Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - giovedì 1 aprile 2021

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  • giovedì | 1 aprile 2021

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Lectio giovedì 1 aprile 2021


Giovedì della Settimana Santa (Anno B)
 
1 Lettera ai Corinzi 11, 23 - 26
Giovanni 13, 1 - 15
 
 
1) Orazione iniziale
O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita.
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2) Lettura: 1 Lettera ai Corinzi 11, 23 - 26
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
 
3) Commento su  1  Lettera ai Corinzi  11, 23 - 26

 Nel capitolo 11 della prima lettera ai Corinti, Paolo redarguisce severamente i suoi fedeli poiché quando si riunivano per la cena del Signore, ognuno prendeva il proprio pasto senza che la cena fosse una vera esperienza di condivisione. Così alcuni se ne tornavano a casa satolli ed ubriachi, mentre altri tornavano ancora affamati. Ai tempi di Paolo l'Eucaristia era ancora celebrata al termine di un vero e proprio pasto, quindi era ovvio che potessero avvenire questi eccessi. Il rimprovero di Paolo gli offre l'occasione di scrivere una delle testimonianze più antiche della Cena del Signore, forse ancora più antica di quella riportataci dal vangelo di Marco. 
Anche per noi, riflettere su queste parole che vengono pronunciate durante ogni Eucaristia ci aiuta a ricordare il significato fondante del nostro partecipare alla Messa e agli impegni che ne derivano per la nostra vita di cristiani.

 Paolo non era lì con gli altri apostoli eppure ci spiega perché egli merita a pieno titolo la stessa qualifica di apostolo: è stato istruito da Cristo stesso. ‘Poiché io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta ho trasmesso’. Vale a dire l'istituzione dell'Eucarestia nella notte stessa del tradimento, memoriale della sua Passione. Sacramento che ci accompagna dalla ‘morte del Signore, fino a quando egli verrà’. Per questo intima: ‘fate questo in memoria di me’. È l'istituzione del sacramento dell'ordine sacro del sacerdozio.
 

 «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me.” 
Gesù ha ripetuto il rituale, ma in modo originale, pronunciando sul pane e sul calice parole nuove. Esse indicano il valore simbolico del rito compreso nella prospettiva della prossima fine. Il pane spezzato e il vino diventano il segno della sua persona (corpo e sangue) che stava per essere consegnata alla morte. Mangiando e bevendo si partecipa alla sua morte e alla salvezza che essa comunica. 
Bisogna sottolineare le parole "per voi", vale a dire che la sua morte ha valore salvifico, espiatorio per i credenti che celebrano l'eucarestia. Nella morte Cristo ha espresso una solidarietà concreta estrema. La sua convivialità con i discepoli ha questo significato. Perché i Corinti non avvertono di essere in stridente contraddizione? Anche il comando fate questo in memoria di me va nella stessa direzione. Sta all'origine della prassi eucaristica della Chiesa, specificandola quale "memoria" di Cristo solidale fino alla morte con i credenti. L'antecedente nell'AT del termine greco anamnesis (memoria), cioè zikkaron vieta di intendere la Cena del Signore come puro ricordo psicologico. Si tratta di una vera e propria attualizzazione sotto forma simbolica o sacramentale. La comunità cristiana partecipa efficacemente all'evento salvifico della morte di Gesù: partecipazione che impegna e responsabilizza in senso di concreta condivisione, espressa nel pasto comune, con i fratelli, soprattutto con i più bisognosi.
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4) Lettura :  dal Vangelo di   Giovanni 13, 1 - 15
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
 
