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- sabato | 25 marzo 2023
Annunciazione del Signore
25 marzo
Festa del Signore, l'Annunciazione inaugura l'evento in cui il figlio di Dio si fa carne per consumare il suo sacrificio redentivo in obbedienza al Padre e per essere il primo dei risorti. La Chiesa, come Maria, si associa all'obbedienza del Cristo, vivendo sacramentalmente nella fede il significato pasquale della annunciazione. Maria è la figlia di Sion che, a coronamento della lunga attesa, accoglie con il suo 'Fiat' e concepisce per opera dello Spirito santo il Salvatore. In lei Vergine e Madre il popolo della promessa diventa il nuovo Israele, Chiesa di Cristo. I nove mesi tra la concezione e la nascita del Salvatore spiegano la data odierna rispetto alla solennità del 25 dicembre. Calcoli eruditi e considerazioni mistiche fissavano ugualmente al 25 marzo l'evento della prima creazione e della rinnovazione del mondo nella Pasqua. (Mess. Rom.)
Martirologio Romano: Solennità dell’Annunciazione del Signore, quando nella città di Nazareth l’angelo del Signore diede l’annuncio a Maria: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo», e Maria rispondendo disse: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola». E così, compiutasi la pienezza dei tempi, Colui che era prima dei secoli, l’Unigenito Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si è fatto uomo.
Ogni discorso serio intorno alla Vergine Maria non può prescindere dal riferimento diretto immediato e indissolubile a suo figlio, Cristo Gesù. Teologicamente, in base al disegno divino rivelato: “Benedetto Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui [Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi [del Padre], per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà” (Ef 1, 3-6); e “nella pienezza del tempo Cristo nasce da donna” (Gal 4, 4). Liturgicamente, invece, secondo le indicazioni del concilio Vaticano II: “Nella celebrazione del ciclo annuale dei misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con speciale amore la beata Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l’opera salvifica del Figlio suo; in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione e contempla con gioia, come in un’immagine purissima, ciò che essa tutta desidera e spera di essere” (SC 103); e relative applicazioni di Paolo VI sia sulla riforma liturgica generale, con Lettera apostolica Mysterii pasqualis (14 marzo 1969), che approva il nuovo Calendarium Romanum e la nuova edizione del Missale Romanum (26 marzo1970), e sia di quella specifica mariana con l’Esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio 1974).
Origini
Il nome “Annunciazione” deriva dall’annunzio dell’angelo Gabriele a Maria circa la nascita del Messia, secondo il racconto del Vangelo di Luca (1, 26-38). Per la sua importanza, questo annunzio si colloca al centro della storia della salvezza, cioè nella “pienezza del tempo”. In quanto tale, è l’inizio cronologico del disegno divino “le [cui] origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Mi 5, 1); e segna, anche, l’inizio dei tempi nuovi, ossia dell’Incarnazione storica del Messia, l’inizio dell’avventura umana di Cristo, la deificazione dell’uomo con la relativa rinnovazione del creato.
Sembra utile distinguere il fatto storico dell’Annunciazione dalla relativa festa liturgica del 25 marzo. Il racconto evangelico dell’Annunciazione è stato sempre presente nella comunità cristiana, almeno dal tempo dell’istituzione del Natale, perché i due episodi sono strettamente legati; mentre le origini della festa del 25 marzo, probabilmente, risale al IV secolo in Palestina, dove si celebrava il ricordo dell’Incarnazione e, quindi, della relativa Annunciazione. La denominazione mariana della festa, come “Annunciazione della Beata della Vergine Maria” sembra risalga in oriente al V secolo; e in occidente, invece, viene introdotta nel VII sec., prima in Spagna, e, poi, a Roma, da Papa Sergio I, con una certa fluttuazione del titolo: prima come riferimento all’“Annunciazione del Signore”, e poi come “Annunciazione della Beata Vergine Maria”. La connotazione mariana della festa si è conservata fino alla riforma conciliare del Vaticano II, quando Paolo VI, nell’applicare le nuove direttive liturgiche, ha recuperato il vero senso originario e autentico con il riferimento all’annuncio della nascita del Signore, motivandola teologicamente, pur conservando l’inevitabile riferimento mariano. La data della celebrazione al 25 marzo è legata, tradizionalmente, a quella del 25 dicembre del Natale.
