sabato 19 giugno 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • sabato | 19 giugno 2021

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Lectio sabato 19 giugno 2021


 
Sabato della Undicesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)

 
2 Lettera ai Corinzi 12, 1 - 10
Matteo 6, 24 - 34 
 
 
1) Preghiera 
O Dio, fortezza di chi spera in te, ascolta benigno le nostre invocazioni, e poiché nella nostra debolezza nulla possiamo senza il tuo aiuto, soccorrici con la tua grazia, perché fedeli ai tuoi comandamenti possiamo piacerti nelle intenzioni e nelle opere.
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2) Lettura: 2 Lettera ai Corinzi 12, 1 - 10
Fratelli, se bisogna vantarsi – ma non conviene – verrò tuttavia alle visioni e alle rivelazioni del Signore. So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni.
Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». 
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
 
3) Riflessione su 2 Lettera ai Corinzi 12, 1 - 10
 Se ci mettiamo alla sua scuola, la Madonna ci insegnerà l'umiltà e l'abbandono. Maria ha fatto perfettamente quanto dice Paolo a proposito della sua debolezza: "Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo". Maria ha accettato la sua situazione di debolezza, di piccolezza e ne è stata felice perché l'ha vista come motivo di una particolare attenzione di Dio: "il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l'umiltà della sua serva". Come è difficile, di solito, essere contenti della propria sorte umile, nascosta, oscura! E come è difficile l'umiltà quando si hanno motivi di vanto! San Paolo avvertiva il pericolo della superbia "per la grandezza delle rivelazioni"; Maria, salutata dall'angelo "piena di grazia", rimane tranquilla, contenta, abbandonata in pace alla volontà di Dio, preoccupata solo di lui. E quando Dio la vuole madre di un figlio condannato alla morte di croce come bestemmiatore, la sofferenza non fa cambiare il suo atteggiamento interiore: segue Gesù con adesione piena al disegno divino, in pace, con fiducia, fino al Calvario.
Domandiamo a lei che ci aiuti ad essere umili, fiduciosi, contenti della volontà del Signore in ogni concreta situazione.
 
 L'apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6).
Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito è in noi, è anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi è anche il Padre, e così si realizza quanto è detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dove infatti vi è la luce, là vi è anche lo splendore; e dove vi è lo splendore, ivi c'è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia.
Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l'amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.
 
 Quando sono debole, è allora che sono forte. (2Cor 12,10) - Come vivere questa Parola?
Mentre Paolo continua a parlare o a domandarsi della necessità di vantarsi, le sue confidenze ai Corinzi ci mostrano ancora di più un uomo appassionato del suo apostolato, fragile, ma fermo e sicuro di essere in Cristo qualsiasi cosa faccia o viva. Parla di sé in terza persona e sposta l'accento sull'area delle visioni e rivelazioni, esperienze di sicuro al di sopra di quelle dei suoi avversari; ma poi ritorna alle situazioni concrete legate alla sua missione: è un momento estremamente critico della sua vita e dall'intimo del cuore Paolo fa risuonare un grido di fiducia nella potenza di Cristo: «...Quando sono debole, è allora che sono forte!». 
La debolezza l'ha reso apostolo perché lo rende sempre più simile a Cristo crocifisso, conforme alla parola che sempre ha proclamato; diventa in lui la premessa, la condizione importante per la manifestazione della potenza di Dio come "grazia"; è il segno dell'efficacia della croce e della risurrezione del Signore. 
Mantieni in me, Signore, la consapevolezza della mia debolezza e la fiducia nella tua fortezza, per poter gridare, nelle angosce e avversità quotidiane: «Quando sono debole, è allora che sono forte».
Ecco la voce di un padre della Chiesa s. Agostino (Confessioni IV,1): Ci deridano pure i forti e i potenti; noi, deboli e bisognosi, ci confessiamo a Te, Signore
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4) Lettura: Vangelo secondo Matteo 6, 24 - 34 
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 6, 24 - 34 
 C’è la provvidenza!
Il mondo e le sue attrattive (la «mammona» del vangelo odierno) o Dio? È l’esigenza di una scelta radicale, che sgorga dalla coerenza e dalla fede che il cristiano vuole professare e vivere. «Non potete servire a Dio e a mammona». Tante volte ci sono nella nostra vita compromessi irrealizzabili, anche se spesso siamo tentati di attuarli. Certamente il Signore non disconosce l’importanza del nutrimento, del vestire e di quanto serve alla vita di ogni giorno. Vuole farci comprendere però che non è questo che dà il vero senso alla vita e vuole metterci in guardia da quegli eccessivi affanni che inutilmente ci affliggono e da quell’attaccamento alle cose che ci procura solo amare delusioni. Vuole far rinascere in noi la fede nel Dio provvido, che ai nostri giorni sembra quasi scomparsa. Sollecitandoci alla preghiera ci ricorda Gesù che il nostro Padre celeste sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glie lo chiediamo. Ci sollecita perciò a guardare con intelligenza spirituale gli uccelli de cielo, che, non ammassano nei granai, pure sono nutriti dal Padre celeste e i gigli del campo che provvidenzialmente si adornano di tutta la loro splendida bellezza. La conclusione è di quelle che dovrebbero entrare pienamente nel programma di vita di ogni cristiano: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Capita invece che proprio perché colpevolmente privi di beni spirituali, ci attacchiamo ai surrogati del mondo. Si tratta di spiritualizzare la nostra vita per imparare a cogliere i valori che davvero possono essere fonte della nostra gioia. Il materialismo si è sempre alleato all’ateismo, l’uno a supporto dell’altro.
 