5) Riflessione sul Vangelo di  Giovanni 13, 1 - 15  
  Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.
Questa messa, che ricorda l'istituzione dell'Eucaristia, compiuta da Gesù nella cena pasquale, ha una duplice caratteristica. Anzitutto pone in rilievo il comando di Gesù di celebrare con un rito perpetuo la sua pasqua storica di morte e di risurrezione, come già nell'antica economia si commemorava l'esodo di liberazione. In secondo luogo questo comando è posto in connessione essenziale con l'altro 'mandato' della carità, rievocato attraverso il rito della lavanda dei piedi, simbolo del servizio sacrificale del Cristo. "Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli". Il Figlio di Dio che lava i piedi sporchi dei suoi discepoli, come uno schivo, diventa il grande modello di cosa deve essere ogni eucaristia: il servizio di alzarsi da tavola, di deporre gli indumenti della gloria, di chinarsi verso l'altro nel mistero del perdono: questa è vera fraternità. Lavare i piedi è il segno dell'accoglienza, come si faceva per l'ospite. Gesù con ciò dice chiaramente di accogliere e ospitare in sé i suoi discepoli, di portarli con sé nelle vicende che egli affronterà. "Venne da Simon Pietro e questi gli disse: Signore, tu lavi i piedi a me?... non mi laverai mai i piedi!" Pietro non accetta l'umiliazione del suo Maestro, ma non poteva rifiutarsi a questo gesto, pena il non aver parte con Gesù al suo mistero di morte e di vita. Nell'atto del servizio di amore estremo di Gesù, già simboleggiato dal gesto della lavanda, la Pasqua diventa la nostra purificazione, perché significa lasciarsi perdonare e immergere nell'acqua del Battesimo che lava in Cristo i piedi sporchi del mondo, oltre che i nostri.
 
  Preambolo alla Pasqua di Gesù.
Il brano del vangelo di questo giorno è inserito in un insieme letterario che comprende i capitoli 13-17. L’inizio è costituito dal racconto dell’ultima cena che Gesù condivide con i suoi discepoli, durante la quale compie il gesto della lavanda dei piedi (13,1-30). Poi, Gesù intesse un lungo dialogo d’addio con i suoi discepoli (13,31 - 14,31), i capitoli 15-17 hanno la funzione di approfondire ulteriormente il precedente discorso del maestro. Immediatamente, segue, l’azione dell’arresto di Gesù (18,1-11). In ogni modo, questi eventi narrati in 13,-17,26 sono collegati sin da 13,1 con la Pasqua di Gesù. Interessante è notare quest’ultima annotazione: da 12,1 la Pasqua non viene più denominata come la pasqua dei giudei, ma di Gesù. É lui, d’ora innanzi, l’Agnello di Dio che libererà l’uomo dal suo peccato. Quella di Gesù è una pasqua che mira alla liberazione dell’uomo: un nuovo esodo che permette di passare dalle tenebre alla luce (8,12), e che porterà vita e festa nell’umanità (7,37).
Gesù è consapevole che sta per concludersi il suo cammino verso il Padre e, quindi sta per portare a termine il suo esodo personale e definitivo. Tale passaggio al Padre avviene mediante la croce, momento nodale in cui Gesù consegnerà la sua vita a vantaggio dell’uomo.
Colpisce l’attenzione del lettore nel constatare come l’evangelista Giovanni sappia ben presentare la figura di Gesù nel mentre è consapevole degli ultimi eventi della sua vita e, quindi, della sua missione. Come a ribadire che Gesù non è travolto dagli eventi che minacciano la sua esistenza, ma è pronto a dare la sua vita. In precedenza l’evangelista aveva notato che non era giunta la sua ora; ma ora nel racconto della lavanda dei piedi dice che è consapevole dell’approssimarsi della sua ora. Tale coscienza sta alla base dell’espressione giovannea: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (v.1). L’amore per i «suoi», coloro che formano la nuova comunità, è stato evidente mentre era con loro, ma splenderà in modo eminente nella sua morte. Tale amore viene mostrato da Gesù nel gesto della lavanda dei piedi che, nella sua valenza simbolica, mostra l’amore continuo che si esprime nel servizio.
 
