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- domenica | 3 dicembre 2023
San Francesco Saverio
Sacerdote gesuita
3 dicembre
Xavier, Spagna, 1506 - Isola di Sancian, Cina, 3 dicembre 1552
Nel XVI numerosi testimoni della fede compresero l’importanza di superare i “nuovi” confini geografici per portare il Vangelo là dove non era ancora giunto. Tra questi vi fu anche san Francesco Saverio, che spese tutte le sue energie per donare il messaggio del Risorto alle popolazioni del lontano Oriente, dall’India all’Indonesia, fino al Giappone. La sua memoria è un’occasione per riflettere sui confini – vicini o lontani – che oggi siamo chiamati a superare per portare la luce di Dio. Francesco Saverio era nato in Navarra nel 1506 e a Parigi aveva incontrato Ignazio da Loyola, con il quale condivise l’avventura della fondazione della Compagnia di Gesù. Nel 1540 venne mandato verso l’Oriente come missionario: mentre stava progettando di portare il Vangelo in Cina morì a causa di una polmonite sull’isola di Shangchuan nel 1552. Paolo V beatificò il Saverio il 21 ottobre 1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo 1622.
Patronato: Giappone, India, Pakistan, Missioni, Missionari, Marinai
Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: Memoria di san Francesco Saverio, sacerdote della Compagnia di Gesù, evangelizzatore delle Indie, che, nato in Navarra, fu tra i primi compagni di sant’Ignazio. Spinto dall’ardente desiderio di diffondere il Vangelo, annunciò con impegno Cristo a innumerevoli popolazioni in India, nelle isole Molucche e in altre ancora, in Giappone convertì poi molti alla fede e morì, infine, in Cina nell’isola di Sancian, stremato dalla malattia e dalle fatiche.
«Saverio, che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). Questo avvertimento di Nostro Signore è rivolto a François-Xavier (Francesco Saverio) da Ignazio di Loyola che lo commenta così: «Pensaci bene, il mondo è un padrone che promette e che non mantiene la parola. E anche se mantenesse le sue promesse nei tuoi confronti, non potrà mai appagare il tuo cuore. Ma supponiamo che lo appagasse, quanto tempo durerà la tua felicità? In ogni caso, potrà forse durare più della tua vita? E alla morte, che cosa porterai con te nell'eternità? Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» Poco per volta, questa massima entra nel cuore di Francesco Saverio e vi si imprime profondamente. Così ha inizio un percorso che farà di lui uno dei più grandi santi della storia della Chiesa.
Più che una passione
Francesco nasce il 7 aprile 1506 nel castello di Javier nella Navarra, nel nord ovest della Spagna. Nel 1512, suo padre viene condannato alla perdita dei suoi beni per aver combattuto a fianco del re di Navarra in una guerra contro la corona di Castiglia; morirà di dispiacere nel 1515. L'anno seguente, la fortezza di Xavier viene smantellata e le terre della famiglia confiscate. Quando Francesco Saverio raggiunge la maggiore età, la sua famiglia è rovinata. In questa congiuntura, la carriera delle armi non lo attira. Lasciando sua madre e i suoi fratelli nel settembre 1525 per non rivederli più in questo mondo, egli si reca all'Università di Parigi, dove alloggia presso il collegio Santa Barbara insieme a compagni dediti, per la maggior parte, a una vita poco edificante. Tuttavia, fra di essi si trovano due uomini di una pietà eccezionale, Pietro Fabro e Ignazio di Loyola. Quest'ultimo, originario del Paese Basco confinante con la Navarra, medita da qualche tempo la fondazione di un'opera santa per il bene della Chiesa; avendo constatato le qualità d'anima di Pietro e di Saverio, cerca di far loro condividere la sua ambizione spirituale. Ignazio conduce quindi Pietro Fabro a fare gli Esercizi Spirituali per trenta giorni; alla conclusione di questo ritiro, quest'ultimo è interamente conquistato alla buona causa. Per Francesco Saverio, è più difficile. È vero che, grazie ai consigli di Ignazio e di Pietro, egli si è già allontanato da relazioni sospette e ha respinto le dottrine malsane messe in circolazione a Parigi dai seguaci di Calvino. Ma il suo cuore, fiero e aperto all'attrazione di un'ambizione mondana, non prova che disgusto per la vita oscura di rinuncia esaltata da Ignazio. Quest'ultimo, fine conoscitore di anime, s'immedesima dapprima nel modo di sentire di Francesco che, diventato professore di filosofia, ambisce a una bella carriera e a un vasto uditorio. Ignazio gli trova tanti discepoli che Francesco riconosce in lui un vero amico con il quale può confidarsi. Ignazio approfitta di questa amicizia per ricordargli la vanità della grandezza e dei vantaggi di questo mondo, e la loro inutilità per la vita eterna. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima? Francesco, toccato dalla grazia di Dio, partecipa a sua volta agli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali chiede «la conoscenza intima del Signore che per me si è fatto uomo, per amarlo con maggiore ardore e seguirlo con più fedeltà» (Es. Sp. 104). Ormai, non avrà che una passione: amare e far amare Gesù Cristo.
Ben presto, al piccolo gruppo si aggiungono altri quattro studenti. Ignazio propone allora ai suoi sei compagni di donarsi più completamente a Dio e di unirsi tra loro con il legame dei voti di religione. Il 15 agosto 1534, nella cappella di Santa Maria di Montmartre, Pietro Fabro, allora l'unico prete del gruppo, celebra la Santa Messa nel corso della quale tutti pronunciano i voti perpetui di povertà e di castità con la promessa di recarsi in Terra Santa o di rimettersi alla volontà del Sovrano Pontefice. In attesa di conoscere la santa volontà di Dio, si riuniscono spesso per pregare e incoraggiarsi vicendevolmente alla pratica delle virtù.
Diritto al cuore
Il 25 gennaio 1537, i primi membri della Compagnia di Gesù si ritrovano a Venezia, ma, poiché la situazione politica rende impossibile il pellegrinaggio in Terra Santa, decidono di andare a Roma per chiedere la benedizione del Papa Paolo III. Quest'ultimo li accoglie con benevolenza e concede loro l'autorizzazione a farsi ordinare preti; questa cerimonia ha luogo il 24 giugno 1537. Poi, il gruppetto si dissemina in diverse città d'Italia. Padre Francesco viene destinato a Bologna dove si dedica all'istruzione della gene del popolo, dei malati e dei prigionieri. Non conoscendo bene l'italiano, parla poco, ma con una tale convinzione che le sue parole vanno direttamente al cuore degli ascoltatori. Alla fine del 1538, il re del Portogallo, Giovanni III, chiede a Ignazio di concedergli dei religiosi per l'evangelizzazione delle Indie. Questi, d'accordo con il Papa, mette a sua disposizione due religiosi, tra cui Francesco Saverio. Quest'ultimo viene messo al corrente solo la vigilia della partenza, il 15 marzo 1540. Come unico bagaglio, porta con sé l'abito di cui è vestito, il suo crocifisso, un breviario e un altro libro.
