domenica 13 giugno 2021: per la preghiera personale e familiare "Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno"

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  • domenica | 13 giugno 2021

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Lectio domenica 13 giugno 2021

 
Domenica della Undicesima Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Sant’Antonio da Padova
 
2 Lettera ai Corinzi 5, 6 - 10
Marco 4, 26 - 34
 
 
1) Orazione iniziale 
Dio onnipotente ed eterno, che in sant’Antonio di Padova, hai dato al tuo popolo un insigne predicatore e un patrono dei poveri e dei sofferenti, fa’ che per sua intercessione seguiamo gli insegnamenti del Vangelo e sperimentiamo nella prova il soccorso della tua misericordia.
 
Veramente lo Spirito era su Antonio di Padova, che ha portato il lieto annuncio, il Vangelo, ai poveri con un successo straordinario. E ha fasciato le piaghe dei cuori spezzati, ha annunciato la liberazione dei prigionieri, in modo così luminoso, così straordinario, che è stato canonizzato dopo un solo anno dalla sua morte. È una cosa che oggi sarebbe impossibile, ma che dice bene quanto profonda fosse la venerazione del popolo cristiano.
Nella vita di sant'Antonio possiamo constatare la liberazione operata dallo Spirito. Antonio avrebbe potuto essere grandemente deluso, depresso, perché tutti i suoi progetti sono stati scombussolati. Voleva essere missionario, voleva perfino morire martire e proprio per questo si era imbarcato per andare fra i musulmani. Ma il suo viaggio non raggiunse la meta: invece di sbarcare nei paesi arabi fu sbarcato fra i cristiani, in Sicilia e poi rimase in Italia. 
Avrebbe potuto passare il resto della sua vita a compiangere se stesso: "Non posso realizzare la mia vocazione!". E invece fiorì dove il Signore lo aveva inaspettatamente piantato: cominciò subito a predicare, a fare il bene che poteva, e acquistò una fama straordinaria.
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2) Lettura: 2 Lettera ai Corinzi 5, 6 - 10
Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo – camminiamo infatti nella fede e non nella visione –, siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. 
Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male.
 
3) Commento su 2 Lettera ai Corinzi 5, 6 - 10
 Paolo, nonostante tutto, poteva dire: «Siamo sempre pieni di fiducia» (6a, 8a), l’opposto di «non ci scoraggiamo» (4:16). Non solo, quindi, quando le cose gli andavano bene, ma sempre. La tranquillità e la forza dell’Apostolo sorgono in parte dal sapere che: «mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore» (6b). Alcuni greci di quei tempi traevano coraggio di fronte alla morte in forza della persuasione di possedere un’anima immortale. Altri, privi di speranze, confessavano la loro tristezza per la vanità della vita (1 Tessalonicesi 4:13). Paolo, invece, di fronte alla morte era sereno, anzi, se ne rallegrava, perché la dipartita da questo mondo non significa per lui altro che andare ad «abitare con il Signore» (8b) come chi può finalmente tornarsene a casa con i suoi cari. Questo mondo è, per così dire, per il cristiano, la città dove lavora, la città dove temporaneamente vive e lavora. Lì deve sicuramente impegnarsi, ma non è veramente «casa sua», là dov’è il suo cuore. Dov’è il vostro cuore? Dove si trova meglio «a casa»? In questo mondo, oppure anelate essere con la persona che più amate, cioè Cristo? Ecco perché Gesù stesso dice: «…fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore» (Matteo 6:20-21). Questo mondo è là dove, per così dire, siamo «emigrati». La nostra «patria», però, è un’altra. Dei martiri della fede, la lettera agli ebrei dice: «Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria» (Ebrei 11:13-14). Un modo dualistico di pensare, una divisione fra «anima» e «corpo»? No, due «collocazioni» diverse, sia per l’anima che per il corpo, l’anima sì, ma un giorno con un corpo glorificato, come Cristo.
 
 Che significa, però, essere «assenti dal Signore»? Per evitare equivoci Paolo aggiunge: «poiché camminiamo per fede e non per visione» (v. 7). «Camminare» è il percorso della vita cristiana e l’ambito, «il luogo» di questo cammino è la fede. In esso, infatti, ancora non vediamo chiaramente, non abbiamo che le primizie di che cosa ci è stato promesso. Le contraddizioni ed incertezze della vita cristiana non ci dissuadono dal procedere perché guardiamo non tanto al presente, quanto all’obiettivo finale. «…poiché camminiamo per fede e non per visione» (Ebrei 11:1). «Assenti dal Signore» qui è inteso non in termini relazionali, come se non fosse possibile qui la comunione con il Signore, ma spaziali. Oggi è come «uno scambio di lettere d’amore». Un giorno saremo riuniti a Colui che ci ama e che noi amiamo. La morte fisica ci proietterà direttamente nella dimensione della presenza immediata del Signore, per questo Paolo può dire: «Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno» (Filippesi 1:21). 
 
