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- domenica | 17 ottobre 2021
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Lectio domenica 17 ottobre 2021
Domenica della Ventinovesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Sant’Ignazio di Antiochia
Lettera agli Ebrei 4, 14 – 16
Marco 10, 35 - 45
1) Orazione iniziale
Dio onnipotente ed eterno, che nel sacrificio dei martiri edifichi la tua Chiesa, mistico corpo del Cristo, fa’ che la gloriosa passione che meritò a sant’Ignazio di Antiochia una corona immortale, ci renda sempre forti nella fede.
Nelle tre virtù teologali la speranza si trova tra la fede e la carità: si appoggia alla fede e dà slancio alla carità. Avere molta speranza è come orientarsi verso la cima di una montagna: chi vuoi raggiungerla desidera superare tutti gli ostacoli per poter contemplare il meraviglioso panorama che si gode dall'alto.
Sant'Ignazio d'Antiochia era colmo di un'immensa speranza.
E la speranza a dare la forza di resistere alle tentazioni, a dare il coraggio di resistere nelle difficoltà. Chiediamo a Dio che la passione di sant'Ignazio di Antiochia sia per noi fonte di fortezza nella fede. Perché possiamo pregare cosi? Perché essa è una manifestazione di grande speranza. Sant'Ignazio ha avuto il coraggio di perdere la vita per guadagnarla.
"C'è in me un'acqua viva che mi sussurra: Vieni al Padre!". E l'espressione della sua speranza: la parola di Cristo è diventata in lui come una sorgente che vuol zampillare fino al Padre. Egli ardeva dal desiderio di guadagnare Cristo e per questo vedeva la necessità di essere simile a lui nella passione, di essere macinato dai denti delle belve per diventare frumento di Cristo. "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto", leggiamo nel Vangelo. Nella sua grande speranza egli corre incontro al martirio, con un coraggio intrepido.
Ed ora Ignazio splende ai nostri occhi come un santo ardente di fervore e di amore, che ci fa vergognare dei nostri atteggiamenti di fronte alle piccole difficoltà della nostra vita. Come san Paolo scrive ripetutamente, dovremmo poter dire: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza". Ed è una speranza che non delude.
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2) Lettura: Lettera agli Ebrei 4, 14 - 16
Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.
Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.
Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.
3) Commento su Lettera agli Ebrei 4, 14 - 16
«Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno." (Eb. 4, 16) - Come vivere questa Parola?
Domenica scorsa la liturgia ci presentava Gesù e la sua perentoria affermazione: "Solo Dio è buono". Nelle sue parole è evidente la provocazione a rivedere il nostro linguaggio e depurarlo da messaggi sottintesi, imprecisi, ambigui, ricattatori che rivelano un'idea di Dio e di conseguenza uno scorretto approccio a Lui, perché pensato e determinato nella propria comprensione come qualcuno da adulare, sedurre, attirare con le proprie prestazioni o buone opere. In questa domenica la seconda lettura, dalla lettera agli Ebrei, disegna l'approccio corretto per cercare Dio e andare a Lui: muoversi nella fiducia in lui, non nella boria del proprio curriculum. Muoversi e andare al trono della sua grazia. Con questa espressione l'autore della lettera agli ebrei si immagina Cristo Re vittorioso che condivide con il Padre e con lo Spirito il governo del Regno. Il Regno di Dio non ha nulla in comune con le espressioni terrene di potere temporale: le immagini che lo spiegano sono piuttosto "l'entrare nel suo riposo" del salmo 94, "i pascoli verdeggianti" del salmo 22. Luoghi di pace, di comunione, spazi di intensa relazione dove l'operare, l'agire che fa e disfa e rifà, sono superati dal dimorare, dal riconoscersi intimamente, dall'essere faccia a faccia con Dio. Luoghi dove l'impronta incontra la sua sostanza (cfr Eb 1, 3) e si apre ad ogni creatura fatta a sua immagine e somiglianza.
Lì ci aspettano misericordia e grazia. Queste sono la sostanza che abita il Regno. Nulla da conquistare, tutto da ricevere. In altre parole questo è l'amore: quello vero, primigenio, matrice di ogni altra espressione di amore. Quello che compatisce, scusa, consola, con pazienza aspetta, rispetta e protegge.
Signore, ci prepariamo al giubileo della misericordia. Che il nostro incontro sia con la vera misericordia di Dio, non con l'idolo fatto a nostra immagine e somiglianza, di un amore a pagamento. E che l'incontro con la misericordia ci renda misericordiosi, senza limiti.