Dopo un viaggio di tre mesi, Padre Francesco arriva a Lisbona in compagnia di Simone Rodriguez; entrambi vengono ricevuti da Giovanni III, uomo veramente pio e preoccupato della salvezza delle anime. Attendendo di partire per le Indie, essi si dedicano al ministero delle anime nella capitale del Portogallo. La loro dedizione apostolica suscita a Lisbona una tale ammirazione che viene chiesto al re di trattenerli nel paese. Ignazio decide che Rodriguez resterà a Lisbona; quanto a Padre Francesco, partirà per le Indie. La sua partenza, in compagnia di tre giovani confratelli, ha luogo il 7 aprile 1541.
A quell'epoca, il viaggio dal Portogallo alle Indie passando per il capo di Buona Speranza è un'avventura da cui nessuno alla partenza si può vantare di uscire vivo. Se la nave non fa naufragio, le epidemie, il freddo, la fame e la sete provvedono spesso a decimare i passeggeri. Il 1° gennaio 1542, Padre Francesco scrive ai suoi fratelli di Roma: «Ho avuto il mal di mare per due mesi; e tutti hanno molto sofferto per quaranta giorni sulle coste della Guinea« Tale è la natura delle pene e delle fatiche che, per il mondo intero, non avrei osato affrontarle un solo giorno. Noi troviamo un conforto e una speranza sempre crescenti nella misericordia di Dio, nella convinzione che manchiamo del talento necessario per predicare la fede di Gesù Cristo in terra pagana». Il 6 maggio 1542, essi raggiungono Goa, sulla costa occidentale dell'India.
Primo modo di pregare
Avendo ricevuto dal Papa i pieni poteri spirituali sui sudditi dell'impero coloniale del Portogallo, Francesco Saverio arriva in India munito del titolo di «Nunzio apostolico». Egli trova a Goa una cristianità confrontata agli esempi poco edificanti di certi europei. Grazie al suo zelo, già prima della fine dell'anno, Goa appare molto cambiata; un buon numero di anime vi camminano già nella via della perfezione: Padre Francesco le sostiene esercitandole a meditare, secondo il metodo che sant'Ignazio chiama il «primo modo di pregare» (Es. Sp. 238-248). Questo modo di meditare consiste nell'esaminarsi sui dieci comandamenti di Dio, i sette peccati capitali, le tre facoltà dell'anima (memoria, intelligenza, volontà), e i cinque sensi del corpo. Vi si chiede a Dio la grazia di sapere in che cosa si siano osservati o trasgrediti i suoi comandamenti, e l'aiuto necessario per correggersi in avvenire. Il vescovo di Goa desidera che Padre Francesco prosegua a operare il gran bene che ha fatto nella città, ma quest'ultimo, spinto dallo Spirito di Dio, aspira a conquiste più vaste. Come gli apostoli, brucia del desiderio di affrontare i pericoli, le sofferenze, le persecuzioni, per conquistare il maggior numero possibile di anime a Gesù Cristo. Il governatore di Goa, che conosce il suo zelo, si fa partecipe del suo modo di vedere e gli segnala i ventimila uomini della tribù dei Paravers, battezzati precipitosamente otto anni prima sulla costa della Pescheria, e che, da allora, sono ritornati alla loro ignoranza e alle loro superstizioni.
Padre Francesco scrive in una lettera a sant'Ignazio: «Parto contento: sopportare le fatiche di una lunga navigazione, prendere su di sé i peccati altrui, quando se ne ha già abbastanza dei propri, soggiornare in mezzo ai pagani, subire l'ardore di un sole bruciante, e tutto questo per Dio; ecco sicuramente delle grandi consolazioni e un motivo di gioie celesti. Perché alla fin fine la vita beata, per gli amici della croce di Gesù Cristo, è, mi sembra, una vita disseminata di simili croci« Quale felicità pari a quella di vivere morendo ogni giorno, spezzando le nostre volontà per cercare e trovare non quello che ci dà un vantaggio, ma quello che va a vantaggio di Gesù Cristo?» I cristiani che egli trova sulla costa della Pescheria ignorano tutto della loro religione. Padre Francesco inizia quindi dai rudimenti della fede: il segno della croce accompagnato dall'invocazione delle tre Persone in Dio; il Credo, i dieci comandamenti, il Pater, l'Ave, la Salve Regina, il Confiteor.
Questa preoccupazione di trasmettere i rudimenti della fede è quella della Chiesa. In effetti, nella nostra epoca segnata da una sovrabbondanza di informazione e dalla specializzazione degli studi superiori, si constata che non vengono trasmesse le verità più semplici, quelle che conducono alla salvezza eterna. Per questa ragione il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che, «per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio» (Motu proprio che approva il Compendio, 28 giugno 2005).
«Se non mancassero gli operai»
Di fronte a questa ricca messe di anime, e al pensiero del bene immenso che si potrebbe fare con la collaborazione di numerosi operai, Francesco Saverio si volge verso l'Europa dove tanti uomini intelligenti consumano le loro forze in occupazioni prive di una grande utilità. «Molte volte, egli scrive, mi viene l'idea di andare alle università d'Europa e là, gridando a gran voce come un uomo che abbia perduto il senno, dire a uomini più ricchi di scienza che non del desiderio di farla fruttificare, quante anime, per la loro negligenza, sono defraudate della gloria celeste e vanno all'inferno! Se, pur studiando le lettere, essi si studiassero anche di meditare sul conto che Dio gliene chiederà, molti di loro, toccati da questi pensieri, ricorrerebbero a dei mezzi, a degli esercizi spirituali fatti per dar loro la vera conoscenza e l'intima percezione della volontà divina; si uniformerebbero ad essa più che non alle loro proprie inclinazioni, e direbbero: «Eccomi, Signore: che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, e se è necessario, anche alle Indie«» Sono stato sul punto di scrivere all'università di Parigi che milioni e milioni di pagani si farebbero cristiani, se non mancassero gli operai«»
Curarsi dell'anima
Il 7 aprile 2006, il Cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, in occasione di una Messa che celebrava il quinto centenario della nascita di san Francesco Saverio, ha spiegato così questa passione del santo: «Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna« Si curava della salvezza dell'uomo e per questo la sua vita consistette nel consumarsi affinché ogni creatura che egli incontrava potesse conoscere e far sua la verità secondo la quale Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Precisamente in virtù dell'amore che nutriva per l'uomo, egli desiderava che il maggior numero possibile di popoli e di persone giungessero alla fede cristiana; è così che si spiega la sua ricerca instancabile delle anime fin nei luoghi più remoti dove non era ancora giunta la Buona Novella di Gesù».
