Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - martedì 1 giugno 2021

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  • martedì | 1 giugno 2021

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Lectio martedì 1 giugno 2021

 
Martedì della Nona Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
San Giustino
 
Libro di Tobia 2, 9 - 14
Marco 12, 13 - 17
 
 
1) Preghiera 
O Dio, che hai donato al santo martire Giustino una mirabile conoscenza del mistero del Cristo, attraverso la sublime follia della Croce, per la sua intercessione allontana da noi le tenebre dell’errore e confermaci nella professione della vera fede.
 
lo nostro secolo, che cerca un modello di santità vissuta nelle responsabilità quotidiane, potrebbe trovarlo benissimo in Giustino. Egli fu infatti un discepolo di Gesù Cristo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede. Sempre in cerca della verità, dopo averla scoperta in Gesù Cristo, non smette di approfondirla. Nel suo continuo cercare rende evidente il dono totale fatto di se stesso a Cristo, che lo porterà fino al martirio. Uomo retto e fedele, Giustino fu sale e luce (7. ) per gli uomini del suo tempo. 
Giustino non arrivò alla "mirabile conoscenza del mistero del Cristo" soprattutto attraverso le sue ricerche intellettuali, bensì mediante la fedeltà alla fede che lo porterà sino al martirio. Coi libri che ci ha lasciato, ma più ancora col suo eroico sacrificio, egli proclama anche oggi che gli uomini non vengono salvati dalla loro saggezza, né dall'ostentazione di segni straordinari. Vengono salvati dalla Croce, follia e scandalo per gli uomini, potenza e sapienza di Dio.
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2) Lettura: Libro di Tobia 2, 9 - 14
Io, Tobi, in quella notte di Pentecoste, dopo aver seppellito il morto, mi lavai, entrai nel mio cortile e mi addormentai sotto il muro del cortile. Per il caldo che c’era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la cura. Più essi però mi applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, a causa delle macchie bianche, finché divenni cieco del tutto. Per quattro anni rimasi cieco e ne soffrirono tutti i miei fratelli. Achikàr, nei due anni che precedettero la sua partenza per l’Elimàide, provvide al mio sostentamento. In quel tempo mia moglie Anna lavorava a domicilio, tessendo la lana che rimandava poi ai padroni, ricevendone la paga. Ora nel settimo giorno del mese di Distro, quando tagliò il pezzo che aveva tessuto e lo mandò ai padroni, essi, oltre la mercede completa, le fecero dono di un capretto da mangiare. 
Quando il capretto entrò in casa mia, si mise a belare. Chiamai allora mia moglie e le dissi: «Da dove viene questo capretto? Non sarà stato rubato? Restituiscilo ai padroni, poiché non abbiamo nessun diritto di mangiare una cosa rubata». Ella mi disse: «Mi è stato dato in più del salario». Ma io non le credevo e le ripetevo di restituirlo ai padroni e per questo mi vergognavo di lei. Allora per tutta risposta mi disse: «Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene da come sei ridotto!».
 
3) Commento sul Libro di Tobia 2, 9 - 14
? Nella prima lettura una frase sembra degna di attenzione: nella "disgrazia della cecità che lo aveva colpito Tobi rese grazie al Signore per tutti i giorni della sua vita". E impressionante: un uomo colpito da un grave male rende grazie a Dio! Eppure è questo sempre l'atteggiamento giusto, anche nella prova, non certo per la prova in se stessa, ma per i doni del Signore che continuano anche nella prova. Tobia che rende grazie è figura di Gesù che nell'Ultima Cena, prima della passione, ringrazia il Padre prendendo il pane che doveva diventare il suo corpo, dato per noi. Gesù ha riconosciuto nella Passione un dono del Padre. Dopo di lui e in lui ogni prova è una possibilità, un'occasione di amore in unione a tutti quelli che soffrono e quindi è giusto che ci sia rendimento di grazie per l'amore che Dio vuol comunicarci.
 Divenni cieco del tutto (Tb 2,10) - Come vivere questa Parola?
Tobi serve fedelmente Dio e si prodiga per i fratelli senza badare ai rischi a cui ciò lo espone. Ha appena seppellito un morto, cosa proibita dal popolo che tiene Israele in soggezione. Stanco ed oppresso dal dolore, si addormenta all'aperto e, in seguito a un banale incidente, rimane totalmente cieco. 
Un episodio che lascia con dell'amaro in bocca: ma come, Dio non protegge il suo fedele, non si prende cura di lui? Come è possibile che a un gesto di encomiabile e coraggiosa generosità segua una così grave disgrazia?
È quanto spinge i vicini di Tobi a deriderlo e la moglie a insultarlo. È quanto lascia perplessi anche noi... Dietro questo atteggiamento un'idea distorta di Dio e anche una valutazione epidermica di quanto la vita presenta.
Dio non è un'agenzia di assicurazioni a cui è bene affidarsi per evitare dannose conseguenze! Guai se la nostra adesione di fede si riducesse a questo!
Dio è certamente l'onnipotente, ma prima e più ancora è l'onniamante. Un innamorato della sua creatura che altro non reclama che corrispondenza di amore. Un amante che ci precede nell'amore e si attende da parte nostra fiducia irremovibile nella sua fedeltà.
Le inevitabili prove della vita da lui permesse, se accolte con fede non fanno che affinare e rafforzare la nostra capacità di amare, diventano un banco di prova che autentica l'amore e lo impreziosisce agli occhi di Dio e comunque non sono un male irreparabile. L'unica vera disgrazia che si deve temere è quella di sottrarci all'onda della tenerezza misericordiosa e fedele di Dio, e questo dipende unicamente dalla nostra volontà. 
Mantieni salda in me, Signore, la certezza del tuo amore che comunque e sempre mi avvolge sorregge e guida, e donami di corrispondervi con generosa prontezza.
La voce di una Santa Madre Teresa di Calcutta: "Ti ho disegnato sul palmo delle mie mani" (Is 49,16). Ogni volta che Dio guarda il palmo della sua mano, io sono là. In momenti di sofferenza, di solitudine, di umiliazione, di fallimento, ricorda che sei nelle mani di Dio.
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4) Lettura: Vangelo secondo Marco 12, 13 - 17
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
 