La festa del 25 marzo, pertanto, pur essendo la festa dell’Annunciazione della nascita del Signore, conserva, tuttavia, anche la sua consistenza mariana. Difatti, Paolo VI, nella Marialis cultus, precisa: “Per la solennità dell’Incarnazione del Verbo, nel Calendario Romano, con motivata risoluzione, è stata ripristinata l’antica denominazione di Annunciazione del Signore, ma la celebrazione era ed è festa congiunta di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa figlio di Maria (Mc 6, 3), e della Vergine che diviene Madre di Dio. Relativamente a Cristo, l’Oriente e l’Occidente, nelle inesauribili ricchezze delle loro Liturgie, celebrano tale solennità come memoria del fiat salvifico del Verbo Incarnato, che entrando nel mondo disse: ‘Ecco, io vengo [...] per fare, o Dio, la tua volontà’ (Eb 10, 7; Sal 39, 8-9); come commemorazione dell’inizio della redenzione e dell’indissolubile e sponsale unione della natura divina con la natura umana nell’unica Persona del Verbo. Relativamente a Maria, come festa della nuova Eva, vergine obbediente e fedele, che con il suo fiat generoso (Lc 1, 38) divenne, per opera dello Spirito, Madre di Dio, ma anche vera Madre dei viventi e, accogliendo nel suo grembo l’unico Mediatore (1Tm 2, 5), vera Arca dell’Alleanza e vero tempio di Dio; come memoria di un momento culminante del dialogo di salvezza tra Dio e l’uomo, e commemorazione del libero consenso della Vergine e del suo concorso al piano della redenzione” (MC 6). E ancora: “nel tempo di Avvento, la liturgia ricorda frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24 dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il Natale, nella quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla Vergine Madre del Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo Precursore” (MC 3).
In realtà, tutto il tempo di Avvento, è una celebrazione dell’economia della salvezza, preannunciata nell’AT, in cui Maria è presente da sempre per la sua predestinazione assoluta, insieme al suo Figlio. Nel breve spazio delle quattro settimane, si celebrano, infatti, tre ricorrenze mariane: il mistero dell’Immacolata Concezione, l’Annunciazione a Maria e la Visitazione di Maria a Elisabetta. La prima celebrazione è autonoma; mentre le altre e due, commemorate nella settimana che precede il Natale, hanno, nel corso dell’anno liturgico, una appropriata celebrazione autonoma: il 25 marzo e il 31 maggio. Specialmente, nelle ferie dal 17 al 24 dicembre, Maria, Madre dell’Avvento, diventa protagonista del mistero, testimone silenziosa del compimento delle promesse: si leggono i vangeli dell’infanzia e gli episodi in cui Maria appare come protagonista nell’annunciazione e nella visitazione. Nei formulari liturgici della Messa sono stati ricuperati preziosi testi eucologici, fra i quali bisogna segnalare la colletta del 20 dicembre, mirabile sintesi di teologia e di pietà; e per la spiritualità dell’attesa messianica, l’inciso del prefazio II dell’Avvento: “La Vergine Madre lo attese e lo portò in grembo con ineffabile amore”.
Il contenuto
Nella festa dell’Annunciazione del Signore si ricorda il momento in cui, nel piccolo borgo di Nazareth, l’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”, e Maria rispose: “Eccomi, sono la serva del Signore! Avvenga di me quello che hai detto”. E così, il Predestinato per eccellenza, Cristo Gesù “nella pienezza del tempo nasce da donna” (Gal 4, 4).
Il racconto lucano (Lc 1, 26-38) supera ogni schema delle annunciazioni dell’AT, perché dichiara le grandi novità della storia della salvezza: il concepimento verginale del Figlio di Dio Incarnato, la Maternità divina di Maria, e la compartecipazione della Madre al mistero pasquale del Figlio; e si articola in diversi punti: apparizione dell’angelo a Maria; saluto, turbamento di Maria e messaggio; chiarimento chiesto da Maria; risposta dell’angelo; conferimento di un segno; risposta di Maria e partenza dell’angelo.
Apparizione dell’angelo a Maria
L’evangelista inizia il suo racconto specificando che l’evento ha avuto luogo sei mesi dopo l’apparizione dell’angelo a Zaccaria, nella “città” di Nazaret, che in realtà era un piccolo villaggio rurale della Galilea. Vengono presentati i personaggi: Gabriele e Maria. L’angelo Gabriele appartiene alla terza gerarchia della corte celeste: Serafini Cherubini e Troni; Dominazioni Virtù e Potestà; e Principati Arcangeli e Angeli. Nella tradizione biblica, degli arcangeli (archànghelos: capo degli angeli) si conoscono tre nomi: Michele (“Chi è come Dio?”); Raffaele (“Medicina di Dio”) e Gabriele (“Dio si manifesta forte potente e onnipotente”). A portare l’annuncio a Maria è proprio Gabriele, che rivela l’onnipotenza di Dio: “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37).