Tale è la moltitudine di coloro che Francesco Saverio conduce tutti i giorni alla fede, che spesso gli accade di avere le braccia stanche a forza di battezzare. Oberato di attività impegnative, non si trova da solo che durante le notti, che gli dedica in gran parte ai suoi esercizi religiosi e allo studio della lingua del paese. Ma Dio non abbandona mai i suoi servitori: Egli inonda l'anima del missionario di consolazioni celesti; gli concede largamente il dono dei miracoli. Alla fine dell'ottobre 1543, Padre Francesco decide di ritornare a Goa per cercarvi rinforzi. Là apprende – con tre anni di ritardo – che Paolo III ha approvato la Compagnia di Gesù e che Ignazio è stato eletto Generale. Fa dunque la sua professione solenne, utilizzando la formula di cui si sono serviti i suoi Fratelli di Roma.
Tuttavia il Padre sa che altre contrade attendono la Buona Novella. È perplesso: deve spingersi verso queste terre lontane, in cui il nome di Cristo è sconosciuto a tanti uomini? Si reca presso la tomba dell'apostolo san Tommaso per chiedere a Dio di illuminarlo. Vi resta quattro mesi (aprile-agosto 1545), rendendo servizio al parroco del luogo, che dirà di lui: «Conduceva in tutto la vita degli apostoli». «Nella santa casa di san Tommaso, scrive il missionario ai Padri di Goa, mi sono dedicato a pregare senza interruzione perché Dio nostro Signore mi conceda di sentire nella mia anima la sua santissima volontà, con la ferma risoluzione di compierla« Ho sentito con grande consolazione interiore che era la volontà di Dio che io andassi in quei luoghi di Malacca, dove recentemente alcuni sono stati fatti cristiani».
Dopo qualche mese trascorso nella penisola malese di Malacca, dove non teme di andare a cercare i pescatori a domicilio, nelle case da gioco e di piacere, per ricondurli sulla retta via, egli inizia, il 1° gennaio 1546, una crociera di più di 2000 km, nel corso della quale evangelizza diverse isole, in particolare l'isola del Moro, dove rischia la sua vita in mezzo a popolazioni cannibale. In una lettera ai suoi confratelli d'Europa che si preoccupano di questa avventura, risponde: «È necessario che le anime dell'isola del Moro siano istruite e che qualcuno le battezzi per la loro salvezza. Io dal canto mio ho l'obbligo di perdere la vita del corpo per garantire al mio prossimo la vita dell'anima. Andrò quindi all'isola del Moro, per soccorrervi spiritualmente i cristiani, e affronterò qualsiasi pericolo, affidandomi a Dio nostro Signore e riponendo in Lui tutta la mia speranza. Voglio, nella misura delle mie piccole e misere forze, fare in me la prova di questa parola di Gesù Cristo, nostro Redentore e Signore: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).
La salvezza integrale
Lo zelo di san Francesco Saverio, che si è prodigato senza riserve per annunciare il Vangelo a migliaia di anime, costituisce una lezione e un esempio per la nostra generazione; esso ci ricorda l'urgenza e la necessità della missione, in conformità con l'insegnamento di Giovanni Paolo II: «La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo. (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati« La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini» (Enciclica Redemptoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 11).
Il Giappone« e la Cina
Nel dicembre 1547, Padre Francesco fa la conoscenza di un nobile Giapponese di nome Anjiro. Questi erra da cinque anni alla ricerca di un maestro spirituale che possa restituire la pace alla sua anima. «Scoprimmo Padre Francesco, racconterà Anjiro, nella chiesa della Madonna della Montagna, dove celebrava un matrimonio. Venni conquistato completamente dal suo carisma e gli feci un lungo racconto della mia vita. Egli mi abbracciò e apparve così felice di vedermi che era evidente che Dio stesso aveva combinato il nostro incontro». Nel corso delle sue conversazioni, il Padre s'informa sul Giappone. Apprendendo che «il re, la nobiltà e tutte le persone di alto rango si sarebbero fatti cristiani, perché i Giapponesi sono interamente guidati dalla legge della ragione», questo gli basta; partirà per il Giappone.
Tuttavia, consapevole dei suoi doveri di Nunzio apostolico, riprende contatto con le Indie e ritorna a Goa, che lascerà il 15 aprile 1549 per il Giappone. Il 15 agosto seguente, approda a Kagoshima dove trascorre più di un anno a iniziarsi alla lingua e ai costumi giapponesi. Verso la fine del 1550, parte per la residenza del più potente principe del Giappone, poi per la capitale. Là, lo attende una grande delusione: il re, che di fatto non è che un fantoccio, non lo riceve neppure. Padre Francesco ottiene tuttavia dal principe il permesso di predicare la fede cristiana, e ha la gioia di accogliere qualche centinaio di conversioni. Ma presto scoppia una rivoluzione, e il missionario deve partire. Non avendo notizie delle Indie da due anni, decide di ritornare a Malacca, dove arriva alla fine del 1551. È là che riceve una lettera da sant'Ignazio scritta più di due anni prima, che lo nominava «Provinciale dell'Est», cioè di tutte le missioni della Compagnia di Gesù dal capo Comorin, a sud dell'India, fino al Giappone.
Il 17 aprile 1552, il missionario s'imbarca nuovamente, questa volta a destinazione della Cina. Questo viaggio, l'ultimo della sua vita, servirà agli ultimi spogliamenti e lo assimilerà al Cristo sofferente. All'inizio del settembre 1552, raggiunge l'isola di Sancian, a dieci chilometri dalla costa della Cina. I pochi portoghesi che vi fanno allora scalo lo accolgono con gioia, gli costruiscono una capanna di legno e una cappellina di rami. Padre Francesco inizia subito a occuparsi dei bambini e dei malati, a predicare, catechizzare, confessare. Nel frattempo, egli cerca di prendere contatto con qualche «passatore» cinese che possa condurlo clandestinamente a Canton. In effetti, l'accesso alla costa della Cina è severamente vietato; chiunque si avventuri a sfidare questo divieto è destinato, se viene catturato, alla tortura e alla morte. Almeno a due riprese, il missionario trova un uomo che acconsente a condurvelo in cambio di una grossa somma di denaro: ogni volta, riscosso il denaro, il «passatore» si dilegua.
Il 21 novembre, Padre Francesco celebra la sua ultima Messa. Scendendo dall'altare, si sente venir meno. Cerca di riprendere il mare, ma il rollio della nave gli risulta insopportabile. Ricondotto a Sancian, trascorre gli ultimi giorni della sua vita in uno stato di mezza incoscienza. Privo di rimedi, e certo della sua prossima morte, alza gli occhi al Cielo e conversa con Nostro Signore o la Madonna: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me – O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me». È pronunciando il nome di Gesù che esala il suo ultimo respiro, all'alba del 2 dicembre 1552. Ha solo quarantasei anni. Il suo corpo viene riportato a Goa dove è tuttora venerato dai fedeli. Francesco Saverio, canonizzato contemporaneamente a sant'Ignazio di Loyola il 12 marzo 1622, è il patrono celeste delle missioni cattoliche.
