lunedì 26 luglio 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • lunedì | 26 luglio 2021

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Lectio lunedì 26 luglio 2021

 
Lunedì della Diciassettesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Santi Gioacchino e Anna
 
Esodo 32, 15 - 24. 30 - 34
Matteo 13, 31 - 35
 
 
1) Orazione iniziale 
Dio dei nostri padri, che ai santi Gioacchino e Anna hai dato il privilegio di avere come figlia Maria, madre del Signore, per loro intercessione concedi ai tuoi fedeli di godere i beni della salvezza eterna.
 
Anna pare fosse figlia di Achar e sorella di Esmeria, madre di Elisabetta e dunque nonna di Giovanni Battista. Gioacchino viene tramandato come uomo virtuoso e molto ricco della stirpe di Davide, che era solito offrire una parte del ricavato dei suoi beni al popolo e una parte in sacrificio a Dio. Entrambi vivono a Gerusalemme. Sposati, Gioacchino e Anna non hanno figli per oltre vent’anni. Non generare prole, per gli ebrei, in quest’epoca è segno della mancanza della benedizione e del favore di Dio; perciò, un giorno, nel portare le sue offerte al Tempio, Gioacchino viene redarguito da un tale Ruben (forse un sacerdote o uno scriba): indegno per non avere procreato, infatti, secondo lui non ha il diritto di presentare le sue offerte. Gioacchino, umiliato e sconvolto da quelle parole, decide di ritirarsi nel deserto e per quaranta giorni e quaranta notti implora Dio, fra lacrime e digiuni, di dargli una discendenza. Anche Anna trascorre giorni in preghiera chiedendo a Dio la grazia della maternità.
Le suppliche di Gioacchino e Anna lassù vengono ascoltate; così un angelo appare separatamente a entrambi e li avverte che stanno per diventare genitori. Ecco così l’annunzio della nascita di Maria. Infatti, mesi dopo il ritorno di Gioacchino, Anna dà alla luce Maria.
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2) Lettura: Esodo 32, 15 - 24. 30 - 34
In quei giorni, Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che urlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due cori io sento».
Quando si fu avvicinato all’accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole, spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti. Mosè disse ad Aronne: «Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accenda l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. Mi dissero: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa, perché a Mosè, quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. Allora io dissi: “Chi ha dell’oro? Toglietevelo!”. Essi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello». Il giorno dopo Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: forse otterrò il perdono della vostra colpa». Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... Altrimenti, cancellami dal tuo libro che hai scritto!». Il Signore disse a Mosè: «Io cancellerò dal mio libro colui che ha peccato contro di me. Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. Ecco, il mio angelo ti precederà; nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato».
 
3) Commento su Esodo 32, 15 - 24. 30 - 34
 La prima lettura di oggi mette in risalto un contrasto che deve provocare in noi una vera conversione: è il contrasto stridente fra l'atteggiamento di Aronne e quello di Mosè. 
Aronne è stato complice dell'idolatria del popolo, è stato lui ad organizzare le cose e a rendere possibile la realizzazione del vitello d'oro. Ma quando Mosè gli domanda: "Che cosa ti ha fatto questo popolo, perché tu lo hai gravato di un peccato così grande?". Aronne si discolpa e getta tutta la colpa sul popolo: "Tu stesso sai che questo popolo è inclinato al male. Mi dissero: Facci un dio...". 
 
 Mosè invece, che non è stato per niente implicato in questo peccato di idolatria, che anzi è stato preso da profonda ira al vedere il vitello e il popolo in festa ("L'ira di Mosè si accese dice la Scrittura scagliò via le tavole; afferrò il vitello e lo bruciò nel fuoco"), davanti al Signore si fa intercessore: "Se tu perdonassi il loro peccato!", solidale con il suo popolo peccatore: 
"Se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!". È innocente ma è pronto a prendere su di sé il castigo: "Cancellami dal tuo libro!", disposto ad essere rigettato da Dio per ottenere che il popolo sia perdonato. 
 