Il nome Maria etimologicamente esprime almeno tre significati importanti e interdipendenti tra loro, perché svela il mistero della sua esistenza. Dall’aramaico: “mia principessa, mia signora, mia regina, che il greco traduce con Kyria, Signora, femminile di Kyrios, Signore”; dall’ebraico: “colei che vede e che fa vedere”, ossia “colei che rende visibile l’Invisibile”; dall’egizio: “colei che è amata da Dio”. La stessa scelta del nome “Maria”, quindi, è tutto un programma, perché predestinata da sempre e associata strettamente o “indissolubilmente” al mistero di Cristo.
Per comprendere a pieno il progetto di Dio su Maria, è indispensabile tener presente, a rivelazione compiuta, le principali testimonianze bibliche su di Lei. Quelle profetiche: il protovangelo del Genesi (3, 15: “la stirpe della donna schiaccerà la testa al serpente”); l’annuncio dell’Emmanuele in Isaia (7, 14: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”); la profezia su Betlemme di Michea (5, 3: “Colei che deve partorire partorirà”); e il portentoso segno celeste dell’Apocalisse (12, 1: “una donna vestita di sole”). Quelle storiche, invece, abbracciano tutto l’aro della storia della salvezza da Abramo a Davide, da Davide a Cristo; le testimonianze estetiche, infine, riguardano tutte quelle immagini o figure bibliche che direttamente o indirettamente prefigurano “colei che è amata da Dio”.
Il semplice nome di “Maria”, pertanto, è talmente evocativo da rivelare sia il mistero della sua esistenza che della sua vocazione, insieme al motivo per cui è sempre Amata da Dio, perché voluta in modo assoluto insieme a Cristo nell’unico e medesimo atto di predestinazione. Tutte le testimonianze mariane di natura profetica costituiscono un’unica grande profezia che rivela gradualmente il mistero di Cristo, cui è associato “indissolubilmente” quello della Vergine Madre. Pur essendo unico il soggetto principale della grande profezia, tuttavia nel suo sviluppo storico, Cristo si manifesta sempre insieme alla Madre, così da costituire una “coppia sui generis”, originale e originante: Figlio-Madre, da cui tutto proviene e nell’ordine soprannaturale e nell’ordine naturale.
Lo stato sociale di Maria è quella di una giovane fanciulla vergine e nubile, ma idonea al matrimonio. Tale è il senso del termine ebraico almah, tradotto in greco dai LXX con parthenos, e recepito nel NT: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele’” (Mt 1, 22-23).
Saluto a Maria
“Rallegrati, o piena di grazia/ il Signore è con te”.
La comprensione di questo angelico saluto merita un po’ di attenzione. Il termine “rallegrati”, con cui l’angelo introduce l’annuncio, è la traduzione del greco chàire che, nell’uso comune, esprime il generico augurio di gioia, equivalente all’italiano “buon giorno”. Per l’influsso, però, dell’AT, il termine si carica anche di un significato religioso e spirituale, fino a designare la gioia messianica ed escatologica, ossia quella particolare gioia che proviene da Dio o dalla sua presenza.
La motivazione di questa speciale gioia è subito data dalle parole “piena di grazia”, che traducono il greco kecharitòmene, un participio perfetto passato del verbo charitòo, derivante dal sostantivo charis, che in sé indica fascino bellezza grazia muliebri; mentre per influsso dell’AT, viene a significare anche favore benevolenza compiacimento. Senza escludere il primo significato, il termine kecharitòmene esprime stabilmente il compiacimento del Signore che si china verso Colei che ama. L’intero saluto, pertanto, potrebbe essere così commentato: “gioisci, o tutta bella, su di te riposa stabilmente la benevolenza divina”, o più semplicemente: “gioisci, o amata da Dio”. Da notare che il termine kecharitòmene indica anche il massimo della grazia che una creatura possa contenere in quanto creatura!
Il saluto dell’angelo indica tanto la presenza di Dio quanto la sua protezione. Maria, pertanto, riceve stabilmente sia l’abbondanza della grazia sia l’assistenza continua da parte di Dio per compiere l’opera messianica dell’Emmanuele, Dio-con-noi. È un’opera che si incarna in Maria come responsabilità sublime della maternità divina e spirituale a un tempo.
È un strano modo di salutare quello dell’angelo, che non chiama per nome la persona cui si rivolge, come farà dopo: “Non temere, Maria…” (v. 30). Che cosa pensare? La spiegazione più ovvia sembra quella della sostituzione del nome proprio con l’espressione “piena di grazia”, come suggerisce il contesto e anche l’etimologia di “Maria”. Nel linguaggio semitico, infatti, il nome portato da una persona definisce ciò che, in realtà, è il personaggio. Nel caso di Maria, il ruolo che ella ha nella storia della salvezza, secondo il disegno preordinato dall’eternità da Dio stesso, in Cristo Gesù.
Turbamento e messaggio
“A queste parole ella rimase turbata…”.