Quando si considera la vita di questo gigante della santità, si è colpiti dalla quantità di fatiche e di sofferenze che ha potuto sopportare. Il suo segreto si trova in un amore senza limiti per Gesù. Negli Esercizi Spirituali, sant'Ignazio gli ha insegnato ad ascoltare la chiamata di Cristo: «È mia volontà conquistare tutto il mondo, sottomettere tutti i miei nemici, e così entrare nella gloria del Padre mio. Chi vuole venire con me lavori con me; mi segua nelle fatiche, per seguirmi anche nella gloria». (Es. Sp. 95). Docile, Francesco Saverio si è mostrato «pronto e diligente nel compiere la santissima volontà di Gesù» (ibid. 91); a sua volta, si è dedicato senza riserve a tutte le opere per estendere il regno di Dio sulla terra. Che egli ci ottenga la grazia di essere come lui pieni di zelo per la salvezza eterna del prossimo.
Autore: Dom Antoine Marie osb
Fonte: Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com
Nel XVI numerosi testimoni della fede compresero l’importanza di superare i “nuovi” confini geografici per portare il Vangelo là dove non era ancora giunto. Tra questi vi fu anche san Francesco Saverio, che spese tutte le sue energie per donare il messaggio del Risorto alle popolazioni del lontano Oriente, dall’India all’Indonesia, fino al Giappone. La sua memoria è un’occasione per riflettere sui confini – vicini o lontani – che oggi siamo chiamati a superare per portare la luce di Dio. Francesco Saverio era nato in Navarra nel 1506 e a Parigi aveva incontrato Ignazio da Loyola, con il quale condivise l’avventura della fondazione della Compagnia di Gesù. Nel 1540 venne mandato verso l’Oriente come missionario: mentre stava progettando di portare il Vangelo in Cina morì a causa di una polmonite sull’isola di Shangchuan nel 1552. Paolo V beatificò il Saverio il 21 ottobre 1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo 1622.
Patronato: Giappone, India, Pakistan, Missioni, Missionari, Marinai
Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: Memoria di san Francesco Saverio, sacerdote della Compagnia di Gesù, evangelizzatore delle Indie, che, nato in Navarra, fu tra i primi compagni di sant’Ignazio. Spinto dall’ardente desiderio di diffondere il Vangelo, annunciò con impegno Cristo a innumerevoli popolazioni in India, nelle isole Molucche e in altre ancora, in Giappone convertì poi molti alla fede e morì, infine, in Cina nell’isola di Sancian, stremato dalla malattia e dalle fatiche.
«Saverio, che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Mt 16,26). Questo avvertimento di Nostro Signore è rivolto a François-Xavier (Francesco Saverio) da Ignazio di Loyola che lo commenta così: «Pensaci bene, il mondo è un padrone che promette e che non mantiene la parola. E anche se mantenesse le sue promesse nei tuoi confronti, non potrà mai appagare il tuo cuore. Ma supponiamo che lo appagasse, quanto tempo durerà la tua felicità? In ogni caso, potrà forse durare più della tua vita? E alla morte, che cosa porterai con te nell'eternità? Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» Poco per volta, questa massima entra nel cuore di Francesco Saverio e vi si imprime profondamente. Così ha inizio un percorso che farà di lui uno dei più grandi santi della storia della Chiesa.
Più che una passione
Francesco nasce il 7 aprile 1506 nel castello di Javier nella Navarra, nel nord ovest della Spagna. Nel 1512, suo padre viene condannato alla perdita dei suoi beni per aver combattuto a fianco del re di Navarra in una guerra contro la corona di Castiglia; morirà di dispiacere nel 1515. L'anno seguente, la fortezza di Xavier viene smantellata e le terre della famiglia confiscate. Quando Francesco Saverio raggiunge la maggiore età, la sua famiglia è rovinata. In questa congiuntura, la carriera delle armi non lo attira. Lasciando sua madre e i suoi fratelli nel settembre 1525 per non rivederli più in questo mondo, egli si reca all'Università di Parigi, dove alloggia presso il collegio Santa Barbara insieme a compagni dediti, per la maggior parte, a una vita poco edificante. Tuttavia, fra di essi si trovano due uomini di una pietà eccezionale, Pietro Fabro e Ignazio di Loyola. Quest'ultimo, originario del Paese Basco confinante con la Navarra, medita da qualche tempo la fondazione di un'opera santa per il bene della Chiesa; avendo constatato le qualità d'anima di Pietro e di Saverio, cerca di far loro condividere la sua ambizione spirituale. Ignazio conduce quindi Pietro Fabro a fare gli Esercizi Spirituali per trenta giorni; alla conclusione di questo ritiro, quest'ultimo è interamente conquistato alla buona causa. Per Francesco Saverio, è più difficile. È vero che, grazie ai consigli di Ignazio e di Pietro, egli si è già allontanato da relazioni sospette e ha respinto le dottrine malsane messe in circolazione a Parigi dai seguaci di Calvino. Ma il suo cuore, fiero e aperto all'attrazione di un'ambizione mondana, non prova che disgusto per la vita oscura di rinuncia esaltata da Ignazio. Quest'ultimo, fine conoscitore di anime, s'immedesima dapprima nel modo di sentire di Francesco che, diventato professore di filosofia, ambisce a una bella carriera e a un vasto uditorio. Ignazio gli trova tanti discepoli che Francesco riconosce in lui un vero amico con il quale può confidarsi. Ignazio approfitta di questa amicizia per ricordargli la vanità della grandezza e dei vantaggi di questo mondo, e la loro inutilità per la vita eterna. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima? Francesco, toccato dalla grazia di Dio, partecipa a sua volta agli Esercizi Spirituali, nel corso dei quali chiede «la conoscenza intima del Signore che per me si è fatto uomo, per amarlo con maggiore ardore e seguirlo con più fedeltà» (Es. Sp. 104). Ormai, non avrà che una passione: amare e far amare Gesù Cristo.
Ben presto, al piccolo gruppo si aggiungono altri quattro studenti. Ignazio propone allora ai suoi sei compagni di donarsi più completamente a Dio e di unirsi tra loro con il legame dei voti di religione. Il 15 agosto 1534, nella cappella di Santa Maria di Montmartre, Pietro Fabro, allora l'unico prete del gruppo, celebra la Santa Messa nel corso della quale tutti pronunciano i voti perpetui di povertà e di castità con la promessa di recarsi in Terra Santa o di rimettersi alla volontà del Sovrano Pontefice. In attesa di conoscere la santa volontà di Dio, si riuniscono spesso per pregare e incoraggiarsi vicendevolmente alla pratica delle virtù.