5) Commento sul Vangelo secondo Marco 12, 13 - 17
 A Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio.
Troviamo in questo passo del Vangelo una delle frasi più celebri di Gesù: "Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". Sappiamo quale fu l'occasione di questa frase: volevano solo farlo parlare per metterlo alla prova. Meschinità umana! La risposta di Gesù, vero maestro, amante dell'uomo, offre una soluzione così sapiente e così pratica per la vita, al di fuori di ogni polemica, tanto che gli oppositori "Rimasero ammirati di lui". La proprietà di Dio è la persona umana, che porta l'immagine divina per l'opera della creazione. Ecco a chi apparteniamo, a chi rendere culto. Da questa verità fondamentale si dipanano tutti gli altri rapporti nella società, pur diversi, ma non in contrapposizione. Gesù dirà a Pilato, che gli minacciava la sua determinante autorità, "Non avresti autorità su di me, se non ti fosse concessa dall'alto". Tutta la vita di Gesù è stata un ossequio al Padre e nelle cose umane non ha avuto nessun percorso preferenziale, anzi... In questa circostanza a Gesù fanno una domanda politica. Egli dà una risposta religiosa. Cercano di invischiarlo in una questione nazionale, ma egli si richiama al regno di Dio. La dominazione straniera anche per lui è un'ingiustizia, perché ama la sua patria e lo dimostra col pianto che fa sulla vicina distruzione di Gerusalemme. Solo in questo momento gli preme distinguere e valutare, sotto la pressione dell'ambigua richiesta, la sovranità dei due ruoli, civile e religioso. Lasciamo che lo Spirito ci illumini secondo la nostra situazione concreta. Troveremo tutti come dare di più a Dio, ciò che è di Dio, come dare meglio a Cesare ciò che è di Cesare.
 
 Nel vangelo di oggi continua il confronto tra Gesù e le autorità. I sacerdoti e gli scribi erano stati criticati e denunciati da Gesù nella parabola della vigna (Mc 12,1-12). Ora, loro stessi chiedono ai farisei e agli erodiani di creare una trappola contro Gesù, per poterlo condannare. Fanno domande a Gesù sull’imposta da pagare ai romani. Era un tema polemico che divideva l’opinione pubblica. Gli avversari di Gesù vogliono a ogni costo accusarlo e diminuire così l’influenza che ha sulla gente. Gruppi, che prima erano nemici tra di loro, ora si uniscono per combattere contro Gesù che entrava nel loro terreno. Questo succede anche oggi. Molte volte, persone o gruppi, nemici tra di loro, si uniscono per difendere i loro privilegi contro coloro che li scomodano con l’annuncio della verità e della giustizia.
 
 Marco 12,13-14: La domanda dei farisei e degli erodiani. Farisei ed erodiani erano i leader locali nei villaggi di Galilea. Da tempo, avevano deciso di uccidere Gesù (Mc 3,6). Ora, agli ordini dei sacerdoti e degli anziani, vogliono sapere se Gesù è a favore o contro il pagamento delle imposte ai romani, a Cesare. Domanda subdola, piena di malizia! Sotto l’apparenza di fedeltà alla legge di Dio, cercano motivi per poterlo accusare. Se Gesù dicesse: “Dovete pagare!”, loro potrebbero accusarlo di essere amico dei romani. Se lui dicesse: “Non dovete pagare!”, potrebbero accusarlo presso le autorità romane di essere sovversivo. Sembrava una strada senza uscita!
 