La causa immediata del “turbamento” di Maria non è l’apparizione dell’angelo, bensì le “parole” del suo saluto. Come a dire: Maria è “turbata” meno dalla presenza misteriosa e improvvisa del messaggero, che dal suo “strano” modo di salutarla. Il timore di Maria è di silenzio pensoso e riflessivo, e non di paura. La sua comprensione si evidenziata meglio dal confronto con il precedente episodio di Zaccaria, che “si turbò…e fu invaso da timore” (Lc 1, 12). Per esprimere il turbamento di Zaccaria, l’evangelista usa il termine etaraché, che denota spavento e paura; mentre per quello di Maria, dietaraché, “rimase turbata” (Lc 1, 29), che indica un turbamento dell’anima, benché profondo, nel tentativo di penetrare, nel breve intervallo di silenzio, il significato del “saluto”. Il turbamento di Maria, pertanto, appare più come conseguenza dello sforzo interiore e profondo dell’attività intellettiva di comprensione che un vero e proprio disagio timoroso o di paura.
Indirettamente, la stessa espressione -“Maria si domandava che senso avesse un tale saluto” - orienta verso tale interpretazione, in quanto il testo, oltre alla sua intrinseca misteriosità delle parole, designa chiaramente anche una forte carica di grandezza: “piena di grazia” e “il Signore è con te” (Lc 1, 28). Per cui, il “si domandava” di Maria - espresso in greco con l’imperfetto dieloghizeto - indica proprio un’azione continuativa, per tutto il breve silenzio a disposizione, nel tentativo di comprendere non solo il senso delle parole, ma anche il loro significato di grandezza. Il “turbamento” di Maria, perciò, si risolve nel contesto del duale sforzo interiore e auto-riflettente di comprendere, in toto, il reale “senso del saluto”.
Oltre all’effetto psicofisico, percepito da Maria come “turbamento”, bisogna aggiungere anche la profonda ripercussione della novativa forma augurale di grandezza che il messaggio celeste provoca nella delicata e giovane persona della fanciulla di Nazareth, che si vede spalancati davanti a sé sublimi orizzonti, evocativi di una storia antichissima e contemporanea insieme. Per questo l’angelo sente il bisogno di rassicurarla nel modo più sicuro e dolce: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio (e, per questo,) concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo trono non avrà fine” (Lc 1, 30-33).
Chiarimento di Maria
Di fronte al silenzioso momento meditativo di Maria, l’angelo le annuncia il grandioso invito della maternità divina del “Figlio dell’Altissimo”, che deve rendere visibile l’invisibilità di Dio, per chiamare ogni creatura alla lode e al ringraziamento di questo gesto liberissimo e graditissimo di auto-rivelarsi nella storia, attraverso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. A questo stupendo e sublime invito non c’è mistero da comprendere, ma soltanto chiarimento da chiedere. E difatti, Maria subito: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1, 34).
Sono le prime parole di Maria: una richiesta prudente e riflessiva di chiarimento non tanto per comprendere il mistero dell’annuncio, quanto più possibile personale e volontaria rendere la risposta. Il loro significato non è per nulla facile: fiumi di inchiostro è stato versato per penetrarlo, ma invano. Restano ancora circonfuse da un alone misterioso che desta sempre curiosità e fascino. Oltre a rivelare la profonda identità di chi le ha pronunciate, costituiscono anche il momento storico in cui il divino e l’umano s’incontrano, per dare senso e significato all’intera esistenza umana e cosmica insieme. Parole semplici e riservate che ovattano con solenne delicatezza l’evento storico per eccellenza: l’inizio dell’avventura umana del Verbo di Dio.
Imprevedibile e affascinante è il modo di agire di Dio. Nel momento in cui chiama storicamente Maria a diventare Madre del suo “Figlio”, nello stesso momento lei si auto-dichiara fisiologicamente indisposta! E Dio, proprio per dimostrare la divinità del suo Figlio sulla terra, accetta la “provocazione” di Maria, trascendendo, in un certo qual modo, alla legge naturale della generazione. Senza alcuna velleità di penetrare nelle molteplici questioni sottese alla richiesta di chiarimento, piace interpretare le parole di Maria nel modo più semplice e ovvio possibile, pur nella convinzione di non sollevare alcun velo del mistero che nascondono.
Dal contesto immediato del racconto, risulta che Maria è “una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe”. Ora, nella legislazione ebraica dell’epoca, il fidanzamento aveva effetti giuridici, non era cioè una semplice promessa di futuro matrimonio, ma un perfetto contratto di matrimonio, senza la coabitazione sotto lo stesso tetto, che avveniva, invece, dopo la celebrazione delle nozze.
Nel tempo tra il fidanzamento e le nozze, la ragazza fidanzata era riconosciuta a tutti gli effetti come “moglie” dalla legge. In pratica: poteva ricevere il libello di divorzio o essere punita, se colpevole di infedeltà; se il promesso fidanzato veniva a mancare, la promessa sposa era ritenuta giuridicamente “vedova”.