 Mentre «camminiamo quaggiù» procedendo nella vita cristiana, i cristiani «si sforzano di essergli graditi» (v. 9), o meglio, aspirano a compiacere il Signore, si studiano di compiacergli in ogni maniera («ci studiamo» Diodati e ND), sia in vita (attraverso la loro fiduciosa ubbidienza) che in morte (testimoniando fede e dignità). Questo non vuol dire cercare di guadagnarci il Suo favore (e quindi la salvezza) con il nostro comportamento, ma dimostrando con i fatti il nostro amore e la nostra gratitudine verso Colui che ci ha amato fino a dare per la nostra salvezza, la Sua vita per noi. Come? Osservando i Suoi comandamenti! «Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Giovanni 14:21).
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Marco 4, 26 - 34
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Marco 4, 26 - 34
 Il discorso sul regno di Dio che Gesù fa con le due parabole risponde a una duplice domanda: anzitutto l’uomo non è l’attore principale della crescita del Regno che dipende da Dio; in secondo luogo il seme del regno che è piccolissimo diventerà una pianta molto grande: è quindi una visione di speranza che incoraggia, per quanto il regno appaia piccolo in questo momento. Dio è all’opera nella storia e la realizzazione del suo disegno non dipende dall’efficientismo né delle istituzioni né dei singoli, ma piuttosto dall’ascolto della Sua parola e dalla disponibilità a metterla in pratica. Il messaggio delle parabole non è un invito al disimpegno ma a lasciare che la parola operi nel cuore dissodato con buona volontà. Non è allora la strategia vincente puntare sulle strutture e l’organizzazione, che pure servono, ma aprire il cuore alla parola. La Chiesa è segno e strumento nella storia del regno di Dio: non coincide con il Regno, ma rimanda ad esso ed è a suo servizio; essa non è quindi giustificata ad assumere toni trionfalistici perché il Regno non è ancora giunto alla pienezza ed all’interno della Chiesa stessa ci sono contro-testimonianze.
Nella fase della storia della salvezza in cui viviamo la Chiesa è una realtà sacramentale che porta e rende efficace la presenza di Dio nella storia ma non ne esaurisce l’azione: il Regno è in costruzione e non è ancora giunta al compimento; ciascuno è invitato a collaborare alla crescita del regno assecondando la Grazia di Dio che Egli gli dona. Il cristiano vive la tensione tra il “già” e il “non ancora” della speranza e cammina tendendo verso la realtà futura che lo attende.
 
 I frutti della vita.
Gesù ci parla in parabole. Egli vuole che attraverso immagini ed esempi tratti dalla vita quotidiana i suoi preziosi insegnamenti s'imprimano nella mente e nel cuore dei suoi ascoltatori di ogni tempo. Con l'immagine del seme che cresce da solo e del granello di senape, il più piccolo di tutti i semi, vuole fugare per sempre dalla nostra mente la tentazione di immaginare e credere che il Signore Dio, onnipotente e lo stesso Gesù, Verbo incarnato, debbano apparire con manifestazioni grandiose e spettacolari o che noi possiamo da soli garantirci la vita eterna. Tutt'altro! Anche quando si parla del Regno di Dio viene presentato a noi come un piccolo seme che cresce lentamente; sfugge persino alle misurazioni umane perché guidato dal pensiero stesso di Dio. L'umiltà è uno degli insegnamenti che con maggiore insistenza appaiono nel Vangelo e in tutta la Scrittura. Non possiamo dimenticare che per la superbia abbiamo peccato una prima volta e per quello stesso vizio pecchiamo ancora. Il Vangelo ci dice anche che proprio dall'umiltà sgorga invece la potenza divina perché indissolubilmente è legata all'Amore. Così ciò che appare piccolo e debole ai nostri occhi racchiude l'immensità stessa di Dio fino a convincerci che dalla morte del seme sgorgano davvero i frutti più fecondi e perenni: è dalla morte di Cristo che fluisce il trionfo dell'amore, la definitiva sconfitta del male e la Sua e nostra risurrezione. Con divina sapienza il Signore ci vuol far sapere che le vicende della nostra umana esistenza, persino dinanzi all'esilio o a qualsiasi dolorosa esperienza, non bisogna mai perdersi d'animo o spegnere la speranza: silenziosamente, ma sempre con amorevole premura il Signore agisce nella nostra storia e anche dopo i percorsi traviati o tortuosi, se confidiamo in Lui, Egli ci riconduce sulla via della salvezza. Ancora una volta il chicco di grano prima di germogliare e portare frutto, è caduto in terra ed è morto: siamo stati crocifissi con Cristo per risorgere con Lui! Questo è il frutto meraviglioso che possiamo produrre con la nostra vita. Ecco perché nella vita del cristiano non c'è spazio per lo sconforto: Cristo Gesù ci accompagna, ci sostiene, ci guida, dona preziosa fecondità alla nostra vita.
 
