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- venerdì | 28 maggio 2021
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Lectio venerdì 28 maggio 2021
Venerdì dell’Ottava Settimana del Tempo Ordinario (Anno B)
Libro del Siracide 44, 1. 9 - 13
Marco 11, 11 - 25
1) Preghiera
Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace, e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
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2) Lettura: Libro del Siracide 44, 1. 9 - 13
Facciamo ora l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Di altri non sussiste memoria, svanirono come se non fossero esistiti, furono come se non fossero mai stati, e così pure i loro figli dopo di loro. Questi invece furono uomini di fede, e le loro opere giuste non sono dimenticate. Nella loro discendenza dimora una preziosa eredità: i loro posteri.
La loro discendenza resta fedele alle alleanze e grazie a loro anche i loro figli.
Per sempre rimarrà la loro discendenza e la loro gloria non sarà offuscata.
3) Riflessione su Libro del Siracide 44, 1. 9 - 13
Ben Sirà o Siracide (figlio di Sira) è uno scriba e maestro di sapienza, vissuto probabilmente a Gerusalemme tra il III e il II secolo a.C. Il testo porta anche la firma del suo autore, uno dei pochi nella Scrittura (50,27). È un'opera scritta in ebraico intorno al 180 a.C. e tradotta in greco dal nipote attorno al 130 a.C. (come dice nel Prologo, all'inizio del libro).
È uno di quegli scritti accolto nell'elenco dei testi ispirati dalla Chiesa Cattolica e ortodossa ma non considerato nell'elenco ebraico dei libri ispirati e quindi non incluso dal mondo protestante.
Tutto il cap. 44 sviluppa la lode degli antichi padri d'Israele che manifestano, nella loro grandezza, la sapienza e lo splendore di Dio. In loro il progetto di Dio si è irrobustito poiché hanno offerto l'esempio e la fedeltà, pur nelle difficoltà e nella fatica quotidiana. "Facciamo ora l'elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Il Signore li ha resi molto gloriosi e la sua grandezza è da sempre" (44,1-2). La lunga rassegna inizia con i Patriarchi, da Enoc fino a Giacobbe (44,16-23).
Poi il Siracide parla di Mosè, "amato da Dio e dagli uomini" (45,1) e continua, ricordando che l'intervento di Dio su di lui è stato particolarmente carico di attenzioni. Così Mosè diventa depositario della legge e quindi custode della sapienza di Dio per il suo popolo e per le generazioni future. Lo santifica "nella fedeltà e nella mansuetudine" e questo suggerisce quali miracoli Dio è capace di fare. Sa mantenere il cuore nella continuità e nella non violenza poiché, qualunque cosa si voglia dire della Prima Alleanza, il vertice della Santità è la misericordia e quindi la mansuetudine come virtù attiva. Mosè è trattato come un amico, un messo, un ambasciatore, un interprete presso il popolo. Introdotto nella nube misteriosa, riceve i comandamenti che sono progettati per vivere, per capire e per maturare l'Alleanza.
Ci si rende conto, pur in pochi versetti, come l'impegno morale si gioca continuamente con diffidenze, paure, stanchezze, oscurità. Il Signore sa che sono in gioco due libertà: la sua che è fedele ed ha garantito con giuramento che non sarà ritirata, e insieme la libertà dell'uomo che è soggetta a ripensamenti e a fatica, a delusioni ed a dimenticanze. Mosè è descritto come il maestro dotato di virtù e di responsabilità tali da saper condurre questo popolo alla piena obbedienza e fedeltà.
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4) Lettura: Vangelo secondo Marco 11, 11 - 25
[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città. La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».
5) Riflessione sul Vangelo secondo Marco 11, 11 - 25
Il fico sterile e i venditori nel tempio.
Due episodi si susseguono e s'intrecciano nel brano evangelico di Marco. Ci sorprende la maledizione che Gesù commina ad un albero di fico senza frutti, ma ci fa ricordare il brano dell'Apocalisse: «Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». È il rifiuto dell'indolenza e dell'apatia. È la condanna per chi non usa i talenti ricevuti per farli fruttificare; per tutti coloro che restano per colpa allo stato servile e di paura e non fanno mai scattare la molla dell'amore. È poi normale che ciò che è maledetto dal Signore diventi secco, arido. Ci ricorda l'altra parabola della vite e i tralci: anche lì il tralcio che non porta frutto deve essere tagliato e gettato nel fuoco. Gesù approfitta dello stupore degli apostoli che costatano la sorte del fico maledetto per dare loro e a noi una fervida esortazione sulla preghiera e sulla fede che deve accompagnarla: «Abbiate fede in Dio! In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».