 È una lezione fortissima per noi, perché spontaneamente noi ci separiamo sempre dal peccato altrui. Pur non essendo certo del tutto innocenti, non vogliamo essere puniti con chi ha peccato. Loro devono portare la pena di quello che hanno commesso; noi siamo "i buoni", i giusti, quelli che piacciono al Signore. E invece per piacere a Dio dobbiamo farci solidali con i peccatori, portare con loro il castigo del loro peccato. Ciò che Mosè ha proposto a Dio di fare, Gesù lo ha effettivamente compiuto: egli, l'Innocente, ha preso su di sé il peccato di tutti noi. E l'agnello innocente che si è caricato delle nostre colpe, è colui che come dice san Paolo è diventato "maledizione" per liberare noi dalla maledizione del peccato. Una condizione necessaria e sempre difficile da accettare è soffrire il castigo meritato da altri. Sono tanti i cristiani che si ribellano quando devono soffrire qualcosa e si chiedono: "Che cosa ho fatto a Dio? Perché mi manda questa prova?". Dovrebbero invece contemplare Gesù sulla croce e riflettere su questo esempio di Mosè. "Se tu perdonassi il loro peccato... e se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto".
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 13, 31 - 35
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 13, 31 - 35
 Il granello di senapa ed il lievito.
Nel brano evangelico di oggi, Gesù parla in parabole ed usa immagini della vita comune palestinese: il granello di senapa ed il lievito. Egli non ama un linguaggio colto; il suo insegnamento passa attraverso immagini semplici e comprensibili. Non dobbiamo farci ingannare da ciò; Gesù è attento, infatti, alle cose più piccole ed insignificanti ma da esse tra degli insegnamenti profondi. È importante, per noi considerare ciò; il nostro atteggiamento molte volte è opposto quando cerchiamo di esaltare troppo l'apparenza più che la sostanza. Anche nella vita possiamo essere attratti da molte cose, che in realtà sotto il loro aspetto gradevole ed allettante si dimostrano superflue. Vi è un duplice rischio in questo atteggiamento legato all'apparenza. Da una parte si rischia di non soddisfare le vere esigenze del nostro corpo e dello spirito e dall'altro vi è il rischio di diventare noi stessi succubi di oggetti, macchinari e quanto altro riempie artificiosamente la nostra vita. La libertà dell'uomo e la sua dignità così spesso proclamata si perde in una schiavitù che alla fine banalizza la vita stessa.
 
 Il vangelo di oggi ci presenta due brevi parabole, il granello di senape e il lievito. In esse Gesù racconta due storie tratte dalla vita di ogni giorno, che serviranno di termine di paragone per aiutare la gente a scoprire il mistero del Regno. Nel meditare queste due storie non bisogna cercare di scoprire ciò che ogni elemento delle storie ci vuole dire sul Regno. Si deve guardare prima la storia in sé, come un tutto e cercare di scoprire qual è il punto centrale attorno a cui la storia fu costruita, poiché questo punto centrale servirà da termine di paragone per rivelare il Regno di Dio. Vediamo qual è il punto centrale delle due parabole.
 
 Matteo 13,31-32: La parabola del granellino di senape. Gesù dice: ”Il Regno dei cieli è simile ad un granellino di senape“ e, poi racconta subito la storia: un granellino ben piccolo viene gettato nel campo; essendo molto piccolo, cresce, diventa più grande delle altre piante ed attira gli uccelli che in essa si costruiscono il nido. Gesù non spiega la storia. Vale qui ciò che ha detto in un’altra occasione: “Chi ha orecchi per udire, intenda!” Ossia: “È questo. Avete sentito, ed ora cercate di capire!” Tocca a noi scoprire ciò che la storia ci rivela sul Regno di Dio presente nella nostra vita. Così per mezzo di questa storia del granellino di senape, Gesù ci spinge ad avere fantasia, perché ognuno di noi capisce qualcosa della semina. Gesù spera che le persone, noi tutti, cominciamo a condividere ciò che ognuno di noi ha scoperto. 
 