 Il vangelo di oggi ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro (Mt 6,24) e il nostro rapporto con la Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). I consigli dati da Gesù suscitano varie domande di difficile risposta. Per esempio, come capire oggi l’affermazione: "Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24)? Come capire la raccomandazione di non preoccuparsi del cibo, della bevanda e del vestito (Mt 6,25)?
 
 Matteo 6,24: Non potete servire Dio e mammona. Gesù è molto chiaro nella sua affermazione: “Nessuno può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona." Ognuno dovrà fare la propria scelta. Dovrà chiedersi: “Chi pongo al primo posto nella mia vita. Dio o il denaro?” Da questa scelta dipenderà la comprensione dei consigli che seguono sulla Provvidenza Divina (Mt 6,25-34). Non si tratta di una scelta fatta solo con la testa, bensì di una scelta di vita ben concreta che ha a che fare anche con gli atteggiamenti.
 
 Matteo 6,25: Gesù critica la preoccupazione eccessiva per il mangiare e il bere. Questa critica di Gesù causa fino ai nostri giorni molto spavento nella gente, perché la grande preoccupazione di tutti i genitori è come procurarsi cibo e vestiti per i figli. Il motivo della critica è che la vita vale più del cibo e il corpo vale più del vestito. Per chiarire la sua critica, Gesù presenta due parabole: i passeri e i fiori.
 
 Matteo 6,26-27: La parabola degli uccelli: la vita vale più del cibo. Gesù ordina di guardare gli uccelli. Non seminano, non raccolgono, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. “Non contate voi, forse, più di loro!” Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della vita delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre. Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere 24 ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro. Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno.
 
 Matteo 6,28-30: La parabola dei gigli: il corpo vale più del vestito. Gesù chiede di guardare i fiori, i gigli del campo. Con che eleganza e bellezza Dio li veste! “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, non farà assai più per voi, gente di poca fede!” Gesù dice di guardare le cose della natura, perché così vedendo i fiori e il campo, la gente ricordi la missione che abbiamo: lottare per il Regno e creare una convivenza nuova che possa garantire il cibo e il vestito per tutti.
 
 Matteo 6,31-32: Non essere come i pagani. Gesù riprende e critica la preoccupazione eccessiva per il cibo, la bevanda e il vestito. E conclude: “Di queste cose si preoccupano i pagani!” Ci deve essere una differenza nella vita di coloro che hanno fede in Gesù e di coloro che non hanno fede in Gesù. Coloro che hanno fede in Gesù condividono con lui l’esperienza della gratuità di Dio Padre, Abba. Questa esperienza di paternità deve rivoluzionare la convivenza. Deve generare una vita comunitaria che sia fraterna, seme di una nuova società.
 
 Matteo 6,33-34: Il Regno al primo posto. Gesù indica due criteri: “Cercare prima il Regno di Dio” e “Non preoccuparsi per il domani”. Cercare in primo luogo il Regno e la sua giustizia significa cercare di fare la volontà di Dio e lasciare regnare Dio nella nostra vita. La ricerca di Dio si traduce, concretamente, nella ricerca di una convivenza fraterna. Dove c’è questa preoccupazione per il Regno, nasce una vita comunitaria in cui tutti vivono da fratelli e sorelle e a nessuno manca nulla. Lì non ci si preoccuperà del domani, cioè non ci si preoccuperà di accumulare.
 
 Cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Il Regno di Dio deve stare al centro di tutte le nostre preoccupazioni. Il Regno richiede una convivenza, dove non ci sia accumulazione, ma condivisione in modo che tutti abbiano il necessario per vivere. Il Regno è la nuova convivenza fraterna, in cui ogni persona si sente responsabile dell’altra. Questo modo di vedere il Regno aiuta a capire meglio le parabole degli uccelli e dei fiori, perché per Gesù la Provvidenza Divina passa attraverso l’organizzazione fraterna. Preoccuparsi del Regno e della sua giustizia è lo stesso che preoccuparsi di accettare Dio Padre ed essere fratello e sorella degli altri. Dinanzi all’impoverimento crescente causato dal neoliberalismo economico, la forma concreta che il vangelo ci presenta e grazie alla quale i poveri potranno vivere è la solidarietà e l’organizzazione.
 
 Un coltello affilato in mano ad un bambino può essere un’arma mortale. Un coltello affilato in mano ad una persona appesa ad una corda è l’arma che salva. Così sono le parole di Gesù sulla Provvidenza Divina. Sarebbe antievangelico dire ad un padre disoccupato, povero, con otto figli, e moglie malata: "Non ti preoccupare del cibo e delle bevande! Perché preoccuparsi del vestito e della salute?" (Mt 6,25.28). Questo possiamo dirlo solo quando noi stessi, imitando Gesù, ci organizziamo tra di noi per condividere, garantendo così al fratello la possibilità di sopravvivere. Altrimenti, siamo come i tre amici di Giobbe che, per difendere Dio, raccontavano menzogne sulla vita umana (Giobbe 1-3,7). Sarebbe come ingannare un orfano e un amico (Giobbe 1-7). In bocca al sistema dei ricchi, queste parole posso essere un’arma mortale contro i poveri. In bocca al povero, possono essere uno sbocco reale e concreto per una convivenza migliore, più giusta e fraterna.
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6) Per un confronto personale
• Cosa intendo io per Provvidenza Divina? Ho fiducia nella Provvidenza Divina?
• Noi cristiani abbiamo la missione di dare un’espressione concreta a ciò che portiamo dentro. Qual è l’espressione che stiamo dando alla nostra fiducia nella Provvidenza Divina?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 33
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
 
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.        
 
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
 
Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?