Se la condizione di Maria è di una ragazza fidanzata, che senso ha la sua richiesta di chiarimento?
Non certamente di natura temporale di non ancora, che sarebbe un non senso, perché ciò che non è ancora possibile, lo sarebbe stato a nozze celebrate. Resta, perciò, di esprimere molto velatamente e con tanta delicatezza il proposito o voto di restare vergine per sempre! Come suggerisce la stessa forma indicativa del presente aoristo del verbo greco “ou ghinosko”, (non conosco), che indica la volontà di restare in tale condizione anche per il futuro, cioè per sempre. L’uso del presente “non conosco”, infatti, non potrebbe essere portato come ostacolo, in ordine al futuro “concepirai”. Sembra plausibile, pertanto, che il chiarimento di Maria contenga velatamente la segreta ferma e decisa volontà di restare nello stato di verginità per sempre.
Risposta dell’angelo
L’angelo sembra confermare la segreta volontà di Maria di restare sempre “vergine”. Le assicura, infatti, che la sua maternità non sarà per via naturale, ma attraverso “l’ombra della potenza dell’Altissimo”, per opera dello Spirito Santo, perché “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). Il nascituro sarà “Santo e chiamato Figlio di Dio”, a cui darai nome di “Gesù, Figlio dell’Altissimo”.
Conferimento di un segno
Al termine del suo annunzio, l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che “nulla è impossibile a Dio”. Con l’accenno a questo segno, s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione; d’altro canto la parola dell’angelo prepara direttamente il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta.
Risposta di Maria
Alle parole chiarificatrici dell’angelo, Maria risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore…”. Con la sua risposta, Maria si rende disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Si apre così la via all’intervento dello Spirito Santo, che rende possibile la nascita storica del Figlio di Dio, predestinato nel disegno divino (Rm 1, 3-4; Ef 1, 3-6). La risposta di Maria costituisce, da un lato, la condizione fondamentale per manifestare il più grande amore di Dio, ossia il suo Capolavoro, e, dall’altro, segna per sempre la storia, evocando in nuce l’intero progetto di salvezza, voluto benevolmente da Dio e manifestato totalmente in Cristo Gesù.
Al segno non richiesto, Maria non batte ciglio, ma, nella perfetta coscienza di essere stata prescelta a Madre del Signore, risponde semplicemente: “Eccomi, sono la serva del Signore! Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). La risposta di Maria è un semplice “sì” di perfetto acconsentimento e di totale abbandono alla volontà di Dio. Il Signore la eleva alla massima dignità, alla maternità divina, e Maria, consapevole della sua condizione creaturale, si auto-definisce la schiava del Signore. Il termine greco doule esprime più realisticamente la condizione di chi non ha alcun potere sopra di sé, ma lo riconosce al suo Padrone o Signore.
Nel linguaggio comune lo schiavo è considerato come una res, una cosa; in quello teologico, invece, pur conservando il carattere di incondizionata sottomissione, perde la nota dispregiativa, e diventa anche onorifico (Sl 88, 3). Nell’uso religioso-liturgico, perciò, conserva sempre la consapevolezza dell’infinita distanza e della totale dipendenza da Dio.
La risposta di Maria esprime con tutta sincerità e consapevolezza l’appartenenza a Dio e la anche la dipendenza da Dio. Di fronte a Dio, Maria sa di essere una creatura, anche se fatto oggetto di un dono d’amore infinito, e accetta di essere amata da Dio e si abbandona alla sua volontà. Inizia così l’avventura umana dell’Incarnazione del Verbo di Dio.
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm
Nella festa dell’Annunciazione del Signore si ricorda il momento in cui, nel piccolo borgo di Nazareth, l’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”, e Maria rispose: “Eccomi, sono la serva del Signore! Avvenga di me quello che hai detto”. E così, il Predestinato per eccellenza, Cristo Gesù “nella pienezza del tempo nasce da donna” (Gal 4, 4).
Il racconto lucano (Lc 1, 26-38) supera ogni schema delle annunciazioni dell’AT, perché dichiara le grandi novità della storia della salvezza: il concepimento verginale del Figlio di Dio Incarnato, la Maternità divina di Maria, e la compartecipazione della Madre al mistero pasquale del Figlio; e si articola in diversi punti: apparizione dell’angelo a Maria; saluto, turbamento di Maria e messaggio; chiarimento chiesto da Maria; risposta dell’angelo; conferimento di un segno; risposta di Maria e partenza dell’angelo.