Diritto al cuore
Il 25 gennaio 1537, i primi membri della Compagnia di Gesù si ritrovano a Venezia, ma, poiché la situazione politica rende impossibile il pellegrinaggio in Terra Santa, decidono di andare a Roma per chiedere la benedizione del Papa Paolo III. Quest'ultimo li accoglie con benevolenza e concede loro l'autorizzazione a farsi ordinare preti; questa cerimonia ha luogo il 24 giugno 1537. Poi, il gruppetto si dissemina in diverse città d'Italia. Padre Francesco viene destinato a Bologna dove si dedica all'istruzione della gene del popolo, dei malati e dei prigionieri. Non conoscendo bene l'italiano, parla poco, ma con una tale convinzione che le sue parole vanno direttamente al cuore degli ascoltatori. Alla fine del 1538, il re del Portogallo, Giovanni III, chiede a Ignazio di concedergli dei religiosi per l'evangelizzazione delle Indie. Questi, d'accordo con il Papa, mette a sua disposizione due religiosi, tra cui Francesco Saverio. Quest'ultimo viene messo al corrente solo la vigilia della partenza, il 15 marzo 1540. Come unico bagaglio, porta con sé l'abito di cui è vestito, il suo crocifisso, un breviario e un altro libro.
Dopo un viaggio di tre mesi, Padre Francesco arriva a Lisbona in compagnia di Simone Rodriguez; entrambi vengono ricevuti da Giovanni III, uomo veramente pio e preoccupato della salvezza delle anime. Attendendo di partire per le Indie, essi si dedicano al ministero delle anime nella capitale del Portogallo. La loro dedizione apostolica suscita a Lisbona una tale ammirazione che viene chiesto al re di trattenerli nel paese. Ignazio decide che Rodriguez resterà a Lisbona; quanto a Padre Francesco, partirà per le Indie. La sua partenza, in compagnia di tre giovani confratelli, ha luogo il 7 aprile 1541.
A quell'epoca, il viaggio dal Portogallo alle Indie passando per il capo di Buona Speranza è un'avventura da cui nessuno alla partenza si può vantare di uscire vivo. Se la nave non fa naufragio, le epidemie, il freddo, la fame e la sete provvedono spesso a decimare i passeggeri. Il 1° gennaio 1542, Padre Francesco scrive ai suoi fratelli di Roma: «Ho avuto il mal di mare per due mesi; e tutti hanno molto sofferto per quaranta giorni sulle coste della Guinea« Tale è la natura delle pene e delle fatiche che, per il mondo intero, non avrei osato affrontarle un solo giorno. Noi troviamo un conforto e una speranza sempre crescenti nella misericordia di Dio, nella convinzione che manchiamo del talento necessario per predicare la fede di Gesù Cristo in terra pagana». Il 6 maggio 1542, essi raggiungono Goa, sulla costa occidentale dell'India.
Primo modo di pregare
Avendo ricevuto dal Papa i pieni poteri spirituali sui sudditi dell'impero coloniale del Portogallo, Francesco Saverio arriva in India munito del titolo di «Nunzio apostolico». Egli trova a Goa una cristianità confrontata agli esempi poco edificanti di certi europei. Grazie al suo zelo, già prima della fine dell'anno, Goa appare molto cambiata; un buon numero di anime vi camminano già nella via della perfezione: Padre Francesco le sostiene esercitandole a meditare, secondo il metodo che sant'Ignazio chiama il «primo modo di pregare» (Es. Sp. 238-248). Questo modo di meditare consiste nell'esaminarsi sui dieci comandamenti di Dio, i sette peccati capitali, le tre facoltà dell'anima (memoria, intelligenza, volontà), e i cinque sensi del corpo. Vi si chiede a Dio la grazia di sapere in che cosa si siano osservati o trasgrediti i suoi comandamenti, e l'aiuto necessario per correggersi in avvenire. Il vescovo di Goa desidera che Padre Francesco prosegua a operare il gran bene che ha fatto nella città, ma quest'ultimo, spinto dallo Spirito di Dio, aspira a conquiste più vaste. Come gli apostoli, brucia del desiderio di affrontare i pericoli, le sofferenze, le persecuzioni, per conquistare il maggior numero possibile di anime a Gesù Cristo. Il governatore di Goa, che conosce il suo zelo, si fa partecipe del suo modo di vedere e gli segnala i ventimila uomini della tribù dei Paravers, battezzati precipitosamente otto anni prima sulla costa della Pescheria, e che, da allora, sono ritornati alla loro ignoranza e alle loro superstizioni.
Padre Francesco scrive in una lettera a sant'Ignazio: «Parto contento: sopportare le fatiche di una lunga navigazione, prendere su di sé i peccati altrui, quando se ne ha già abbastanza dei propri, soggiornare in mezzo ai pagani, subire l'ardore di un sole bruciante, e tutto questo per Dio; ecco sicuramente delle grandi consolazioni e un motivo di gioie celesti. Perché alla fin fine la vita beata, per gli amici della croce di Gesù Cristo, è, mi sembra, una vita disseminata di simili croci« Quale felicità pari a quella di vivere morendo ogni giorno, spezzando le nostre volontà per cercare e trovare non quello che ci dà un vantaggio, ma quello che va a vantaggio di Gesù Cristo?» I cristiani che egli trova sulla costa della Pescheria ignorano tutto della loro religione. Padre Francesco inizia quindi dai rudimenti della fede: il segno della croce accompagnato dall'invocazione delle tre Persone in Dio; il Credo, i dieci comandamenti, il Pater, l'Ave, la Salve Regina, il Confiteor.
Questa preoccupazione di trasmettere i rudimenti della fede è quella della Chiesa. In effetti, nella nostra epoca segnata da una sovrabbondanza di informazione e dalla specializzazione degli studi superiori, si constata che non vengono trasmesse le verità più semplici, quelle che conducono alla salvezza eterna. Per questa ragione il Santo Padre Benedetto XVI ha promulgato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che, «per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio» (Motu proprio che approva il Compendio, 28 giugno 2005).
«Se non mancassero gli operai»
Di fronte a questa ricca messe di anime, e al pensiero del bene immenso che si potrebbe fare con la collaborazione di numerosi operai, Francesco Saverio si volge verso l'Europa dove tanti uomini intelligenti consumano le loro forze in occupazioni prive di una grande utilità. «Molte volte, egli scrive, mi viene l'idea di andare alle università d'Europa e là, gridando a gran voce come un uomo che abbia perduto il senno, dire a uomini più ricchi di scienza che non del desiderio di farla fruttificare, quante anime, per la loro negligenza, sono defraudate della gloria celeste e vanno all'inferno! Se, pur studiando le lettere, essi si studiassero anche di meditare sul conto che Dio gliene chiederà, molti di loro, toccati da questi pensieri, ricorrerebbero a dei mezzi, a degli esercizi spirituali fatti per dar loro la vera conoscenza e l'intima percezione della volontà divina; si uniformerebbero ad essa più che non alle loro proprie inclinazioni, e direbbero: «Eccomi, Signore: che cosa vuoi che io faccia? Mandami dove vuoi, e se è necessario, anche alle Indie«» Sono stato sul punto di scrivere all'università di Parigi che milioni e milioni di pagani si farebbero cristiani, se non mancassero gli operai«»
Curarsi dell'anima
Il 7 aprile 2006, il Cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, in occasione di una Messa che celebrava il quinto centenario della nascita di san Francesco Saverio, ha spiegato così questa passione del santo: «Francesco Saverio si curava dell'anima: della sua anima e di quella di tutte le persone, l'anima di ogni essere umano. Si curava dell'«anima», perché gli stava a cuore la vita: la vita nella sua pienezza, la vita nella sua felicità, la vita eterna« Si curava della salvezza dell'uomo e per questo la sua vita consistette nel consumarsi affinché ogni creatura che egli incontrava potesse conoscere e far sua la verità secondo la quale Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Precisamente in virtù dell'amore che nutriva per l'uomo, egli desiderava che il maggior numero possibile di popoli e di persone giungessero alla fede cristiana; è così che si spiega la sua ricerca instancabile delle anime fin nei luoghi più remoti dove non era ancora giunta la Buona Novella di Gesù».
