 430) parlano del "triduo sacro" (o "sacratissimo") per indicare i giorni in cui Cristo ha sofferto, ha riposato nel sepolcro ed è risorto.
A Roma la celebrazione del Triduo sacro è attestata nell'anno 416 ca., in una lettera di papa Innocenzo I al vescovo Decenzio di Gubbio: pur non parlando di "triduo", Innocenzo menziona una speciale celebrazione della passione al venerdì e della risurrezione alla domenica, nonché il digiuno del venerdì e del sabato. Lo stesso documento testimonia che il giovedì prima di Pasqua non faceva riferimento alcuno al Triduo sacro, ma era il giorno della riconciliazione dei penitenti.