Apparizione dell’angelo a Maria
L’evangelista inizia il suo racconto specificando che l’evento ha avuto luogo sei mesi dopo l’apparizione dell’angelo a Zaccaria, nella “città” di Nazaret, che in realtà era un piccolo villaggio rurale della Galilea. Vengono presentati i personaggi: Gabriele e Maria. L’angelo Gabriele appartiene alla terza gerarchia della corte celeste: Serafini Cherubini e Troni; Dominazioni Virtù e Potestà; e Principati Arcangeli e Angeli. Nella tradizione biblica, degli arcangeli (archànghelos: capo degli angeli) si conoscono tre nomi: Michele (“Chi è come Dio?”); Raffaele (“Medicina di Dio”) e Gabriele (“Dio si manifesta forte potente e onnipotente”). A portare l’annuncio a Maria è proprio Gabriele, che rivela l’onnipotenza di Dio: “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37).
Il nome Maria etimologicamente esprime almeno tre significati importanti e interdipendenti tra loro, perché svela il mistero della sua esistenza. Dall’aramaico: “mia principessa, mia signora, mia regina, che il greco traduce con Kyria, Signora, femminile di Kyrios, Signore”; dall’ebraico: “colei che vede e che fa vedere”, ossia “colei che rende visibile l’Invisibile”; dall’egizio: “colei che è amata da Dio”. La stessa scelta del nome “Maria”, quindi, è tutto un programma, perché predestinata da sempre e associata strettamente o “indissolubilmente” al mistero di Cristo.
Per comprendere a pieno il progetto di Dio su Maria, è indispensabile tener presente, a rivelazione compiuta, le principali testimonianze bibliche su di Lei. Quelle profetiche: il protovangelo del Genesi (3, 15: “la stirpe della donna schiaccerà la testa al serpente”); l’annuncio dell’Emmanuele in Isaia (7, 14: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”); la profezia su Betlemme di Michea (5, 3: “Colei che deve partorire partorirà”); e il portentoso segno celeste dell’Apocalisse (12, 1: “una donna vestita di sole”). Quelle storiche, invece, abbracciano tutto l’aro della storia della salvezza da Abramo a Davide, da Davide a Cristo; le testimonianze estetiche, infine, riguardano tutte quelle immagini o figure bibliche che direttamente o indirettamente prefigurano “colei che è amata da Dio”.
Il semplice nome di “Maria”, pertanto, è talmente evocativo da rivelare sia il mistero della sua esistenza che della sua vocazione, insieme al motivo per cui è sempre Amata da Dio, perché voluta in modo assoluto insieme a Cristo nell’unico e medesimo atto di predestinazione. Tutte le testimonianze mariane di natura profetica costituiscono un’unica grande profezia che rivela gradualmente il mistero di Cristo, cui è associato “indissolubilmente” quello della Vergine Madre. Pur essendo unico il soggetto principale della grande profezia, tuttavia nel suo sviluppo storico, Cristo si manifesta sempre insieme alla Madre, così da costituire una “coppia sui generis”, originale e originante: Figlio-Madre, da cui tutto proviene e nell’ordine soprannaturale e nell’ordine naturale.
Lo stato sociale di Maria è quella di una giovane fanciulla vergine e nubile, ma idonea al matrimonio. Tale è il senso del termine ebraico almah, tradotto in greco dai LXX con parthenos, e recepito nel NT: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ‘Ecco, la vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele’” (Mt 1, 22-23).
Saluto a Maria
“Rallegrati, o piena di grazia/ il Signore è con te”.
La comprensione di questo angelico saluto merita un po’ di attenzione. Il termine “rallegrati”, con cui l’angelo introduce l’annuncio, è la traduzione del greco chàire che, nell’uso comune, esprime il generico augurio di gioia, equivalente all’italiano “buon giorno”. Per l’influsso, però, dell’AT, il termine si carica anche di un significato religioso e spirituale, fino a designare la gioia messianica ed escatologica, ossia quella particolare gioia che proviene da Dio o dalla sua presenza.
La motivazione di questa speciale gioia è subito data dalle parole “piena di grazia”, che traducono il greco kecharitòmene, un participio perfetto passato del verbo charitòo, derivante dal sostantivo charis, che in sé indica fascino bellezza grazia muliebri; mentre per influsso dell’AT, viene a significare anche favore benevolenza compiacimento. Senza escludere il primo significato, il termine kecharitòmene esprime stabilmente il compiacimento del Signore che si china verso Colei che ama. L’intero saluto, pertanto, potrebbe essere così commentato: “gioisci, o tutta bella, su di te riposa stabilmente la benevolenza divina”, o più semplicemente: “gioisci, o amata da Dio”. Da notare che il termine kecharitòmene indica anche il massimo della grazia che una creatura possa contenere in quanto creatura!
