domenica 19 settembre 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • domenica | 19 settembre 2021


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Lectio domenica 19 settembre 2021


Domenica della Venticinquesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
 
Lettera di Giacomo 3, 16 - 4, 3
Marco 9, 30 - 37
 
 
1) Orazione iniziale 
O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi, donaci la sapienza che viene dall’alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve.
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2) Lettura: Lettera di Giacomo 3, 16 - 4, 3
Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.
Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.
 
3) Commento su Lettera di Giacomo 3, 16 - 4, 3
È vero quel che dice Giacomo, nella sua lettera: «uccidete, siete invidiosi e non riuscite ad ottenere; combattete e fate guerra». Sembra una cronaca di qualche ufficio o di molti lavori quotidiani in molti ambienti: uccidere, infatti, significa mors tua vita mea, anche quando non giunge alla morte fisica, cioè abbassare te per innalzare me, appunto per invidia, cioè perché penso che quello che hai tu in realtà spetti a me, e che mi sia stato rubato per qualche ingiusto motivo. Ti penso come un rivale, un nemico, della mia carriera, del mio ruolo, dei miei affetti, anche se non lo sei. Pochi si confessano d'invidia, e generalmente è mal compresa: in realtà essa è una delle molle più potenti delle azioni degli uomini, disgraziatamente, e consiste nel ritenere che un altro abbia quello che devo avere io, e che lo abbia ingiustamente, cioè che lo abbia rubato, e che sarebbe giusto riprenderglielo. 
 
Molte volte la vita assomiglia ad una guerra di tutti contro tutti, per l'affermazione di se stessi. La soluzione è l'eliminazione: se Caino riteneva che Abele fosse gradito a Dio, questo significa che doveva ammazzarlo, per restare solo lui. Cioè lui, solo. Se abbiamo il coraggio di fare una volta sola un vero esame di coscienza, vedremmo chiaramente come l'invidia sia una delle radici più profonde dello spirito di rivalità che appesta la nostra vita. Ed è determinata dalla percezione di un'ingiustizia. O da un senso di inferiorità, che può pacificarsi solo nel non avere confronti, o nel confrontarsi solo con chi vale meno. In questo senso, i due discepoli del vangelo discutevano di chi fosse il più grande. 
 
L'uomo sembra naturalmente portato verso l'ingiustizia e il male: san Giacomo ci elenca le ragioni della capacità dell'uomo di perseverare nel male. La sapienza che viene da Dio preferisce invece la mitezza, la sincerità e la pace, le basi per la creazione e di un mondo giusto fatto di persone giuste. Ma non è così semplice: il giusto avrà sì la serenità dell'anima ma è messo alla prova, è testata la sua capacità di sopportazione e di resistenza anche all'ingiustizia evidente e che nessuno riesce a contenere. I cristiani infatti sanno che la loro fede non è fatta solo di esteriorità, di abitudini e di riti, ma di vita vera vissuta con coerenza e profondità, che trae la forza dall'aver compreso -o almeno intuito- il messaggio: la "sapienza", "la buona novella"
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Marco 9, 30 - 37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Marco 9, 30 - 37
Il vangelo mette in evidenza il disegno di Dio: Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma una volta ucciso dopo tre giorni risusciterà. Il verbo al passivo sottolinea che ad agire è Dio: la croce non è un avvenimento subito dal Figlio di Dio ma una scelta che rientra nel disegno salvifico della Trinità; Gesù è consegnato dal Padre e nello Spirito Santo per la salvezza degli uomini: non sono tanto gli uomini a decretare la sua morte, ma si tratta di una decisione di Dio per la nostra salvezza: dalla morte in espiazione dei nostri peccati, viene la vita. I discepoli non capiscono il discorso di Gesù e hanno paura di chiedere spiegazioni, perché si parla di sofferenza e di morte del loro Signore: sono distanti dalla sua logica! Non dobbiamo però scandalizzarci di loro: siamo anche noi così spesso, facciamo molta fatica ad accettare la logica della croce; vorremmo allontanare la sofferenza, ma il Signore ha scelto questa via per la redenzione e l’ha percorsa Lui per primo! A noi chiede di fidarci e di andare dietro a Lui, se vogliamo essere suoi discepoli.
Il vangelo contiene anche due detti di Gesù: nel primo il Signore stabilisce la gerarchia tra i discepoli, mettendo al primo posto chi serve: chi vuole essere il primo scelga l’ultimo posto!
Nel secondo insegnamento Gesù identifica se stesso in un bambino: chi l’accoglie accoglie Lui. Per bambino s’intende la persona debole apparentemente senza valore, come erano considerati i piccoli allora. Possiamo chiederci: che atteggiamento abbiamo verso i deboli, gli emarginati? Il rapporto con loro può svelarci qual è il vero rapporto che abbiamo con Gesù! Com’è straordinario il Vangelo: sovverte le classificazioni umane e ci apre ad un nuovo modo di vedere la realtà; chiediamo il dono della fede per entrare nella logica di Gesù.
 
Avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.
Gesù ha scelto gente comune tra i suoi discepoli. Persone che hanno tutte le ambizioni umane, che non sono ancora completamente partecipi del suo Mistero d'amore. In loro prevale ancora una mentalità legata all'individualismo. Non era in loro la piena comprensione del messianismo di Gesù che oltrepassa le aspettative politiche per inserirsi in un messaggio universale di amore e misericordia. Gesù comprende questo loro atteggiamento; non lo critica apertamente, del resto ancora dovevano vivere il Mistero della passione e resurrezione ma pure ciò non Gli impedisce di approfondire il suo insegnamento. Usa un bambino e lo pone a modello del suo insegnamento. Egli, vero uomo e vero Dio, si è fatto piccolo nella natura umana e chiede che anche noi, nella nostra limitatezza dobbiamo diventare piccoli come Lui per partecipare alla sua natura divina. È l'insegnamento per noi che stentiamo ad entrare in profondità nel suo Mistero di amore; forse perché troppo affannati dai diversi impegni della vita. È un momento di riflessione pacata che vuol portare luce sulla nostra vita, forse troppo disordinata. È un richiamo alla nostra essenzialità umana che trova, nel messaggio evangelico, la sua espressione migliore. È una esortazione a comprendere più a fondo il mistero della sua Morte e Resurrezione. È un invito eucaristico ad apprezzare le cose piccole e trovare in esse la scintilla d'amore che Dio ha posto in tutto il suo creato. Riscopriamola!
 
L'insegnamento di Gesù: chi vuol essere primo sia servo di tutti.
Il Vangelo ci sorprende con parole inusuali, ci consegna tre nomi di Gesù che vanno controcorrente: ultimo, servitore, bambino, così lontani dall'idea di un Dio Onnipotente e Onnisciente quale l'abbiamo ereditata.
Il contesto. Gesù sta parlando di cose assolute, di vita e di morte, sta raccontando ai suoi migliori amici che tra poco sarà ucciso, è insieme con il gruppo dei più fidati, ed ecco che loro non lo ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro maestro e amico, tutti presi soltanto dalla loro competizione, piccoli uomini in carriera: chi è il più grande tra noi?
Pensiamo alla ferita che deve essersi aperta in lui, alla delusione di Gesù. C'è di che scoraggiarsi. Tra noi, tra amici, un'indifferenza così sarebbe un'offesa imperdonabile.
Invece il Maestro del cuore, ed è qualcosa che ci conforta nelle nostre fragilità, non rimprovera gli apostoli, non li ripudia, non li allontana, e tanto meno si deprime.
Li mette invece sotto il giudizio di quel limpidissimo e stravolgente pensiero: chi vuol essere il primo sia l'ultimo e il servo di tutti. Il primato, l'autorità secondo il Vangelo discende solo dal servizio.
Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracciò e disse: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. È il modo magistrale di Gesù di gestire le relazioni: non si perde in critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino.
Tutto il vangelo in un abbraccio, un gesto che profuma d'amore e che apre un'intera rivelazione: Dio è così.
Al centro della fede un abbraccio. Tenero, caloroso. Al punto da far dire ad un grande uomo spirituale: Dio è un bacio (Benedetto Calati).
E papa Francesco, a più riprese: «Gesù è il racconto della tenerezza di Dio», un Dio che mette al centro della scena non se stesso e i suoi diritti, ma la carne dei piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli.
Poi Gesù va oltre, si identifica con loro: chi accoglie un bambino accoglie me. Accogliere, verbo che genera il mondo come Dio lo sogna.
Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l'accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i confini d'Europa, sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso.
Quando il servizio sarà il nome nuovo della civiltà (il primo si faccia servo di tutti).
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
1) Siamo testimoni credibili della buona notizia della salvezza, cioè della liberazione, senza pregiudizi moralistici? 
2) Siamo convinti che anche nella nostra vita di famiglia, Cristo è al centro come Maestro di comportamento e che, nonostante le nostre difficoltà, le nostre fatiche e le nostre infedeltà, ci dona la vita stessa di Dio? Riusciamo a riconoscere la presenza di Dio in una storia che pare sempre più gravitare verso la dissoluzione, verso la sconfitta dei valori umani, verso l'affermazione del proprio «io» a scapito dell'accoglienza dell'altro, del diverso, del disturbatore della nostra quiete? 
3) Siamo capaci di cogliere, nel silenzio, la voce di Dio che ci parla attraverso la nostra coscienza? Oppure ci rifugiamo in un parlare vuoto e privo di senso? Siamo sobri anche nel comunicare e non solo nel nutrirci e nel vestirci?
4) Quando ci mettiamo a vivere con spirito di servizio l'uno verso l’altro, facendoci ultimi anche in famiglia o in Comunità?
5) Come ci disponiamo ad accogliere una vita nuova ed indifesa, sapendo che viene da Dio e che può arricchire la nostra?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
8) Preghiera: Salmo 53
Il Signore sostiene la mia vita.
 
Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.
 
Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.
 
Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.
 
 
9) Orazione Finale
O Padre, noi ti invochiamo con umiltà e fiducia: aiutaci a confidare non nella grandezza, o negli onori o nella forza, ma nella gioia di servire i nostri fratelli.