Ecco la voce della Sacra Scrittura Salmo 33: "Signore, che guardi dal cielo e vedi tutti gli uomini: dal trono dove siedi, scruta tutti gli abitanti della terra e vieni in nostro aiuto! Sia su di noi il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo!"
Sulla strada per salire a Gerusalemme, racconta in queste domeniche l'evangelista Marco, ci sono dei momenti che lasciano sgomenti i discepoli che camminano con Gesù e anche noi che cerchiamo di seguire il Maestro passo dopo passo. I temi affrontati nell'insegnamento non sono tra i più semplici e facilmente comprensibili, tanto meno se per la terza volta si preannunciano degli avvenimenti che riguardano il Figlio dell'uomo nella città santa: sarà consegnato ai capi, lo condanneranno a morte, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno, lo uccideranno (cf Mc 10,33-34). Verbi che richiamano la sorte del Servo del Signore nei Canti di Isaia, l'ultimo dei quali la liturgia oggi in parte ci presenta (cf Is 53;2.3.10-11).
In questo contesto viene inserita la scena singolare e simpatica dei due discepoli, fratelli, pescatori, tra i primi che subito lasciarono tutto per seguire Gesù. Sembra come se Giacomo e Giovanni non avessero sentito tutti quei verbi quando si avvicinano al Maestro con una richiesta quasi ingenua, proiettata al loro futuro: sedere alla destra e alla sinistra nella gloria del Signore. Sono convinti di potercela fare - perché Gli stanno vicino già ora, perché Gli sono fedeli, perché possono bere il calice che Lui beve, anche se sarà amaro. Una richiesta che suscita indignazione tra i compagni, forse perché convinti anche loro di essere degni dei posti di prestigio, ora e nel futuro. Allora Gesù, di nuovo, come all'inizio di sequela di ciascuno di loro, li chiamò a sé e pazientemente chiarisce ancora una volta che cosa vuol dire essere grande ed essere piccolo. Vicino al trono o all'ultimo posto, il Figlio dell'uomo e ogni suo discepolo è e rimane colui che serve! Che dona la propria vita in riscatto per molti! Il Figlio dell'uomo che dopo la passione e morte risorgerà il terzo (cf Mc 10,34).
È questa la missione del Servo del Signore che si addosserà le iniquità di molti, li giustificherà e dopo il suo intimo tormento vedrà la luce (cf Is 53,11); è la missione del sommo sacerdote che prende parte delle nostre debolezze e con il suo sacrificio ci avvicina al trono di Dio, alla destra del quale è il suo posto e da dove elargisce per sempre la sua benevolenza. A questo trono sono invitati ad accostarsi Giacomo e Giovanni. Ed ognuno di noi. Per trovare grazia e misericordia ed essere aiutati al momento opportuno. Per essere umili servitori della sua Parola in mezzo a tutti i popoli della terra.
Signore, che guardi dal cielo e vedi tutti gli uomini: dal trono dove siedi scruta tutti gli abitanti della terra e vieni in nostro aiuto! Sia su di noi il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo! (cf Sal 33)
Dal messaggio del Santo Padre per la Giornata Missionaria Mondiale 2012: Con il beato John Henry Newman vorrei pregare: "Accompagna, o Signore, i tuoi missionari nelle terre da evangelizzare, metti le parole giuste sulle loro labbra, rendi fruttuosa la loro fatica".
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4) Lettura: Vangelo secondo Marco 10, 35 - 45
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
5) Riflessione sul Vangelo secondo Marco 10, 35 - 45
Il brano del vangelo di oggi presenta Gesù che sta camminando verso Gerusalemme, verso la passione, e non lascia spazio a tentennamenti: Egli ha detto chiaramente ai suoi che dovrà soffrire e morire, ma essi sono presi da altre cose: Giacomo e Giovanni chiedono di partecipare alla gloria che a loro modo di vedere gli toccherà. Gesù, e questo già ci stupisce, non si arrabbia né si sdegna: Egli non è per nulla preoccupato di se stesso o stizzito per la profonda incomprensione dei discepoli in ordine a quanto gli sta per accadere; Gesù si preoccupa con pazienza di spiegare ai due fratelli e poi a tutti gli altri che chi vuole essere grande deve farsi servo. E qui il Signore dà un insegnamento estremamente chiaro: chi vuol essere il primo si faccia servo di tutti. Anche noi, credo, facciamo fatica a accettare la logica della croce, per la quale il Signore ci ha salvati passando attraverso il rifiuto degli uomini e una morte obbrobriosa; e facciamo fatica ad accettare che la stessa dinamica di morte e risurrezione si manifesti nella nostra vita: così anche a noi Gesù non si stanca di ripetere gli insegnamenti che diede agli apostoli e di testimoniare la via da seguire: Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto per molti.