Il saluto dell’angelo indica tanto la presenza di Dio quanto la sua protezione. Maria, pertanto, riceve stabilmente sia l’abbondanza della grazia sia l’assistenza continua da parte di Dio per compiere l’opera messianica dell’Emmanuele, Dio-con-noi. È un’opera che si incarna in Maria come responsabilità sublime della maternità divina e spirituale a un tempo.
È un strano modo di salutare quello dell’angelo, che non chiama per nome la persona cui si rivolge, come farà dopo: “Non temere, Maria…” (v. 30). Che cosa pensare? La spiegazione più ovvia sembra quella della sostituzione del nome proprio con l’espressione “piena di grazia”, come suggerisce il contesto e anche l’etimologia di “Maria”. Nel linguaggio semitico, infatti, il nome portato da una persona definisce ciò che, in realtà, è il personaggio. Nel caso di Maria, il ruolo che ella ha nella storia della salvezza, secondo il disegno preordinato dall’eternità da Dio stesso, in Cristo Gesù.
Turbamento e messaggio
“A queste parole ella rimase turbata…”.
La causa immediata del “turbamento” di Maria non è l’apparizione dell’angelo, bensì le “parole” del suo saluto. Come a dire: Maria è “turbata” meno dalla presenza misteriosa e improvvisa del messaggero, che dal suo “strano” modo di salutarla. Il timore di Maria è di silenzio pensoso e riflessivo, e non di paura. La sua comprensione si evidenziata meglio dal confronto con il precedente episodio di Zaccaria, che “si turbò…e fu invaso da timore” (Lc 1, 12). Per esprimere il turbamento di Zaccaria, l’evangelista usa il termine etaraché, che denota spavento e paura; mentre per quello di Maria, dietaraché, “rimase turbata” (Lc 1, 29), che indica un turbamento dell’anima, benché profondo, nel tentativo di penetrare, nel breve intervallo di silenzio, il significato del “saluto”. Il turbamento di Maria, pertanto, appare più come conseguenza dello sforzo interiore e profondo dell’attività intellettiva di comprensione che un vero e proprio disagio timoroso o di paura.
Indirettamente, la stessa espressione -“Maria si domandava che senso avesse un tale saluto” - orienta verso tale interpretazione, in quanto il testo, oltre alla sua intrinseca misteriosità delle parole, designa chiaramente anche una forte carica di grandezza: “piena di grazia” e “il Signore è con te” (Lc 1, 28). Per cui, il “si domandava” di Maria - espresso in greco con l’imperfetto dieloghizeto - indica proprio un’azione continuativa, per tutto il breve silenzio a disposizione, nel tentativo di comprendere non solo il senso delle parole, ma anche il loro significato di grandezza. Il “turbamento” di Maria, perciò, si risolve nel contesto del duale sforzo interiore e auto-riflettente di comprendere, in toto, il reale “senso del saluto”.
Oltre all’effetto psicofisico, percepito da Maria come “turbamento”, bisogna aggiungere anche la profonda ripercussione della novativa forma augurale di grandezza che il messaggio celeste provoca nella delicata e giovane persona della fanciulla di Nazareth, che si vede spalancati davanti a sé sublimi orizzonti, evocativi di una storia antichissima e contemporanea insieme. Per questo l’angelo sente il bisogno di rassicurarla nel modo più sicuro e dolce: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio (e, per questo,) concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo trono non avrà fine” (Lc 1, 30-33).
Chiarimento di Maria
Di fronte al silenzioso momento meditativo di Maria, l’angelo le annuncia il grandioso invito della maternità divina del “Figlio dell’Altissimo”, che deve rendere visibile l’invisibilità di Dio, per chiamare ogni creatura alla lode e al ringraziamento di questo gesto liberissimo e graditissimo di auto-rivelarsi nella storia, attraverso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. A questo stupendo e sublime invito non c’è mistero da comprendere, ma soltanto chiarimento da chiedere. E difatti, Maria subito: “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc 1, 34).
Sono le prime parole di Maria: una richiesta prudente e riflessiva di chiarimento non tanto per comprendere il mistero dell’annuncio, quanto più possibile personale e volontaria rendere la risposta. Il loro significato non è per nulla facile: fiumi di inchiostro è stato versato per penetrarlo, ma invano. Restano ancora circonfuse da un alone misterioso che desta sempre curiosità e fascino. Oltre a rivelare la profonda identità di chi le ha pronunciate, costituiscono anche il momento storico in cui il divino e l’umano s’incontrano, per dare senso e significato all’intera esistenza umana e cosmica insieme. Parole semplici e riservate che ovattano con solenne delicatezza l’evento storico per eccellenza: l’inizio dell’avventura umana del Verbo di Dio.
