martedì 6 luglio 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • martedì | 6 luglio 2021

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Lectio martedì 6 luglio 2021

 
Martedì della Quattordicesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
 
Genesi 32, 23 - 33
Matteo 9, 32 - 38
 
 
1) Preghiera 
O Dio, che nell’umiliazione del tuo Figlio hai risollevato l’umanità dalla sua caduta, donaci una rinnovata gioia pasquale, perché, liberi dall’oppressione della colpa, partecipiamo alla felicità eterna.
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2) Lettura: Genesi 32, 23 - 33
In quei giorni, di notte Giacobbe si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico.
 
3) Commento su Genesi 32, 23 - 33
 L'episodio del Libro della Genesi che leggiamo oggi è molto misterioso; i Padri l'hanno letto come una prova spirituale che Dio impone a Giacobbe, come già ad Abramo, anche se in modo diverso. "Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora". La lotta ìnizia al buio e si compie nel buio; non solo nel buio della notte, ma della conoscenza: Giacobbe non sa con chi lotta. Abramo aveva sentito la voce di Dio, sapeva che era lui, ma anch'egli deve muoversi nella notte: "Partì senza sapere dove andava", come dice la lettera agli Ebrei. Giacobbe invece ha scelto la sua destinazione, ma lungo la strada Dio lo chiama ad un cambiamento interiore attraverso una lotta con lui, lotta prolungata e dura, di cui è difficile dire di più. 
 
 È il momento più drammatico e misterioso della vita di Giacobbe, che per continuare il parallelo con Abramo si può far corrispondere alla salita sul monte nel territorio di Moria dove, dopo un'agonia di dolore e di obbedienza, Dio gli conferma la sua promessa e la sua benedizione. 
Giacobbe, pur lottando, sente che il suo avversario non ha intenzioni malevole, capisce confusamente che Dio gli è vicino, tanto è vero che vuol essere benedetto: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto". E con la benedizione riceve un nome nuovo. Giacobbe ha lottato con Dio, ha avuto la conferma della sua vocazione: è ormai un uomo nuovo, un uomo di Dio. 
 
 Nel cammino spirituale avviene qualcosa di simile. Scelto il cammino, si presentano presto difficoltà per cui bisogna lottare. Sovente le certezze iniziali scompaiono, tutto diventa buio e c'è la tentazione di lasciar perdere: è il momento della lotta per rimanere fermi nelle proprie decisioni, senza cambiare nulla. Ci possono essere anche difficoltà esterne: sono permesse da Dio per farci progredire nella luce e nella grazia. 
Noi vorremmo una vita tranquilla, serena, pacifica... Serena sì, pacifica sì, ma nell'accettazione fiduciosa delle traversie che Dio permette per amore e che non ci mancheranno mai, perché la nostra vita non può avere altro modello che quella di Gesù.
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 9, 32 - 38
In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!».
 
5) Commento sul Vangelo secondo Matteo 9, 32 - 38
 La «cura» di Cristo.
«Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità». Così si afferma nel mondo il Regno di Dio; è la vittoria di Cristo sul male, in ogni sua manifestazione, e la liberazione dalle seduzioni e invasioni del demonio. Tutto mira a ridare libertà all'uomo da ciò che l'affligge nell'anima e nel corpo. Il mutismo ha le sue evidenti conseguenze fisiche in chi ne è afflitto, ma incide anche nel cuore dell'uomo che resta privo di un mezzo indispensabile per comunicare con i propri simili e con lo stesso Dio. Far parlare i muti è opera di Cristo redentore, che così vuole ricreare la comunione con il Padre celeste e ristabilire la fraternità tra gli uomini. Per questo egli non solo rende l'uomo muto capace di dialogare, ma lo ricongiunge a sè e a Dio con il vincolo della preghiera. I soliti farisei non comprendono e non vogliono comprendere l'"opera" di Cristo e cercano di insinuare nella folla l'idea che egli scacci i demoni «per opera del principe dei demoni». È però la stessa folla a smentirli, che mostra invece stupore ed esclama: «non si è mai visto nulla di simile in Israele». Molto spesso Gesù allarga la sua visione da una persona al mondo intero; dopo aver liberato il muto indemoniato, guarda le folle con amore e compassione, le scorge «stanche e sfinite, come pecore senza pastore». Si vaga a lungo e fino alla spossatezza quando manca una guida sicura ai pascoli migliori e agli obiettivi primari della vita, quando si cade in preda al disorientamento, quando si è affamati e assetati e non si trova il cibo buono e bevande salutari. Ecco allora una condizione indispensabile affinché il regno di Dio si estenda ovunque: «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe». Comprendiamo così l'urgenza della preghiera perché i chiamati alla vigna, gli operai per il regno di Dio, rispondano con sollecitudine e generosità, comprendiamo l'importanza dell'impegno che viene loro affidato e nel contempo la consolante certezza che «il padrone della messe» è Lui, il Signore. Il campo, la vigna, il regno, la Chiesa richiedono il nostro indispensabile contributo personale di energie da spendere senza riserva, ma alla fine sappiamo che prima di essere un nostro compito, è opera di Dio stesso, che feconda e fa germogliare i semi.
 