 Condividiamo ora tre punti che abbiamo scoperto sul Regno, partendo da questa parabola: 
(a) Gesù dice: "Il Regno dei Cieli è simile ad un granellino di senape“. Il Regno non è qualcosa di astratto, non è un’idea. È una presenza in mezzo a noi (Lc 17,21). Come è questa presenza? È come il granellino di senape: presenza ben piccola, umile, che quasi non si vede. Si tratta di Gesù stesso, un povero falegname, che va per la Galilea, parlando del Regno alla gente dei villaggi. Il Regno di Dio non segue i criteri dei grandi del mondo. Ha un altro modo di pensare e di procedere. 
(b) La parabola evoca una profezia di Ezechiele, in cui si dice che Dio prenderà un piccolo ramoscello di cedro e lo pianterà sulle montagne di Israele. Questo piccolo ramoscello di centro “metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso; faccio seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò». (Ez 17,22-23). 
(c) Il granellino di senape, pur essendo piccolo, cresce e suscita speranza. Come il granellino di senape, così anche il Regno ha una forza interiore e cresce. Come cresce? Cresce attraverso la predicazione di Gesù e dei discepoli e delle discepole nei villaggi della Galilea. Cresce, fino ad oggi, mediante la testimonianza delle comunità e diventa una buona notizia di Dio che irradia luce ed attira le persone. La persona che arriva vicino alla comunità, si sente accolta, in casa, e costruisce in essa il suo nido, la sua dimora. Infine, la parabola lascia in aria una domanda: chi sono i passeri? La domanda otterrà una risposta più in là, nel vangelo. Il testo suggerisce che si tratta dei pagani che potranno entrare nel Regno (Mt15,21-28).
 
 Matteo 13,33: La parabola del lievito. La storia della seconda parabola è questa: una donna prende un pochino di lievito e lo mescola con tre porzioni di farina, fino a che il tutto fermenti. Di nuovo, Gesù non spiega, dice solamente: "Il Regno dei Cieli è come un lievito...”. Come nella prima parabola, tocca a noi scoprirne il significato che ha oggi per noi. Ecco alcuni punti, che ci fanno pensare: 
(a) Ciò che cresce non è il lievito, ma la pasta
(b) Si tratta di una cosa ben di casa, del lavoro di una donna di casa. 
(c) Il lievito si mescola con la massa pura della farina, e contiene qualcosa di putrido. 
(d) L’obiettivo è far fermentare tutta la pasta, non solo una parte. 
(e) Il lievito non ha valore in se stesso, ma serve per far crescere la pasta.
 
 Matteo 13,34-35: Perché Gesù parla in parabole. Qui, alla fine del Discorso delle Parabole, Matteo chiarisce il motivo che spingeva Gesù ad insegnare alla gente sotto forma di parabole. Lui dice che era affinché si compisse la profezia che diceva: "Aprirò la bocca per usare parabole; proclamerò cose nascoste fin dalla creazione del mondo". In realtà, il testo citato non è di un profeta, bensì è un salmo (Sal 78,2). Per i primi cristiani tutto l’Antico Testamento era una grande profezia che annunciava velatamente la venuta del Messia ed il compimento delle promesse di Dio. In Marco 4,34-36, il motivo che spingeva Gesù ad insegnare alla gente per mezzo di parabole era quello di adattare il messaggio alla capacità della gente. Con questi esempi tratti dalla vita della gente, Gesù aiutava le persone a scoprire le cose di Dio nella vita di ogni giorno. La vita diventava trasparente. Faceva percepire che lo straordinario di Dio si nasconde nelle cose ordinarie e comuni della vita di ogni giorno. La gente capiva le cose della vita. Nelle parabole riceveva la chiave per aprirla ed incontrare in essa i segni di Dio. Alla fine del Discorso delle Parabole, in Matteo 13,52, come vedremo dopo, ci sarà spiegato un altro motivo che spinge Gesù ad insegnare con parabole.
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6) Per un confronto personale
• Qual è il punto di queste due parabole che più ti è piaciuto o che più ti ha colpito? Perché?
• Qual è il seme che, senza che tu te ne rendessi conto, è cresciuto in te e nella tua comunità?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 105
Rendete grazie al Signore, perché è buono.
 
Si fabbricarono un vitello sull’Oreb,
si prostrarono a una statua di metallo;
scambiarono la loro gloria
con la figura di un toro che mangia erba.
 
Dimenticarono Dio che li aveva salvati,
che aveva operato in Egitto cose grandi,
meraviglie nella terra di Cam,
cose terribili presso il Mar Rosso.
 
Ed egli li avrebbe sterminati,
se Mosè, il suo eletto,
non si fosse posto sulla breccia, davanti a lui
per impedire alla sua collera di distruggerli.