L'altro episodio riguarda i venditori del tempio, coloro che hanno fatto della casa del Signore da un luogo di preghiera, una spelonca di ladri. Gesù, preso da santo zelo, si erge a difensore del vero culto da rendere a Dio; egli vuole recuperare la santità del tempio, dove il Padre ha posto la sua dimora tra gli uomini. Vuole liberare la sua chiesa sin dal suo nascere dalla tentazione della simonia. Mercanteggiare le cose di Dio è un gravissimo peccato perché significa svilirne i valori incommensurabili e vendere ciò che non ci appartiene, ma viene dato come dono nell'assoluta gratuità. Il gesto è poi sacrilego perché si consuma all'interno della Casa del Signore, dove è più viva la sua divina presenza. C'è poi un richiamo indiretto all'uso e abuso del denaro, che spesso tiranneggia noi mortali facendoci credere che abbia un potere che in realtà non possiede.
“Gesù entrò a Gerusalemme, nel tempio”. Una delle caratteristiche di questo brano è il continuo movimento di Gesù, espresso dal ripetersi, in alternanza, dei verbi “entrare” e “uscire” (vv. 11; 12; 15; 19). Il Signore, infatti, viene continuamente nella nostra vita, entra nel nostro spazio, nella nostra esperienza, passa, cammina in mezzo a noi e con noi, ma poi se ne va, si allontana, si lascia cercare e aspettare, e di nuovo torna e si lascia trovare. Non disdegna di entrare nella Città santa, nel tempio, così come dentro di noi, nel nostro cuore, offrendoci la sua visita di salvezza.
“Ebbe fame”. Il verbo che qui troviamo, sulla penna di Marco, è lo stesso usato anche da Matteo e da Luca nel racconto delle tentazioni nel deserto (Mt 4, 2; Lc 4, 2) e vuole esprimere tutta una condizione di debolezza, di fragilità, di bisogno, di stanchezza. Gesù cerca qualcosa di più che un semplice frutto per placare la sua fame; non chiede qualcosa a un fico fuori stagione, ma chiede al suo popolo, chiede a noi, il cibo buono dell’amore, quello che viene imbandito alla tavola dell’alleanza, del sì detto con fiducia e abbandono.
“un albero di fichi che aveva delle foglie”. La figura dell’albero di fichi, che occupa un posto centrale in questo brano, è un simbolo molto forte di Israele, popolo eletto; del tempio e del culto reso a Dio al suo interno; e infine anche di noi stessi, se lo vogliamo, della verità più profonda del nostro cuore.
Le foglie del fico rimandano con chiarezza all’esperienza di Adamo nel giardino di Eden, al suo contatto col peccato, alla sua nudità e alla conseguente vergogna. Gesù, fermandosi presso questo fico nel suo viaggio verso Gerusalemme e puntando il suo sguardo sulle foglie che nascondono la mancanza di frutti, in realtà toglie il velo alla nostra verità e mette a nudo il nostro cuore, non per condannare, ma per salvare, per guarire. Il frutto del fico è infatti dolce; il Signore cerca la dolcezza dell’amore per parlare alla nostra vita. Il fico sterile, vuoto di frutti e di vita, anticipa, così, il tempio svuotato di senso, profanato e reso inutile da un rapporto con Dio, che è solo fuga, che è non-incontro. Come Adamo, così anche Israele e forse anche noi.
“Quelli che vendevano e compravano”. La scena della purificazione del tempio (vv. 15-17), che Marco inserisce tra i due momenti del racconto già anticipato della maledizione al fico senza frutti, è molto forte e animata. Questa volta siamo chiamati a porre la nostra attenzione su verbi e vocaboli quali “scacciare”, “rovesciò”, “non permetteva”; “vendevano”, “compravano”, “cambiamonete”, “venditori”, “ladri” “trasportare cose”. Gesù inaugura un’economia nuova, nella quale “senza prezzo noi siamo venduti e senza denaro siamo riscattati” (Is 52, 3), “non per denaro e non per regali noi siamo riscattati” (Is 45, 13) e “non a prezzo di argento e oro noi siamo liberati, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia” (1 Pt 1, 18-19).