Tale è la moltitudine di coloro che Francesco Saverio conduce tutti i giorni alla fede, che spesso gli accade di avere le braccia stanche a forza di battezzare. Oberato di attività impegnative, non si trova da solo che durante le notti, che gli dedica in gran parte ai suoi esercizi religiosi e allo studio della lingua del paese. Ma Dio non abbandona mai i suoi servitori: Egli inonda l'anima del missionario di consolazioni celesti; gli concede largamente il dono dei miracoli. Alla fine dell'ottobre 1543, Padre Francesco decide di ritornare a Goa per cercarvi rinforzi. Là apprende – con tre anni di ritardo – che Paolo III ha approvato la Compagnia di Gesù e che Ignazio è stato eletto Generale. Fa dunque la sua professione solenne, utilizzando la formula di cui si sono serviti i suoi Fratelli di Roma.
Tuttavia il Padre sa che altre contrade attendono la Buona Novella. È perplesso: deve spingersi verso queste terre lontane, in cui il nome di Cristo è sconosciuto a tanti uomini? Si reca presso la tomba dell'apostolo san Tommaso per chiedere a Dio di illuminarlo. Vi resta quattro mesi (aprile-agosto 1545), rendendo servizio al parroco del luogo, che dirà di lui: «Conduceva in tutto la vita degli apostoli». «Nella santa casa di san Tommaso, scrive il missionario ai Padri di Goa, mi sono dedicato a pregare senza interruzione perché Dio nostro Signore mi conceda di sentire nella mia anima la sua santissima volontà, con la ferma risoluzione di compierla« Ho sentito con grande consolazione interiore che era la volontà di Dio che io andassi in quei luoghi di Malacca, dove recentemente alcuni sono stati fatti cristiani».
Dopo qualche mese trascorso nella penisola malese di Malacca, dove non teme di andare a cercare i pescatori a domicilio, nelle case da gioco e di piacere, per ricondurli sulla retta via, egli inizia, il 1° gennaio 1546, una crociera di più di 2000 km, nel corso della quale evangelizza diverse isole, in particolare l'isola del Moro, dove rischia la sua vita in mezzo a popolazioni cannibale. In una lettera ai suoi confratelli d'Europa che si preoccupano di questa avventura, risponde: «È necessario che le anime dell'isola del Moro siano istruite e che qualcuno le battezzi per la loro salvezza. Io dal canto mio ho l'obbligo di perdere la vita del corpo per garantire al mio prossimo la vita dell'anima. Andrò quindi all'isola del Moro, per soccorrervi spiritualmente i cristiani, e affronterò qualsiasi pericolo, affidandomi a Dio nostro Signore e riponendo in Lui tutta la mia speranza. Voglio, nella misura delle mie piccole e misere forze, fare in me la prova di questa parola di Gesù Cristo, nostro Redentore e Signore: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).
La salvezza integrale
Lo zelo di san Francesco Saverio, che si è prodigato senza riserve per annunciare il Vangelo a migliaia di anime, costituisce una lezione e un esempio per la nostra generazione; esso ci ricorda l'urgenza e la necessità della missione, in conformità con l'insegnamento di Giovanni Paolo II: «La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo. (Ef 3,8) La novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati« La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini» (Enciclica Redemptoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 11).
Il Giappone« e la Cina
Nel dicembre 1547, Padre Francesco fa la conoscenza di un nobile Giapponese di nome Anjiro. Questi erra da cinque anni alla ricerca di un maestro spirituale che possa restituire la pace alla sua anima. «Scoprimmo Padre Francesco, racconterà Anjiro, nella chiesa della Madonna della Montagna, dove celebrava un matrimonio. Venni conquistato completamente dal suo carisma e gli feci un lungo racconto della mia vita. Egli mi abbracciò e apparve così felice di vedermi che era evidente che Dio stesso aveva combinato il nostro incontro». Nel corso delle sue conversazioni, il Padre s'informa sul Giappone. Apprendendo che «il re, la nobiltà e tutte le persone di alto rango si sarebbero fatti cristiani, perché i Giapponesi sono interamente guidati dalla legge della ragione», questo gli basta; partirà per il Giappone.
Tuttavia, consapevole dei suoi doveri di Nunzio apostolico, riprende contatto con le Indie e ritorna a Goa, che lascerà il 15 aprile 1549 per il Giappone. Il 15 agosto seguente, approda a Kagoshima dove trascorre più di un anno a iniziarsi alla lingua e ai costumi giapponesi. Verso la fine del 1550, parte per la residenza del più potente principe del Giappone, poi per la capitale. Là, lo attende una grande delusione: il re, che di fatto non è che un fantoccio, non lo riceve neppure. Padre Francesco ottiene tuttavia dal principe il permesso di predicare la fede cristiana, e ha la gioia di accogliere qualche centinaio di conversioni. Ma presto scoppia una rivoluzione, e il missionario deve partire. Non avendo notizie delle Indie da due anni, decide di ritornare a Malacca, dove arriva alla fine del 1551. È là che riceve una lettera da sant'Ignazio scritta più di due anni prima, che lo nominava «Provinciale dell'Est», cioè di tutte le missioni della Compagnia di Gesù dal capo Comorin, a sud dell'India, fino al Giappone.
Il 17 aprile 1552, il missionario s'imbarca nuovamente, questa volta a destinazione della Cina. Questo viaggio, l'ultimo della sua vita, servirà agli ultimi spogliamenti e lo assimilerà al Cristo sofferente. All'inizio del settembre 1552, raggiunge l'isola di Sancian, a dieci chilometri dalla costa della Cina. I pochi portoghesi che vi fanno allora scalo lo accolgono con gioia, gli costruiscono una capanna di legno e una cappellina di rami. Padre Francesco inizia subito a occuparsi dei bambini e dei malati, a predicare, catechizzare, confessare. Nel frattempo, egli cerca di prendere contatto con qualche «passatore» cinese che possa condurlo clandestinamente a Canton. In effetti, l'accesso alla costa della Cina è severamente vietato; chiunque si avventuri a sfidare questo divieto è destinato, se viene catturato, alla tortura e alla morte. Almeno a due riprese, il missionario trova un uomo che acconsente a condurvelo in cambio di una grossa somma di denaro: ogni volta, riscosso il denaro, il «passatore» si dilegua.