 Lavanda dei piedi.
Gesù si trova in una cena ordinaria con i suoi. Ha piena coscienza della missione che il Padre gli ha affidato: da lui dipende la salvezza dell’umanità. Con tale consapevolezza vuole mostrare ai «suoi», mediante la lavanda dei piedi, come si porta a compimento l’opera salvifica del Padre e indicare in tale gesto la donazione della sua vita per la salvezza dell’uomo. É volontà di Gesù che l’uomo si salvi e uno struggente desiderio lo guida a dare la sua vita e a consegnarsi. É consapevole che «il Padre aveva posto tutto nelle sue mani» (v.3a), tale espressione lascia intravedere che il Padre lascia a Gesù la completa libertà di azione.
Gesù, inoltre, sa che la sua vera provenienza e la meta del suo itinerario è Dio; sa che la sua morte in croce, espressione massima del suo amore, è l’ultimo momento del suo cammino salvifico. La sua morte è un «esodo»; è l’apice della sua vittoria sulla morte, nel suo donarsi (dare la vita) Gesù ci rivela la presenza di Dio come vita piena ed esente dalla morte.
Con questa piena consapevolezza della sua identità e della sua completa libertà Gesù si accinge a compiere il grande e umile gesto della lavanda dei piedi. Tale gesto d’amore viene descritto con un accumulo di verbi (otto) che rendono la scena coinvolgente e pregna di significato. L’evangelista nel presentare l’ultima azione di Gesù verso i suoi, usa questa figura retorica dell’accumulo dei verbi senza ripetersi perché tale gesto rimanga impresso nel cuore e nella mente dei suoi discepoli e di ogni lettore e perché venga ritenuto un comandamento da non dimenticare. Il gesto compiuto da Gesù intende mostrare che il vero amore si traduce in azione tangibile di servizio. Gesù si spoglia delle sue vesti e si cinge di un grembiule, simbolo del servizio. Più precisamente Gesù che depone le sue vesti è un’espressione che ha la funzione di esprimere il significato del dono della vita. Quale insegnamento Gesù vuole trasmettere ai suoi discepoli con questo gesto? Mostra loro che l’amore si esprime nel servizio, nel dare la vita all’altro come lui ha fatto.
Al tempo di Gesù la lavanda dei piedi era un gesto che esprimeva ospitalità e accoglienza nei confronti degli ospiti. In via ordinaria era svolto da uno schiavo oppure dalla moglie nei confronti della moglie e anche dalle figlie verso il loro padre. Inoltre era consuetudine che tale rito della lavanda dei piedi avvenisse sempre prima di mettersi a mensa e non durante. Tale inciso dell’azione di Gesù intende sottolineare la singolarità del suo gesto.
E così Gesù si mette a lavare i piedi ai suoi discepoli. Il reiterato uso del grembiule con cui Gesù si è cinto sottolinea che l’atteggiamento del servizio è un attributo permanente della persona di Gesù. Difatti quando avrà terminato la lavanda Gesù non si toglie il panno che funge da grembiule. Tale particolare intende sottolineare che il servizio-amore non termina con la sua morte. La minuziosità di tali dettagli mostra l’intento dell’evangelista a voler sottolineare la singolarità e l’importanza del gesto di Gesù. Lavando i piedi dei suoi discepoli Gesù intende mostrare ad essi il suo amore, che è un tutt’uno con quello del Padre (10,30.38). É davvero sconvolgente questa immagine che Gesù ci rivela di Dio: non è un sovrano che risiede esclusivamente nel cielo, ma si presenta come servo dell’umanità per innalzarla a livello divino. Da questo servizio divino scaturisce per la comunità dei credenti quella libertà che nasce dall’amore e che rende tutti i suoi membri «signori» (liberi) perché servi. É come dire che solo la libertà crea vero amore. D’ora in poi il servizio che i credenti renderanno all’uomo avrà come scopo quello di instaurare rapporti tra gli uomini in cui l’uguaglianza e la libertà siano una conseguenza della pratica del servizio reciproco. Gesù con il suo gesto intende mostrare che qualsiasi dominio o tentativo di sopravvento sull’uomo è contrario all’atteggiamento di Dio che, invece, serve l’uomo per elevarlo a sé. Inoltre non ha più senso le pretese di superiorità di un uomo sull’altro, perché la comunità fondata da Gesù non ha caratteristiche piramidali, ma dimensioni orizzontali, in cui ciascuno è a servizio degli altri, sull’esempio di Dio e di Gesù.
In sintesi, il gesto che Gesù compie esprime i seguenti valori: l’amore versi i fratelli chiede di tradursi in accoglienza fraterna, ospitalità, cioè in servizio permanente.
 
 Resistenza di Pietro.
La reazione di Pietro al gesto di Gesù si esprime in atteggiamenti di stupore e protesta. Anche nel modo di rapportarsi a Gesù avviene un cambiamento: Pietro lo chiama «Signore» (13,6). Tale titolo riconosce a Gesù un livello di superiorità che stride con il «lavare» i piedi, un’azione che compete, invece, a un soggetto inferiore. La protesta è energicamente espressa dalle parole: «tu lavi i piedi a me?». Agli occhi di Pietro questo umiliante gesto della lavanda dei piedi è sembrato come un’inversione dei valori che regolano le relazioni tra Gesù e gli uomini: il primo è il Messia, Pietro è un suddito. Pietro disapprova l’uguaglianza che Gesù vuole creare tra gli uomini.
A tale incomprensione Gesù risponde invitando Pietro ad accogliere il senso del lavargli i piedi come una testimonianza del suo affetto verso di lui. Più precisamente gli vuole offrire una prova concreta di come lui e il Padre lo ama.
Ma la reazione Pietro non desiste: rifiuta categoricamente che Gesù si metta ai suoi piedi. Per Pietro ognuno deve ricoprire il suo ruolo, non è possibile una comunità o una società basata sull’uguaglianza. Non è accettabile che Gesù abbandoni la sua posizione di superiorità per rendersi uguale ai suoi discepoli. Tale idea del Maestro disorienta Pietro e lo porta a protestare. Non accettando il servizio d’amore del suo Maestro, non accetta, neanche che muoia in croce per lui (12,34;13,37). É, come dire, che Pietro è lontano dalla comprensione di cosa sia il vero amore, e tale ostacolo è di impedimento perché Gesù glielo mostri con l’azione.
Intanto se Pietro non è disposto a condividere la dinamica dell’amore che si manifesta nel servizio reciproco non può condividere l’amicizia con Gesù e rischia, davvero, di autoescludersi.
Inseguito all’ammonimento di Gesù «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (v.8), Pietro aderisce alle minacciose parole del Maestro, ma senza, però, accettare il significato profondo dell’azione di Gesù. Si mostra aperto disposto a farsi lavare da Gesù, non solo i piedi, ma, anche le mani e la testa. Sembra che a Pietro sia più facile accettare il gesto di Gesù come un’azione di purificazione o abluzione piuttosto che come servizio. Ma Gesù gli risponde che i discepoli sono diventati puri («puliti») nel momento in cui hanno accettato di lasciarsi guidare dalla Parola del Maestro, rifiutando quella del mondo. Pietro e i discepoli non hanno più bisogno del rito giudaico della purificazione ma di lasciarsi lavare i piedi da Gesù; ovvero di lasciarsi amare da lui, conferendo loro dignità e libertà.
 
 Il memoriale dell’amore.
Al termine della lavanda dei piedi Gesù intende dare alla sua azione una validità permanente per la sua comunità e nello stesso tempo lasciare ad essa un memoriale o comandamento che dovrà regolare per sempre le relazioni fraterne.
Gesù è il Signore, non nella dimensione del dominio, ma in quanto comunica l’amore del Padre (il suo Spirito) che ci rende figli di Dio e idonei a imitare Gesù che liberamente dona l’amore ai suoi. Tale atteggiamento interiore Gesù ha inteso comunicarlo ai suoi, un amore che non esclude nessuno, neppure Giuda che sta per tradirlo. Quindi se i discepoli lo chiamano signore, devono imitarlo; se lo considerano maestro devono ascoltarlo.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
- si alzò da tavola: come vivi l’eucaristia? In modo sedentario o ti lasci sollecitare all’azione dal fuoco dell’amore che ricevi? Corri il pericolo che l’eucaristia a cui partecipi si smarrisca nel narcisismo contemplativo, senza approdare all’impegno di solidarietà e condivisione? Il tuo impegno per la giustizia, per i poveri parte dalla consuetudine d’incontrare Cristo nell’eucaristia, dalla familiarità con lui?
- depose le vesti: quando dall’eucaristia passi alla vita sai deporre le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale per lasciarti guidare da un amore autentico verso gli altri? Oppure dopo l’eucaristia non sei capace di deporre le vesti del dominio e dell’arroganza per indossare quelle della semplicità, della povertà?
- si cinse un asciugatoio: è l’immagine della «chiesa del grembiule». Nella vita della tua famiglia, della tua comunità ecclesiale percorri la strada del servizio, della condivisione? Sei coinvolto direttamente nel servizio ai poveri e agli ultimi? Sai scorgere il volto di Cristo che chiede di essere servito, amato nei poveri?
 
 
7) Preghiera: Salmo 115
Il tuo calice, Signore, è dono di salvezza.
 
Che cosa renderò al Signore,
per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza
e invocherò il nome del Signore.
 
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.
Io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
 
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.
Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo.