domenica 24 ottobre 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

Dettagli evento

  • domenica | 24 ottobre 2021

Per prendere visione delle Lectio Divine finora pubblicate 

_____________________________________________________________________________________________________________________

Lectio domenica 24 ottobre 2021

 Domenica Trentesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
 
Lettera agli Ebrei 5, 1 – 6
Marco 10, 46 - 52
 
 
1) Orazione iniziale 
O Dio, luce ai ciechi e gioia ai tribolati, che nel tuo Figlio unigenito ci hai dato il sacerdote giusto e compassionevole verso coloro che gemono nell’oppressione e nel pianto, ascolta il grido della nostra preghiera: fa’ che tutti gli uomini riconoscano in lui la tenerezza del tuo amore di Padre e si mettano in cammino verso di te.
______________________________________________________________________________
 
 
2) Lettura: Lettera agli Ebrei 5, 1 - 6
Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 
Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek».
 
3) Commento su Lettera agli Ebrei 5, 1 - 6
 Ogni sommo sacerdote - ci dice la seconda lettura, continuando la proposta antologica della lettera agli Ebrei - scelto fra gli uomini, è costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio. Egli non è al di sopra della comune situazione: peccatore fra i peccatori, rivestito di debolezza - per cui è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore - deve offrire anche per se stesso sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo.
C'è un solo vero sacerdote che riunisce nella sua persona la debolezza dell'uomo e la potenza rinnovatrice dell'Altissimo: Gesù Cristo. Egli non si è preso da se stesso la dignità di sommo sacerdote dell'umanità, ma l'ha ricevuta dal Padre. Infatti Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito (Gv 3,16). Egli è Colui che Dio ha mandato. Il Padre ama il Figlio (Gv 3,34-35) e continuamente gli dice: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Ma insieme gli dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchisedek. Egli, misterioso nella sua origine e nel tipo di sacrificio come Melchisedek (Gen 14,17-24), non ha peccato ed offre se stesso in sacrificio per i peccati di molti. Perciò - come abbiamo ascoltato Domenica: "non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze, dal momento che è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno" (Eb 4,15-16).
Accostiamoci con fiducia, perché sono per noi le parole di Dio, scritte dal profeta Isaia: Io sono un padre per il mio popolo e tu - tu che ascolti, tu che soffri, tu che ami, tu che preghi - tu, sei mio figlio prediletto!
 
Altro argomento di riflessione sicuramente ce lo offre San Paolo che nella sua lettera agli Ebrei ci ricorda l'esistenza di una dignità sacerdotale che è servizio alla salvezza, tramite ed intercessione per tutti con Dio, dignità comune a tutti i battezzati. Essa è prima di tutto un dono, una scelta divina che su di noi è caduta per Grazia e che nessuno può attribuirsi da solo questo onore. A noi spetta riconoscere, umilmente, questo dono e lasciare che sia Dio a confermare la nostra dignità, sia Dio ad agire anche attraverso le nostre debolezze. La nostra dignità non è un compito stressante che passa attraverso le nostre erculee fatiche ma un’ elevazione divina che è iniziativa di Dio a cui noi dobbiamo rispondere anche solo con un cenno del capo, a Lui basterà. Certo, ciò porterà a noi impegno e fatica ma, umilmente, dobbiamo anche riconoscere che a farci sentire il peso e le fatiche saranno sempre i nostri handicap di fede e non l'Amore di Dio!
______________________________________________________________________________
 
 
4) Lettura: Vangelo secondo Marco 10, 46 - 52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Marco 10, 46 - 52
Il vangelo di Marco è attraversato da due domande: “Chi è Gesù?” e “Chi è il discepolo?”.
Il brano di oggi ci aiuta ad avere indicazioni importanti.
Gesù stava salendo da Gerico a Gerusalemme e lungo la strada sedeva Bartimeo, un uomo cieco; egli, appena seppe che passava Gesù, si mise a gridare e a chiamarlo ad alta voce: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Il titolo “figlio di Davide” è messianico e quindi quell’uomo mostrava di credere che Gesù è il Cristo. La gente cercava di farlo tacere, ma egli sapeva che non poteva perdere quell’occasione unica: il suo grido era una preghiera, una reazione alla sua situazione, il segno che egli non si rassegnava alla condizione di cecità.
Gesù si accorse di lui e lo fece chiamare: il Signore era attento alle persone, specialmente a quelle bisognose, come dimostrò anche in altre occasioni: pensiamo a Zaccheo, nascosto su un albero o alla emorroissa. Bartimeo, sentitosi chiamare, abbandonò il suo mantello, tutto ciò che aveva, e corse da Gesù. Il Signore gli pose allora una domanda: “Che vuoi che io ti faccia?” Può sembrare una domanda superflua, ma Gesù, come anche in altre occasioni, voleva che il suo interlocutore esprimesse ciò che desiderava nel profondo, che gli desse un nome. Alla domanda del cieco Gesù rispose:” La tua fede ti ha salvato” ed egli guarì: il Signore metteva quindi in evidenza la fede dell’uomo e quasi attribuiva ad essa il miracolo, indicando cosa è fondamentale per la salvezza. Bartimeo, guarito, si mise a seguire Gesù.
Ecco allora che il brano ci dà una risposta su chi è Gesù: Egli è la “luce del mondo”, come dice Giovanni nel suo vangelo: “chi segue Lui avrà la luce della vita”. E il brano ci dice anche chi è il discepolo: è colui che, riconoscendo in Gesù il Messia, abbandona tutto e lo segue.
Il vangelo di oggi si può leggere anche in maniera simbolica, vedendo nella luce il dono della fede.
Noi credenti a volte diamo così per scontata la fede da non renderci conto del dono immenso che è: chi ha fede ha più forza nell’affrontare la vita, perché sa che non è solo, che c’è un Dio che lo ama e che lo sostiene; il credente sa che la vita ha un senso e proprio per questo è più sereno nelle prove. Ringraziamo il Signore per il dono della fede e stiamo accanto a chi non ha questa grazia per sostenerlo e magari fargli intravvedere cosa è credere
 