Imprevedibile e affascinante è il modo di agire di Dio. Nel momento in cui chiama storicamente Maria a diventare Madre del suo “Figlio”, nello stesso momento lei si auto-dichiara fisiologicamente indisposta! E Dio, proprio per dimostrare la divinità del suo Figlio sulla terra, accetta la “provocazione” di Maria, trascendendo, in un certo qual modo, alla legge naturale della generazione. Senza alcuna velleità di penetrare nelle molteplici questioni sottese alla richiesta di chiarimento, piace interpretare le parole di Maria nel modo più semplice e ovvio possibile, pur nella convinzione di non sollevare alcun velo del mistero che nascondono.
Dal contesto immediato del racconto, risulta che Maria è “una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe”. Ora, nella legislazione ebraica dell’epoca, il fidanzamento aveva effetti giuridici, non era cioè una semplice promessa di futuro matrimonio, ma un perfetto contratto di matrimonio, senza la coabitazione sotto lo stesso tetto, che avveniva, invece, dopo la celebrazione delle nozze.
Nel tempo tra il fidanzamento e le nozze, la ragazza fidanzata era riconosciuta a tutti gli effetti come “moglie” dalla legge. In pratica: poteva ricevere il libello di divorzio o essere punita, se colpevole di infedeltà; se il promesso fidanzato veniva a mancare, la promessa sposa era ritenuta giuridicamente “vedova”.
Se la condizione di Maria è di una ragazza fidanzata, che senso ha la sua richiesta di chiarimento?
Non certamente di natura temporale di non ancora, che sarebbe un non senso, perché ciò che non è ancora possibile, lo sarebbe stato a nozze celebrate. Resta, perciò, di esprimere molto velatamente e con tanta delicatezza il proposito o voto di restare vergine per sempre! Come suggerisce la stessa forma indicativa del presente aoristo del verbo greco “ou ghinosko”, (non conosco), che indica la volontà di restare in tale condizione anche per il futuro, cioè per sempre. L’uso del presente “non conosco”, infatti, non potrebbe essere portato come ostacolo, in ordine al futuro “concepirai”. Sembra plausibile, pertanto, che il chiarimento di Maria contenga velatamente la segreta ferma e decisa volontà di restare nello stato di verginità per sempre.
Risposta dell’angelo
L’angelo sembra confermare la segreta volontà di Maria di restare sempre “vergine”. Le assicura, infatti, che la sua maternità non sarà per via naturale, ma attraverso “l’ombra della potenza dell’Altissimo”, per opera dello Spirito Santo, perché “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). Il nascituro sarà “Santo e chiamato Figlio di Dio”, a cui darai nome di “Gesù, Figlio dell’Altissimo”.
Conferimento di un segno
Al termine del suo annunzio, l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che “nulla è impossibile a Dio”. Con l’accenno a questo segno, s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione; d’altro canto la parola dell’angelo prepara direttamente il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta.
Risposta di Maria
Alle parole chiarificatrici dell’angelo, Maria risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore…”. Con la sua risposta, Maria si rende disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Si apre così la via all’intervento dello Spirito Santo, che rende possibile la nascita storica del Figlio di Dio, predestinato nel disegno divino (Rm 1, 3-4; Ef 1, 3-6). La risposta di Maria costituisce, da un lato, la condizione fondamentale per manifestare il più grande amore di Dio, ossia il suo Capolavoro, e, dall’altro, segna per sempre la storia, evocando in nuce l’intero progetto di salvezza, voluto benevolmente da Dio e manifestato totalmente in Cristo Gesù.
Al segno non richiesto, Maria non batte ciglio, ma, nella perfetta coscienza di essere stata prescelta a Madre del Signore, risponde semplicemente: “Eccomi, sono la serva del Signore! Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). La risposta di Maria è un semplice “sì” di perfetto acconsentimento e di totale abbandono alla volontà di Dio. Il Signore la eleva alla massima dignità, alla maternità divina, e Maria, consapevole della sua condizione creaturale, si auto-definisce la schiava del Signore. Il termine greco doule esprime più realisticamente la condizione di chi non ha alcun potere sopra di sé, ma lo riconosce al suo Padrone o Signore.
Nel linguaggio comune lo schiavo è considerato come una res, una cosa; in quello teologico, invece, pur conservando il carattere di incondizionata sottomissione, perde la nota dispregiativa, e diventa anche onorifico (Sl 88, 3). Nell’uso religioso-liturgico, perciò, conserva sempre la consapevolezza dell’infinita distanza e della totale dipendenza da Dio.
La risposta di Maria esprime con tutta sincerità e consapevolezza l’appartenenza a Dio e la anche la dipendenza da Dio. Di fronte a Dio, Maria sa di essere una creatura, anche se fatto oggetto di un dono d’amore infinito, e accetta di essere amata da Dio e si abbandona alla sua volontà. Inizia così l’avventura umana dell’Incarnazione del Verbo di Dio.
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm