lunedì 21 giugno 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • lunedì | 21 giugno 2021

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Lectio lunedì 21 giugno 2021

 
Lunedì della Dodicesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
San Luigi Gonzaga
 
Genesi 12, 1 - 9
Matteo 7, 1 - 5
 
 
1) Orazione iniziale 
O Dio, principio e fonte di ogni bene, che in san Luigi Gonzaga hai unito in modo mirabile l’austerità e la purezza, fa’ che per i suoi meriti e le sue preghiere, se non lo abbiamo imitato nell’innocenza, lo seguiamo sulla via della penitenza evangelica.
 
Luigi, primogenito del marchese di Mantova, nacque il 9 marzo 1568. Era un ragazzo vivace, impaziente, senza complessi, amava il gioco e si divertiva. La madre, Marta Tana di Chieri, gli insegnò a orientare decisamente la sua vita a Dio. E con la sua tenacia vi riuscì. Ricevuta la prima volta l’Eucaristia da san Carlo Borromeo, coltivò una forte unione con Gesù.
La grazia fece di lui un santo di grande dominio di sé, interamente votato alla carità. Il suo segreto di eroismo è la preghiera; già a 12 anni aveva deciso di dedicare 5 ore al giorno alla meditazione. Si sentì attratto alla vita religiosa. Col coraggio delle sue convinzioni, vinse l’opposizione del padre, rinunciò alla primogenitura e a 16 anni entrò nella Compagnia di Gesù, avendo a maestro spirituale san Roberto Bellarmino.
Lui, che riusciva bene negli affari, si dà assai più allo studio, alla preghiera, alla carità: mira alle missioni e al martirio. Gliene venne l’occasione, ma diversa da quelle sognate: scoppiò la peste e Luigi si prodigò talmente che la contrasse e ne morì il 21 giugno 1591 a soli 23 anni.
Catechista coi ragazzi, premuroso con i poveri e i malati, fatto tutto a tutti: modello e protettore dei giovani che vogliono vivere la propria fede in Cristo.
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2) Lettura: Genesi 12, 1 - 9
In quei giorni, il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei.
Il Signore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente di Betel e piantò la tenda, avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signore e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb.
 
3) Commento su Genesi 12, 1 - 9
 Oggi nella prima lettura inizia la storia di Abramo, modello del cammino di fede di ogni credente.
Le prime parole di Dio a quest'uomo che egli sceglie, lasciano intravedere un amore quanto meno sconcertante: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla casa di tuo padre". Per andare dove? "Verso il paese che io ti indicherò". Tutto è oscuro, unica meravigliosa luce la promessa: "Farò di te un grande popolo e ti benedirò". Abramo accoglie l'ordine di Dio con obbedienza indiscussa: "Allora Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore".
Abramo con i suoi si trova in Canaan come uno straniero, ma qui incomincia a delinearsi il disegno divino: "Alla tua discendenza io darò questo paese". Quindi è necessario che Abramo muoia, perché le generazioni successive abbiano la vita. E Abramo peregrina da un paese all'altro: "Piantò la tenda... costruì un altare al Signore... levò la tenda..." sono espressioni che si ripetono in queste pagine. Gli basta il suo rapporto con Dio ed essere nella sua volontà.
Così Dio educa Abramo ed ogni credente a successivi distacchi, che possono sembrare duri, ma in realtà sono una liberazione. Bisogna scegliere: o essere posseduto dall'egoismo che vuoi possedere, o essere donati. Abramo ha fatto di sé dono incondizionato, senza sapere nulla di ciò che gli sarebbe accaduto. Ecco la fede: essere aperti, accettare di camminare al buio indefinitamente, incontro a qualcuno a cui diamo fiducia, contenti di dargli quello che ci chiede, di amarlo per se stesso, di mettere in lui la nostra gioia e il nostro amore, in un rapporto di persona a persona che il Signore vuoi fare sempre più bello. Tutto il resto è secondario. "Volontà di Dio, paradiso mio", dicevano i santi.
"Vattene...". E una parola che Dio non ci dice una volta per tutte, perché sempre la nostra è una libertà da liberare. Accogliamola dunque con fiducioso abbandono nel nostro cuore e nella nostra vita. 
 
 Il Signore disse ad Abram: «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io t'indicherò». (Gen 12,1) - Come vivere questa Parola?
Due verbi: "vattene" e "indicherò" segnano la traiettoria di questo brano scritturistico. E non solo! Tutta la vita umana, in fondo, è racchiusa in questi due verbi. Il bimbo deve staccarsi dal grembo materno per affrontare l'avventura umana, e poi via via, il suo sviluppo sarà segnato da altri strappi, indispensabili perché egli possa accedere alle fasi successive. E il tutto sempre avvolto da un velo di incertezza. È l'iter iscritto in ogni chiamata. Sì, Dio non chiama mai a chiuderci nell'ovattata certezza di posizioni raggiunte e consolidate dall'esperienza. Egli è sempre un passo più in là. La meta raggiunta è sempre parziale e solo in vista del passo ulteriore da fare. "Esci, esci dalla tua terra", verso orizzonti nuovi che lo Spirito ti dischiude dinanzi. Esci, fidandoti e affidandoti alla Parola. Spesso non si vede chiaro. Magari si ha come uno sprazzo di luce iniziale che ti fa intravedere la meta, ma poi tutto torna ad essere avvolto dall'incertezza: Sono sulla via giusta? Forse è stata un'illusione! Perché non seguire l'andazzo comune? Dubbi, perplessità che non risparmiano nessuna vocazione: né quella religiosa o sacerdotale, né quella matrimoniale né qualunque altra svolta che si presenti nella vita come un appello di Dio. "Vattene"! Troviamo il coraggio di avventurarci verso l'inedito che Dio ci addita attraverso le indicazioni concrete della sua Parola, del Magistero della Chiesa, dell'esempio e dei consigli di persone sagge fedeli al Signore. Affronta il deserto dello spogliamento da tante pseudo-sicurezze. Va', seguendo quella voce che hai percepito in un momento di grazia e di cui ti è rimasta dentro la nostalgia. È in questo "spaccare il guscio" da cui ci sentiamo protetti, in questo affidarsi alla Parola la garanzia di una vita in marcia verso la piena realizzazione.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, proverò a prestare ascolto alla voce di Dio che mi chiama a lasciare le sicurezze raggiunte e le posizioni consolidate, anche nell'ambito spirituale. Deciderò quindi di seguirlo senza pretendere nessuna "credenziale".
Eccomi, Signore, come Abram, pronto a seguire la tua chiamata, anche se non tutto è chiaro, anche se dinanzi ai miei passi vedo aprirsi il deserto. Mi fido di te e mi affido a te: mi basta la certezza del tuo amore.
Ecco la voce di una convertita Madeleine Delbrêl: La carne propende a rinchiudersi in se stessa; dice: «Dammi, dammi, dammi» e tutto trattiene per sé. Lo Spirito invece dice: «Va'... va'...» in un dono incessante. Egli apre, sfonda, fa esplodere.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 7, 1 - 5
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 7, 1 - 5
 Il giudizio, la pagliuzza, la trave, la misericordia.
Non giudicate... La nostra disordinata natura, natura segnata con il peccato è incline a giudicare, a giudicare gli altri, e il nostro giudizio spesso è severo e va oltre ad una semplice constatazione. Spesso è una vera condanna. Ci si arroga un diritto che non ci compete, giudizio che appartiene solo a Dio. Il Padre stesso lascia questo potere al Figlio. Ma chi di noi non ha sentito il signore che dice: "Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo?" Se accogliamo e ascoltiamo Gesù, saremo i primi ad entrare in quella salvezza che lui è venuto a donarci. "Non giudicate, allora, per non essere giudicati". E, come chiarimento sentiamo, "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?" Gesù coglie nel vivo una difformità profonda dell'uomo, difformità che l'uomo si porta dentro, difformità che tende a rendere molto difficili i rapporti umani. Una sottolineatura però: Gesù non dice di eliminare ogni tipo di correzione fraterna, è lui stesso, che in un'altra occasione, ci consiglia di correggerci a vicenda. "Non ci proibisce di giudicare, ma ci insegna come farlo", ci insegna san Girolamo. Innanzitutto ci comanda: "Togli prima, la trave dal tuo occhio". Disponiamo cioè il nostro occhio alla benevolenza, al vero bene, al bene dell'altro. Comunque permane sempre come sottofondo la paternità di Dio, la paternità che attende il ritorno del figliol prodigo. Intanto nella sua "eterna misericordia", ci prepara al suo incontro, quotidiano, quotidiano e quello definitivo, con un suggerimento: "Con la misura con la quale misurate, sarete misurati". Chiediamo al Signore di convertirci, di trasformarci, di darci quello spirito di carità e di umiltà che è condizione della nostra crescita e della crescita degli altri.
 
 Il vissuto comunitario del vangelo (Mt 7,1-12) e la prova essenziale. É dove si definisce la serietà dell’impegno. La nuova proposta di vita in comunità abbraccia diversi aspetti: non osservare la pagliuzza nell’occhio del fratello (Mt 7,1-5), non gettare le perle ai porci (Mt 7,6), non aver paura di chiedere cose a Dio (Mt 7,7-11). Questi consigli culminano nella Regola d’Oro: fare all’altro ciò che ti piacerebbe che l’altro facesse a te (Mt 7,12). Il vangelo di oggi presenta la prima parte: Matteo 7,1-5.

 Matteo 7,1-2: Non giudicate e non sarete giudicati. La prima condizione per una buona convivenza comunitaria è non giudicare il fratello o la sorella, ossia, eliminare i preconcetti che impediscono la convivenza trasparente. Cosa significa questo concretamente? Il vangelo di Giovanni dà un esempio di come Gesù viveva in comunità con i discepoli. Gesù dice: “Non vi chiamo servi, perché il servo non sa cosa fa il padrone; io vi chiamo amici perché vi ho comunicato tutto ciò che ho udito dal Padre mio” (Gv 15,15). Gesù è un libro aperto per i suoi compagni. Questa trasparenza nasce dalla sua totale fiducia nei fratelli e nelle sorelle ed ha la sua radice nella sua intimità con il Padre che gli dà la forza di aprirsi totalmente agli altri. Chi vive così con i suoi fratelli e sorelle, accetta l’altro come è, senza preconcetti, senza imporgli condizioni previe, senza giudicarlo. Mutua accettazione, senza finzioni. È una trasparenza totale! Ecco l’ideale della nuova vita comunitaria, nata dalla Buona Novella che Gesù ci porta: Dio è Padre e Madre e, quindi, tutti noi siamo fratelli e sorelle. È un ideale difficile ma molto bello ed attraente come l’altro: “Siate perfetti come il Padre del cielo è perfetto” (Mt 5,48).
 
 Matteo 7.3-5: Vedi la pagliuzza e non la trave. Subito Gesù dà un esempio: “Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”. Nell’udire questa frase siamo soliti pensare ai farisei che disprezzavano la gente considerandola ignorante e loro si consideravano migliori degli altri (cf. Gv 7,49; 9,34). In realtà, la frase di Gesù serve a tutti noi. Per esempio, oggi molti di noi cattolici siamo meno fedeli al vangelo che i non cattolici. Osserviamo la pagliuzza nell’occhio dei nostri fratelli e non vediamo la trave di orgoglio prepotente collettivo nei nostri occhi. Questa trave fa sì che oggi molte persone hanno difficoltà a credere nella Buona Novella di Gesù.
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6) Per un confronto personale
• Non giudicare l’altro ed eliminare preconcetti: su questo punto qual è la mia esperienza personale?
• Pagliuzza e trave: qual è la trave in me che rende difficile la mia partecipazione alla vita in famiglia e in comunità?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 32
Beato il popolo che Dio ha scelto come sua eredità.
 
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
Il Signore guarda dal cielo:
egli vede tutti gli uomini.
 
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. 
 
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.