 Marco 12, 15-17: La risposta di Gesù. Gesù percepisce l’ipocrisia. Nella sua risposta, non perde tempo in discussioni inutili, e va dritto al centro della questione. Invece di rispondere e di discutere la faccenda del tributo a Cesare, chiede di mostrargli una moneta e chiede: "Di chi è questa immagine ed iscrizione?" Loro rispondono: "Di Cesare!" Risposta di Gesù: "Allora, date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio!” In pratica, loro riconoscevano già l’autorità di Cesare. Stavano già dando a Cesare ciò che era di Cesare, poiché usavano le sue monete per comprare e vendere e perfino per pagare le imposte del Tempio! Ciò che interessava Gesù era che “dessero a Dio ciò che è di Dio!”, cioè che restituissero a Dio la gente, da loro deviata, poiché con i loro insegnamenti bloccavano l’ingresso nel Regno (Mt 23,13). Altri spiegavano questa frase di Gesù in un altro modo: “Date a Dio ciò che è di Dio!”, cioè, praticate la giustizia e l’onestà come la Legge di Dio lo esige, perché la vostra ipocrisia nega a Dio ciò che gli è dovuto. I discepoli e le discepole devono esserne consapevoli! Poiché il fermento di questi erodiani e di questi farisei stava rendendoli ciechi.
 
 Imposte, tributi, tasse e decime. Al tempo di Gesù, la gente di Palestina pagava molte imposte, tasse, tributi e decime, sia ai romani che al Tempio. L’impero romano aveva invaso la Palestina nell’anno 63 a.C. ed impose molte tasse e tributi. Secondo i calcoli fatti, la metà o anche di più del salario familiare andava alle imposte, tributi, tasse e decime. Le imposte che i romani esigevano erano di due tipi: dirette e indirette:
a) L’imposta Diretta era sulle proprietà e sulle persone. Imposta sulla proprietà (tributum soli): i fiscali del governo verificavano la grandezza della proprietà, della produzione e del numero di schiavi e fissavano la quantità da pagare. Periodicamente, c’era una nuova fiscalizzazione mediante i censimenti. L’imposta sulle persone (tributum capitis): era per le classi povere senza terra. Includeva sia gli uomini che le donne, tra i 12 ed i 65 anni. Era un’imposta sulla forza di lavoro: il 20% del reddito di ogni persona andava all’imposta.
b) L’imposta Indiretta era sulle transazioni di diverso tipo. Corona d’oro: Originariamente si trattava di un regalo all’imperatore, ma divenne un’imposta obbligatoria. Veniva pagata in occasioni speciali, per esempio: feste e visite dell’imperatore. L’imposta sul sale: il sale era monopolio dell’imperatore. Bisognava pagare il tributo solo sul sale di uso commerciale. Per esempio, il sale usato dai pescatori per essiccare il pesce. Da qui viene la parola salario. Imposta sulla compravendita: Per ciascuna transazione commerciale si pagava l’1%. Questo denaro veniva pagato alla gente del fisco durante la fiera. Nell’acquisto di uno schiavo esigevano il 4%. In ogni contratto commerciale registrato, esigevano il 2%. Imposta per svolgere una professione: C’era bisogno per tutto di avere una licenza. Per esempio, un calzolaio nella città di Palmira pagava un denaro al mese. Un denaro era l’equivalente del salario di una giornata. Perfino le prostitute dovevano pagare. Imposta sull’uso delle cose di pubblica utilità: L’imperatore Vespasiano introdusse l’imposta per poter usare i gabinetti pubblici a Roma. Lui diceva “Il denaro non puzza!”
c) Altre tasse ed obbligazioni: Pedaggio o dogana; Lavoro forzato; Spesa speciale per l’esercito (ospitare i soldati; pagare per il cibo delle truppe); Imposta per il Tempio ed il Culto.
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6) Per un confronto personale 
• Conosci qualche caso di gruppi o di persone che erano nemici tra di loro, ma che si sono uniti per perseguitare una persona onesta che li scomodava e denunciava? È successo qualche volta con te?
• Che senso ha oggi la frase: “Dà a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”?
 
 
7) Preghiera finale: Salmo 111
Saldo è il cuore del giusto che confida nel Signore.
 
Beato l’uomo che teme il Signore
e nei suoi precetti trova grande gioia.
Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza degli uomini retti sarà benedetta.
 
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
Sicuro è il suo cuore, non teme,
finché non vedrà la rovina dei suoi nemici.
 
Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.