 Dio, seminatore che non si stanca mai di noi.
Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno. L'infinito di Dio raccontato da un minuscolo seme, il futuro nella freschezza di un germoglio di senape.
Accade nel Regno di Dio come quando un uomo semina. Il Regno accade perché Dio è l'instancabile seminatore, che non è stanco di noi, che ogni giorno esce a immettere nell'universo le sue energie in forme seminali, germinali, come un nuovo giardino dell'Eden che sta a noi custodire e coltivare. E nessun uomo o donna che siano privi dei suoi germi di vita, nessuno troppo lontano dalla sua mano.
Che dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Gesù sottolinea un miracolo infinito di cui non ci stupiamo più: alla sera vedi un bocciolo, il giorno dopo si è aperto un fiore. Senza alcun intervento esterno. Qui affonda la radice della grande fiducia di chi crede: le cose di Dio, l'intera creazione, il bene crescono e fioriscono per una misteriosa forza interna, che è da Dio. Nonostante le nostre resistenze e distrazioni, nel mondo e nel cuore il seme di Dio germoglia e si arrampica verso la luce.
La seconda parabola mostra la sproporzione tra il granello di senapa, il più piccolo di tutti i semi, e il grande albero che ne nascerà. Senza voli retorici: il granello non salverà il mondo. Noi non salveremo il mondo. Ma, dice Gesù, gli uccelli verranno e vi faranno il nido. All'ombra del tuo albero grande accorreranno in molti, all'ombra della tua vita verranno per riprendere fiato, trovare ristoro, fare il nido: immagine della vita che riparte e vince. «Se tu hai aiutato anche uno solo a stare un po' meglio, la tua vita si è realizzata» (Papa Francesco).
La parabola del granello di senape racconta la preferenza di Dio per i mezzi poveri; dice che il suo Regno cresce per la misteriosa forza segreta delle cose buone, per l'energia propria della bellezza, della tenerezza, della verità, della bontà.
Mentre il nemico semina morte, noi come contadini pazienti e intelligenti seminiamo buon grano; noi come campo di Dio continuiamo ad accogliere e custodire i semi dello Spirito, nonostante l'imperversare di tutti gli erodi dentro e fuori di noi.
Un seme deposto dal vento nelle fenditure di una muraglia è capace di viverci; è capace, con la punta fragilissima del suo germoglio, di aprirsi una strada nel duro dell'asfalto. Gesù sa di aver immesso nel mondo un germe di bontà divina che, con il suo assedio dolce e implacabile, spezzerà la crosta arida di tutte le epoche, per riportarvi sentori di primavera, di vita fiorita, di mietiture.
Tutta la nostra fiducia è in questo: Dio è all'opera in seno alla storia e in noi, in alto silenzio e con piccole cose.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
- Nel considerare le vicende della storia che stiamo vivendo, siamo miopi o lungimiranti? Riusciamo a vedere, anche nelle fatiche quotidiane, il Regno di Dio che sta germogliando? 
- Siamo inguaribilmente pessimisti? Vediamo soli disfacimenti, crolli, fine delle utopie, oppure riusciamo a pensare che tutto questo è segno di un mondo nuovo che sta crescendo? 
- Come pensiamo di poter costruire il Regno di Dio nella nostra Comunità/famiglia e attraverso essa?
 
 
7) Preghiera: Salmo 91
È bello rendere grazie al Signore.
 
È bello rendere grazie al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
annunciare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte.   
 
Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
 
Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore,
mia roccia: in lui non c’è malvagità.
 
 
8) Orazione Finale
Concedici la grazia di usare bene ogni giornata che ci doni. Ti affidiamo il tempo dell’estate dei ragazzi e dei giovani, perché diventi occasione di incontri che aiutano a vivere con gioia e verità.