Il 21 novembre, Padre Francesco celebra la sua ultima Messa. Scendendo dall'altare, si sente venir meno. Cerca di riprendere il mare, ma il rollio della nave gli risulta insopportabile. Ricondotto a Sancian, trascorre gli ultimi giorni della sua vita in uno stato di mezza incoscienza. Privo di rimedi, e certo della sua prossima morte, alza gli occhi al Cielo e conversa con Nostro Signore o la Madonna: «Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me – O Vergine, Madre di Dio, ricordati di me». È pronunciando il nome di Gesù che esala il suo ultimo respiro, all'alba del 2 dicembre 1552. Ha solo quarantasei anni. Il suo corpo viene riportato a Goa dove è tuttora venerato dai fedeli. Francesco Saverio, canonizzato contemporaneamente a sant'Ignazio di Loyola il 12 marzo 1622, è il patrono celeste delle missioni cattoliche.
Quando si considera la vita di questo gigante della santità, si è colpiti dalla quantità di fatiche e di sofferenze che ha potuto sopportare. Il suo segreto si trova in un amore senza limiti per Gesù. Negli Esercizi Spirituali, sant'Ignazio gli ha insegnato ad ascoltare la chiamata di Cristo: «È mia volontà conquistare tutto il mondo, sottomettere tutti i miei nemici, e così entrare nella gloria del Padre mio. Chi vuole venire con me lavori con me; mi segua nelle fatiche, per seguirmi anche nella gloria». (Es. Sp. 95). Docile, Francesco Saverio si è mostrato «pronto e diligente nel compiere la santissima volontà di Gesù» (ibid. 91); a sua volta, si è dedicato senza riserve a tutte le opere per estendere il regno di Dio sulla terra. Che egli ci ottenga la grazia di essere come lui pieni di zelo per la salvezza eterna del prossimo.
Autore: Dom Antoine Marie osb
Fonte: Lettera mensile dell'abbazia Saint-Joseph, F. 21150 Flavigny- Francia - www.clairval.com
Il 3 dicembre è la festa liturgica di san Francesco Saverio. Un Santo che ha dell’incredibile. Partì da solo per le Indie, con una sola ricchezza: portare Cristo a chi ancora non lo conosceva. Un esempio di cristianesimo militante.
San Francesco Saverio è considerato il più grande missionario dell’epoca moderna. Fu proclamato Patrono dell’Oriente, dell’Opera della Propagazione della Fede e, con Santa Teresina di Lisieux, delle Missioni. Infatti, nella sua vita, tutta dedicata all’apostolato, giunse in India, Giappone e Cina, dove morì.
Francesco De Jassu venne alla luce in Spagna il 7 Aprile 1506 nel Castello di Xavier (dal quale poi Saverio) nella Navarra da una nobile famiglia di sani princìpi religiosi. Dopo la distruzione del Castello e la morte del padre, avvenuti durante la guerra fra Ferdinando di Castiglia e i reali di Navarra , che erano filo-francesi, ebbe inizio un triste periodo per la famiglia dei Saverio.
Francesco, sia per sfuggire alla sconfitta e alla miseria, sia per prepararsi a restaurare la gloria della sua famiglia, si trasferì a Parigi per studiare all’Università. Lì prese parte alla vita mondana della città, conobbe umanisti e fu attratto dalle teorie eretiche del tempo, ma fu “salvato” da due figure che lo avrebbero positivamente influenzato. Trovandosi a vivere in un pensionato universitario, ebbe modo di conoscere come compagni di stanza prima il beato Pietro Favre e poi Sant’Ignazio di Loyola.
L’agiografia vuole che sin da subito sant’Ignazio, notando l’interessante temperamento del ragazzo, tentò di distoglierlo dalla sua visione della vita troppo legata ai beni materiali ripetendogli spesso la frase: «Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde l’anima?» (Mc. 8,36). Francesco, all’inizio, mosso dall’antipatia verso Ignazio, rimase indifferente ai suoi richiami ma infine dovette cedere.
L’antipatia si trasformò in profonda ammirazione e gratitudine e il 15 agosto del 1534 si consacrò a Cristo tra i primi sette componenti della Compagnia di Gesù. I suoi due fratelli maggiori tentarono di dissuaderlo da una tale decisione riuscendo a procurargli il canonicato a Pamplona, ma era troppo tardi: Francesco era già in viaggio verso l’Italia con i suoi compagni, deciso a partire per la Terra Santa. Giunti a Venezia, non riuscirono a partire per la Palestina a causa delle guerre in corso tra Veneziani e Turchi e così si recarono a Roma dove ricevettero l’approvazione del papa Paolo III e furono ordinati sacerdoti.
Di lì a poco sarebbero iniziate le lunghe peregrinazioni del Santo. Francesco ogni tanto sognava di portare sulle spalle un indiano molto pesante e quando l’ambasciatore di Lisbona chiese alla Compagnia di Gesù di inviare due sacerdoti nelle Indie per l’evangelizzazione di quelle terre, accadde che Francesco, anche se non era stato scelto, dovette partire per l’ammalarsi di uno dei due sacerdoti che erano stati prescelti.
Il 7 aprile 1541 Francesco partì da Lisbona e dopo un lungo viaggio durato tredici mesi giunse (era il 6 maggio 1542) a Goa, la capitale dell’Oriente portoghese conquistata trent’anni prima. Francesco come sua abitazione scelse l’ospedale cittadino dormendo in un letto posto accanto a quello del malato più grave. Di giorno si muoveva per la città chiamando a sé i bambini e gli schiavi per educarli al cristianesimo, visitava i malati e i prigionieri guadagnandosi il nome di “padre buono”. Si occupò anche dei Pàravi, i pescatori di perle, che, vessati dai musulmani, erano passati con i Portoghesi ed erano diventati cristiani, senza però un’adeguata educazione in quanto non si conosceva bene la loro lingua.
Francesco, insieme a due compagni di quell’etnia che gli facevano da interpreti, partì verso i luoghi dei Pàravi e con grande fatica tradusse le più importanti preghiere e le verità della fede. Per due anni girò nei villaggi battezzando, insegnando le preghiere e fondando chiese e scuole.
Dopo Goa, si mosse in Malacca e nell’arcipelago delle Molucche. In questo periodo conobbe un giapponese che era scappato dalla sua patria per un delitto commesso. Questi, di nome Hanjiro, volle convertirsi e provocò nel santo un forte interesse nei confronti del popolo giapponese. Così, nel 1549 giunse in Giappone. All’inizio vi fu una buona accoglienza, poi, a causa dei bonzi venne introdotta la pena di morte per chi si battezzava. Il Giappone avrebbe comunque lasciato un ottima impressione a Francesco che se ne andò lasciando una comunità di già 1500 fedeli.