La contemplazione di Gesù che assume il peso delle nostre iniquità per aprirci la via della comunione con Dio, ci aiuta a uscire dai nostri schemi e a perseguire la vera grandezza, che non è quella del dominio che propone il mondo, bensì quella del servizio e dell’amore fraterno.
Gesù reagisce vivamente di fronte alla minaccia che pesa ancora una volta sulla sua comunità a causa dell’ambizione sfrenata di avere i primi posti, di conquistare il potere. La sua lezione è molto severa, quasi solenne. Egli propone in compenso una nuova economia sociale: quella di una comunità senza potere la cui sola regola è servire, fino a offrire la propria vita per i fratelli, bevendo il calice fino all’ultima goccia. E per tutti i suoi membri, perché tutti sono fratelli. All’immagine del capo che comanda si oppone quella del capo che serve. Ed ecco che i capi avranno paradossalmente un solo compito: servire. Il suo prototipo è il Messia, diventato piuttosto il Figlio dell’uomo, schiavo di tutti gli schiavi, per il riscatto dei quali egli offre quello che possiede e quello che è: tutto. Egli ha appena formulato il suo progetto di comunità, la sua carta “costituzionale”, alla quale tutti i partecipanti devono aderire: ognuno è servitore di tutti.
Nella gerarchia di Dio chi ama occupa il posto più alto.
Giovanni, il discepolo preferito, il migliore, il fine teologo, si mette di fronte a Gesù e gli chiede, con il fare proprio di un bambino: «Voglio che tu mi dia quello che chiedo. A me e a mio fratello». Eppure Gesù lo ascolta e rilancia con una bellissima domanda: «Cosa vuoi che io faccia per voi?». «Vogliamo i primi posti!» Dopo tre anni di strade, di malati guariti, di uomini e donne sfamati, dopo tre annunci della morte in croce, è come se non avessero ancora capito niente. Ed ecco ancora una volta tutta la pedagogia di Gesù, paziente e luminosa. Invece di arrabbiarsi o di scoraggiarsi, il Maestro riprende ad argomentare, a spiegare il suo sogno di un mondo nuovo.
Non sapete quello che chiedete! Non capite quali corde oscure andate a toccare con questa domanda, quale povero cuore, quale povero mondo nasce da queste fame di potere. E la dimostrazione arriva immediatamente: gli altri dieci apostoli hanno sentito e si indignano, si ribellano, unanimi nella gelosia, accomunati dalla stessa competizione per essere i primi.
Adesso non solo i due figli di Zebedeo (i boanerghes, i figli del tuono, irruenti e autoritari come indica il loro soprannome), ma tutti e dodici vengono chiamati di nuovo da Gesù, chiamati vicino.
E spalanca loro l'alternativa cristiana: tra voi non sia così. I grandi della terra dominano sugli altri, si impongono... Tra voi non così! Credono di governare con la forza... tra voi non è così!
Gesù prende le radici del potere e le capovolge al sole e all'aria: Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti. Servizio, il nome difficile dell'amore grande. Ma che è anche il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. Anzi, è il nome di Dio. Come assicura Gesù: Non sono venuto per procurarmi dei servi, ma per essere io il servo. La più sorprendente, la più rivoluzionaria di tutte le autodefinizioni di Gesù. Parole che danno una vertigine: Dio mio servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il padrone e signore dell'universo al cui trono inginocchiarsi tremando, ma è Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le ferite.
Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? L'unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti. E questo non come riserva di viltà, ma come moltiplicazione di coraggio. Gesù infatti non convoca uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi. Belli della bellezza di un Dio con le mani impigliate nel folto della vita, custode che veglia, con combattiva tenerezza, su tutto ciò che fiorisce sotto il suo sole.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
- Gesù non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti gli uomini. Come cerchiamo, almeno in parte, di seguire il suo esempio?
- Possiamo farci tutto a tutti e donare la nostra vita come hai fatto tu?
7) Preghiera: Salmo 32
Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra.
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame.
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.
8) Orazione Finale
Signore Gesù, tu che hai voluto essere il servo di tutti, e ancora oggi ti doni nell'Eucaristia per nutrire la nostra debolezza e trasformarla nella tua forza, rinnova i nostri cuori perché possiamo farci tutto a tutti e donare la nostra vita come hai fatto tu