“Casa di preghiera”. Dal tempio santo noi siamo condotti nella casa, Dimora di Dio, dove il vero sacrificio è la preghiera, cioè l’incontro faccia a faccia con Lui, come di figli col proprio Padre. Qui nulla si compra, non c’è denaro, ma solo il dono del cuore che si apre con piena fiducia alla preghiera e alla fede.
“L’albero di fichi seccato fin dalle radici”. Infatti sono proprio questi i nuovi temi che le parole di Marco vogliono offrire alla nostra meditazione, continuando nella lettura del brano. Occorre uscire dal tempio per entrare nella casa, occorre uscire dalla compravendita per entrare nel dono e nella fiducia: l’albero senza frutti è inaridito e sembra stare nel mezzo della strada per indicare il cammino nuovo da percorrere, col sorgere del nuovo mattino (v. 20), un cammino verso Dio e verso i fratelli.
“Abbiate fede senza dubitare”. Con questa bellissima espressione Gesù ci aiuta a scendere nel profondo di noi stessi e a prendere contatto col nostro cuore, nella verità. Il testo greco ha un verbo stupendo, tradotto qui con “dubitare” e che vuole esprimere addirittura una spaccatura interiore, una divisione, un combattimento fra parti diverse. Gesù ci invita, così, a porre una fiducia assoluta in Lui e nel Padre, per non venire spezzati dentro. In modo pieno e completo noi possiamo avvicinarci a Dio, possiamo essere in relazione con Lui, senza bisogno di foglie per mascherarci, senza cominciare a contare le monete e calcolare il prezzo da pagare, senza fare separazioni dentro di noi, ma offrendoci totalmente a Lui, così come siamo, quelli che siamo, portando con noi il frutto buono e dolce dell’amore.
“Quando vi mettete a pregare, perdonate”. E non può essere altro che così: il termine e il nuovo inizio del cammino di fede e di preghiera, nella vita del cristiano, si trova nella relazione coi fratelli e le sorelle, nell’incontro con loro, nello scambio, nel dono reciproco. Non esiste preghiera, culto a Dio, tempio santo, sacrificio gradito a Dio, non esiste frutto o dolcezza senza l’amore per il fratello e la sorella. Marco lo chiama perdono, Gesù lo chiama amore, l’unico frutto capace di colmare la nostra fame, di sollevare ogni nostra stanchezza.
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6) Per un confronto personale
* Meditando questo brano si incontrano due figure molto forti: l’albero di fico e il tempio, entrambi senza frutto, senza vita e amore. Si vede Gesù, che con la sua venuta e la sua opera forte e sicura, ha cambiato questa situazione, offrendo un volto nuovo alla vita. Riusciamo a riconoscere il nostro bisogno di lasciarci raggiungere dal Signore, di lasciarci toccare da Lui? Ci vediamo, in alcuni aspetti di noi, della nostra vita, come il fico sterile, senza frutti o come il tempio, luogo freddo di commerci e di calcoli? Sentiamo dentro di noi il desiderio di poter donare anche noi il frutto dolce dell’amore, dell’amicizia, della condivisione? Abbiamo fame della preghiera, del vero rapporto con il Padre?
* Seguendo Gesù lungo la via, possiamo anche noi entrare nel mattino nuovo della sua Legge, del suo insegnamento. Riusciamo a riconoscere le spaccature che portiamo nel nostro cuore? Dove ci sentiamo più divisi, più insicuri, più confusi? Perché non riusciamo a fidarci totalmente di nostro Padre? Perché ancora zoppichiamo su due piedi, come dice il profeta Elia (cfr. 1 Re 18, 21). Noi lo sappiamo che il Signore è Dio e allora vogliamo seguire Lui! Non da solo, però, ma aprendo il cuore a tanti fratelli e sorelle, facendoci amici e compagni di viaggio, per condividere la gioia e la fatica, la paura e l’entusiasmo del cammino; sappiamo per certo che seguendo il Signore saremo felici.
7) Preghiera finale: Salmo 149
Il Signore ama il suo popolo.
Cantate al Signore un canto nuovo;
la sua lode nell’assemblea dei fedeli.
Gioisca Israele nel suo creatore,
esultino nel loro re i figli di Sion.
Lodino il suo nome con danze,
con tamburelli e cetre gli cantino inni.
Il Signore ama il suo popolo,
incorona i poveri di vittoria.
Esultino i fedeli nella gloria,
facciano festa sui loro giacigli.
Le lodi di Dio sulla loro bocca:
questo è un onore per tutti i suoi fedeli.