Ora gli si prospettava la Cina che in Giappone gli era stata presentata come una terra assai più colta e raffinata. Per Francesco sarebbe stato l’ultimo viaggio, infatti giunto in Cina si ammalò di febbre e morì. Il suo corpo fu trasportato a Goa dove ancora oggi si trova.
Francesco, oltre ad aver percorso migliaia di chilometri per terra e per mare, si stima che abbia battezzato circa 30.000 persone. Il suo apostolato si basava sull’alternare l’esposizione della dottrina alla preghiera, infatti si preoccupava molto della traduzione delle preghiere di base che trasmettevano le verità di fede, come il semplice segno della croce con il quale si trasmetteva l’idea della Trinità.
Un gigante dell’evangelizzazione. Un faro per i nostri tempi di secolarizzazione, apostasia e di evidente tradimento da parte di tanti cristiani che hanno paura di testimoniare Cristo, Via, Verità e Vita. San Francesco Saverio insegna che ogni sacrificio deve essere fatto per testimoniare la verità di Cristo, e che, senza questa Verità, la vita di ogni uomo rimane impietosamente povera.
Autore: Corrado Gnerre
San Francesco Saverio è considerato il più grande missionario dell’epoca moderna. Fu proclamato Patrono dell’Oriente, dell’Opera della Propagazione della Fede e, con Santa Teresina di Lisieux, delle Missioni. Infatti, nella sua vita, tutta dedicata all’apostolato, giunse in India, Giappone e Cina, dove morì.
Francesco De Jassu venne alla luce in Spagna il 7 Aprile 1506 nel Castello di Xavier (dal quale poi Saverio) nella Navarra da una nobile famiglia di sani princìpi religiosi. Dopo la distruzione del Castello e la morte del padre, avvenuti durante la guerra fra Ferdinando di Castiglia e i reali di Navarra , che erano filo-francesi, ebbe inizio un triste periodo per la famiglia dei Saverio.
Francesco, sia per sfuggire alla sconfitta e alla miseria, sia per prepararsi a restaurare la gloria della sua famiglia, si trasferì a Parigi per studiare all’Università. Lì prese parte alla vita mondana della città, conobbe umanisti e fu attratto dalle teorie eretiche del tempo, ma fu “salvato” da due figure che lo avrebbero positivamente influenzato. Trovandosi a vivere in un pensionato universitario, ebbe modo di conoscere come compagni di stanza prima il beato Pietro Favre e poi Sant’Ignazio di Loyola.
L’agiografia vuole che sin da subito sant’Ignazio, notando l’interessante temperamento del ragazzo, tentò di distoglierlo dalla sua visione della vita troppo legata ai beni materiali ripetendogli spesso la frase: «Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde l’anima?» (Mc. 8,36). Francesco, all’inizio, mosso dall’antipatia verso Ignazio, rimase indifferente ai suoi richiami ma infine dovette cedere.
L’antipatia si trasformò in profonda ammirazione e gratitudine e il 15 agosto del 1534 si consacrò a Cristo tra i primi sette componenti della Compagnia di Gesù. I suoi due fratelli maggiori tentarono di dissuaderlo da una tale decisione riuscendo a procurargli il canonicato a Pamplona, ma era troppo tardi: Francesco era già in viaggio verso l’Italia con i suoi compagni, deciso a partire per la Terra Santa. Giunti a Venezia, non riuscirono a partire per la Palestina a causa delle guerre in corso tra Veneziani e Turchi e così si recarono a Roma dove ricevettero l’approvazione del papa Paolo III e furono ordinati sacerdoti.
Di lì a poco sarebbero iniziate le lunghe peregrinazioni del Santo. Francesco ogni tanto sognava di portare sulle spalle un indiano molto pesante e quando l’ambasciatore di Lisbona chiese alla Compagnia di Gesù di inviare due sacerdoti nelle Indie per l’evangelizzazione di quelle terre, accadde che Francesco, anche se non era stato scelto, dovette partire per l’ammalarsi di uno dei due sacerdoti che erano stati prescelti.
Il 7 aprile 1541 Francesco partì da Lisbona e dopo un lungo viaggio durato tredici mesi giunse (era il 6 maggio 1542) a Goa, la capitale dell’Oriente portoghese conquistata trent’anni prima. Francesco come sua abitazione scelse l’ospedale cittadino dormendo in un letto posto accanto a quello del malato più grave. Di giorno si muoveva per la città chiamando a sé i bambini e gli schiavi per educarli al cristianesimo, visitava i malati e i prigionieri guadagnandosi il nome di “padre buono”. Si occupò anche dei Pàravi, i pescatori di perle, che, vessati dai musulmani, erano passati con i Portoghesi ed erano diventati cristiani, senza però un’adeguata educazione in quanto non si conosceva bene la loro lingua.
Francesco, insieme a due compagni di quell’etnia che gli facevano da interpreti, partì verso i luoghi dei Pàravi e con grande fatica tradusse le più importanti preghiere e le verità della fede. Per due anni girò nei villaggi battezzando, insegnando le preghiere e fondando chiese e scuole.
Dopo Goa, si mosse in Malacca e nell’arcipelago delle Molucche. In questo periodo conobbe un giapponese che era scappato dalla sua patria per un delitto commesso. Questi, di nome Hanjiro, volle convertirsi e provocò nel santo un forte interesse nei confronti del popolo giapponese. Così, nel 1549 giunse in Giappone. All’inizio vi fu una buona accoglienza, poi, a causa dei bonzi venne introdotta la pena di morte per chi si battezzava. Il Giappone avrebbe comunque lasciato un ottima impressione a Francesco che se ne andò lasciando una comunità di già 1500 fedeli.
Ora gli si prospettava la Cina che in Giappone gli era stata presentata come una terra assai più colta e raffinata. Per Francesco sarebbe stato l’ultimo viaggio, infatti giunto in Cina si ammalò di febbre e morì. Il suo corpo fu trasportato a Goa dove ancora oggi si trova.
Francesco, oltre ad aver percorso migliaia di chilometri per terra e per mare, si stima che abbia battezzato circa 30.000 persone. Il suo apostolato si basava sull’alternare l’esposizione della dottrina alla preghiera, infatti si preoccupava molto della traduzione delle preghiere di base che trasmettevano le verità di fede, come il semplice segno della croce con il quale si trasmetteva l’idea della Trinità.
Un gigante dell’evangelizzazione. Un faro per i nostri tempi di secolarizzazione, apostasia e di evidente tradimento da parte di tanti cristiani che hanno paura di testimoniare Cristo, Via, Verità e Vita. San Francesco Saverio insegna che ogni sacrificio deve essere fatto per testimoniare la verità di Cristo, e che, senza questa Verità, la vita di ogni uomo rimane impietosamente povera.
Autore: Corrado Gnerre