 Matteo 9,32-33a: La guarigione di un muto. In un unico versetto Matteo descrive l’arrivo di un indemoniato dinanzi a Gesù, l’espulsione del demonio, l’atteggiamento di Gesù, qui e nei quattro vangeli, e l’attenzione e l’affetto di Gesù per le persone malate. Le malattie erano molte, la previdenza sociale, inesistente. Le malattie non erano solo deficienze corporali: sordità, cecità, paralisi, lebbra e tanti altri mali. In fondo, queste malattie non erano che una manifestazione di un male assai più profondo e vasto che minava la salute della gente, e cioè l’abbandono totale e lo stato deprimente ed inumano in cui era obbligata a vivere. Le attività e le guarigioni di Gesù si indirizzavano non solo contro i mali corporali, ma anche e soprattutto contro questo male maggiore dell’abbandono materiale e spirituale, in cui la gente era costretta a trascorrere i pochi anni della sua vita. Poi, oltre allo sfruttamento economico che rubava la metà dello stipendio familiare, la religione ufficiale dell’epoca, in vece di aiutare la gente ad incontrare in Dio una forza per resistere ed avere speranza, insegnava che le malattie erano un castigo di Dio per il peccato. Aumentava in loro il sentimento di esclusione e di condanna. Gesù faceva il contrario. L’accoglienza piena di tenerezza e la guarigione dei malati fanno parte dello sforzo di ritessere la relazione umana tra le persone e di ristabilire la convivenza comunitaria e fraterna nei villaggi della Galilea, la sua terra.
 
 Matteo 9,33b-34: La duplice interpretazione della guarigione del muto. Dinanzi alla guarigione dell’indemoniato muto, la reazione della gente è di ammirazione e di gratitudine: “Non si è mai vista una cosa simile in Israele!” La reazione dei farisei è di sfiducia e di malizia: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni!” Non potendo negare i fatti che causano l’ammirazione della gente, l’unico modo che i farisei trovano di neutralizzare l’influenza di Gesù dinanzi alla gente è quello di attribuire l’espulsione al potere del maligno. Marco presenta un esteso argomento di Gesù per dimostrare la mancanza di coerenza e la malizia dell’interpretazione dei farisei (Mc 3,22-27). Matteo non presenta nessuna risposta di Gesù all’interpretazione dei farisei, perché quando la malizia è evidente, la verità brilla da sola.
 
 Matteo 9,35: Instancabile, Gesù percorre i villaggi. È bella la descrizione dell’attività instancabile di Gesù, in cui spunta la doppia preoccupazione a cui abbiamo fatto allusione: l’accoglienza piena di tenerezza e la guarigione dei malati: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità”. Nei capitoli precedenti, Matteo aveva già fatto allusione varie volte a questa attività ambulante di Gesù nei villaggi e città di Galilea (Mt 4,23-24; 8,16).
 
 Matteo 9,36: La compassione di Gesù. “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore”. Coloro che dovevano essere pastori non erano pastori, non curavano il gregge. Gesù cerca di essere il pastore (Gv 10,11-14). Matteo vede in questo la realizzazione della profezia del Servo di Yavé che “ha preso le nostre infermità, si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17 e Is 53,4). Come lo fu per Gesù, la grande preoccupazione del Servo era “trovare una parola di conforto per coloro che erano scoraggiati” (Is 50,4). La stessa compassione verso la folla abbandonata, Gesù la mostra in occasione della moltiplicazione dei pani: sono come pecore senza pastore (Mt 15,32). Il vangelo di Matteo ha una costante preoccupazione nel rivelare ai giudei convertiti delle comunità di Galilea e di Siria che Gesù è il messia annunciato dai profeti. Per questo, frequentemente, lui mostra che nelle attività di Gesù si realizzano le profezie (cf. Mt 1,23; 2,5.15.17.23; 3,3; 4,14-16; etc.).
 
 Matteo 9,37-38: La messe è molta, gli operai sono pochi. Gesù trasmette ai discepoli la preoccupazione e la compassione che lo abitano: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!”.
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6) Per un confronto personale 
• Compassione per le folle stanche ed affamate. Nella storia dell’umanità, non c’è stata mai tanta gente stanca ed affamata come oggi. La TV divulga i fatti, ma non offre risposte. Noi cristiani, riusciamo ad avere la stessa compassione di Gesù e irradiarla agli altri?
• La bontà di Gesù verso i poveri disturbava i farisei. Loro ricorrono alla malizia per neutralizzare l’incomodità causata da Gesù. Ci sono molti atteggiamenti buoni nelle persone che mi disturbano? Come le interpreto: con grata ammirazione come le folle o con malizia come i farisei?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 16
Nella giustizia, Signore, contemplerò il tuo volto.
 
Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno.      
 
Dal tuo volto venga per me il giudizio,
i tuoi occhi vedano la giustizia.
Saggia il mio cuore, scrutalo nella notte,
provami al fuoco: non troverai malizia. 
 
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole,
mostrami i prodigi della tua misericordia,
tu che salvi dai nemici chi si affida alla tua destra.
 
Custodiscimi come pupilla degli occhi
all’ombra delle tue ali nascondimi.
Io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.