L’evangelista Marco che ascoltiamo quest’anno ci presenta le azioni e le parole di Gesù durante il suo viaggio a Gerusalemme. Viaggio sicuramente topografico, ma anche e soprattutto simbolico. Questa strada che Gesù percorre con entusiasmo - “Gesù li precedeva” - e dove i discepoli lo seguono con diffidenza o inquietudine - “essi erano spaventati, e coloro che seguivano erano anche timorosi” (Mc 10,32) - qui arriva al termine. Ecco il contesto della lettura sulla quale meditiamo oggi. 
Al termine del cammino, oggi incontriamo un cieco. Un cieco, che, in più, è un mendicante. In lui c’è oscurità, tenebre, e assenza. E attorno a lui c’è soltanto il rigetto: “Molti lo sgridavano per farlo tacere”. Gesù chiama il cieco, ascolta la sua preghiera, e la esaudisce. Anche oggi, qui, tra coloro che il Signore ha riunito, “ci sono il cieco e lo zoppo” (prima lettura) - quello che noi siamo -; ed è per questo che le azioni di Gesù, che ci vengono raccontate, devono renderci più pieni di speranza. 
È nel momento in cui termina il viaggio di Gesù a Gerusalemme (e dove termina il ciclo liturgico), che un mendicante cieco celebra Gesù e lo riconosce come “Figlio di Davide”, o Messia; e questo mendicante riacquista la vista e “segue Gesù per la strada”. È un simbolo, un invito. Chiediamo al Signore che ci accordi la luce della fede e ci dia vigore, affinché lo seguiamo come il cieco di Gerico, fino a che non avremo raggiunto la Gerusalemme definitiva.
 
Siamo anche noi ciechi e mendicanti, come Bartimeo.
Un mendicante cieco: l'ultimo della fila, un naufrago della vita, relitto abbandonato al buio nella polvere di una strada di Palestina. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù ed è come un piccolo turbine, si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro.
Bartimeo comincia a gridare: Gesù, abbi pietà. È, tra tutte, la preghiera più cristiana ed evangelica, la più umana. Rimasta nelle nostre liturgie, nel suono antico di «Kyrie eleison» o di «Signore, pietà», confinata purtroppo nell'ambito riduttivo dell'atto penitenziale. Non di perdono si tratta. Quando preghiamo così, come ciechi, donne o lebbrosi del Vangelo, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario che preme sotto questa formula, e che indica grembo di madre, vita generata e partorita di nuovo. La misericordia di Dio comprende tutto ciò che serve alla vita dell'uomo.
Bartimeo non domanda pietà per i suoi peccati, ma per i suoi occhi spenti. Invoca il Donatore di vita in abbondanza: mostrati padre, sentiti madre di questo figlio che ha fatto naufragio, ridammi alla luce!
La folla fa muro al suo grido: Taci! Disturbi! Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore possa disturbare. Ma è così ancora, abbiamo ritualizzato la religione e un grido fuori programma disturba. Ma la vita è un fuori programma continuo: la vita non è un rito. C'è nell'uomo un gemito, di cui abbiamo perso l'alfabeto; un grido, su cui non riusciamo a sintonizzarci.
Invece il rabbi ascolta e risponde. E si libera tutta l'energia della vita. Lo notiamo dai gesti, quasi eccessivi: Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi.
La fede porta con sé un balzo in avanti, porte che si spalancano, sentieri nel sole, un di più illogico e bello. Credere è acquisire bellezza del vivere.
Bartimeo guarisce come uomo, prima che come cieco. Guarisce in quella voce che lo accarezza: qualcuno si è accorto di lui, qualcuno lo tocca, anche solo con una voce amica, e lui esce dal suo naufragio umano: l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri.
È chiamato con amore e allora la sua vita si riaccende, si rialza in piedi, si precipita, anche senza vedere, verso una voce, orientato da una parola buona che ancora vibra nell'aria. Sentire che qualcuno ci ama rende fortissimi.
Anche noi ci orientiamo nella vita come il mendicante cieco di Gerico, forse senza vedere chiaro, ma sull'eco della Parola di Dio, ascoltata nel Vangelo, nella voce intima che indica la via, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. E che continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra.
______________________________________________________________________________
 
 
6)  Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
- Come il cieco di Gerico, anche noi gridiamo a Gesù la nostra fede, per ottenere da lui misericordia e perdono. E ci facciamo voce delle tante persone che non sanno o non vogliono più rivolgersi al Signore, chiedendo per loro il dono della fede?
- Riusciamo a pregare per gli ammalati, perché non siano costretti a vivere in solitudine e nella tristezza, e trovino in Gesù conforto, luce per dare senso alla propria esistenza e speranza nella risurrezione?
- La nostra fede è fondata sull'obbedienza o sulle nostre idee?
- Camuffiamo la mancanza di umiltà con il così detto santo orgoglio?
- Corriamo dietro la vanagloria, cercando di apparire e non di essere?
 
 
 
 
 
7) Preghiera: Salmo 125
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
 
Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.         
 
Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.           
 
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.
 
Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.
 
 
8) Orazione Finale
O Padre, aiutaci a ritrovare in Gesù il senso festoso della vita, perché è il pensiero di camminare sulla sua strada l'unica certezza che ci da gioia profonda e illumina la nostra esistenza.