Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - giovedì 3 dicembre 2020

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  • giovedì | 3 dicembre 2020

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Lectio giovedì 3 dicembre 2020
 
Giovedì della Prima Settimana di Avvento (Anno B)
San Francesco Saverio
 
Isaia 26,1 - 6
Matteo 7, 21. 24 - 27
 
 
1) Orazione iniziale
O Dio, che hai chiamato molti popoli dell’Oriente alla luce del Vangelo, con la predicazione apostolica di san Francesco Saverio, fa’ che ogni comunità cristiana arda dello stesso fervore missionario, perché su tutta la terra la santa Chiesa si allieti di nuovi figli.
 
Ripensiamo al ministero apostolico di san Francesco Saverio, per ammirare il dinamismo che lo animò sempre. San Francesco Saverio fu mandato nelle Indie, come dire, allora nel 1542 all'estremità del mondo, dove si arrivava con viaggi lunghissimi e pieni di pericoli. Subito si diede all'evangelizzazione, ma non in un solo posto, bensì in numerose città e villaggi, viaggiando continuamente, senza temere né intemperie né pericoli di ogni genere. E non si accontentò delle Indie, che pure erano un campo immenso di apostolato, che sarebbe bastato per parecchie vite d'uomo. Egli era spinto dall'urgenza di estendere il regno di Dio, di preparare dovunque la venuta del Signore e così, dopo appena due anni, giunge a Ceyfon e poi ancora più lontano, alle isole Molucche. Torna in India per confermare i risultati della sua evangelizzazione, per organizzare, per dare nuovo impulso all'opera dei suoi compagni, ma non vi rimane a lungo. Vuoi andare ancora più lontano, in Giappone, perché gli hanno detto che è un regno molto importante, ed egli spera che la conversione del Giappone possa influire su tutto l'Estremo Oriente. E in Giappone riprende i suoi viaggi estenuanti, estate e inverno, sotto la neve, con fatiche estreme. Torna dal Giappone, ma il suo desiderio lo spinge verso la Cina. Ed è proprio mentre tenta di penetrare in questo immenso impero che muore nell'isola di Sanchian nel 1552. 
In una decina di anni ha percorso migliaia e migliaia di chilometri, malgrado le difficoltà del tempo, si è rivolto a numerosi popoli, in tutte le lingue, con mezzi di fortuna. Tutto questo rivela un dinamismo straordinario, che egli attingeva nella preghiera e nella unione con il Signore, nella unione al mistero di Dio che vuole comunicarsi. 
Anche Gesù, per venire in mezzo a noi, ha superato una distanza infinita: ha lasciato il Padre, come dice il Vangelo giovanneo, per venire nel mondo. E nel suo breve ministero di tre anni ha continuato questo viaggio: si spostava continuamente, non aspettava che la gente andasse da lui, ma percorreva città e villaggi per annunciare la buona novella del regno. 
E ora? Ora, se si vuole che Gesù venga, bisogna agire nello stesso modo: non aspettare che gli altri vengano da noi, ma andare noi da loro. 
San Francesco Saverio ha dovuto fare viaggi enormi, è continuamente andato verso gli altri, sospinto dall'urgenza di preparare dovunque la venuta del Signore, e in questo modo ha preparato la venuta del Signore in se stesso. Dopo essersi estenuato, dopo aver speso tutte sue forze, la sua intelligenza, il suo cuore, egli riceveva il Signore a tal punto che lo supplicava di limitare un po' le grazie di cui lo inondava. 
suo viso era radioso, il suo cuore fremeva, si dilatava: egli aveva seguito in pieno l'ispirazione che il Signore gli aveva dato e per questo il mistero di Cristo si rinnovava nel suo intimo. Andare agli altri, senza aspettare che siano essi a venire: ecco la missione della Chiesa, la missione di ogni cristiano, ognuno nella sua situazione concreta. Se vogliamo che il Signore venga a noi, noi dobbiamo preparare la sua venuta negli altri, dobbiamo andare da loro, corrispondendo al dinamismo della misericordia divina. 
È questa la rivelazione del Nuovo Testamento, che completa quella dell'Antico: la rivelazione di una misericordia che si diffonde, sempre più lontano. 
Accogliamo la rivelazione di questo dinamismo dell'amore che viene da Dio: se vogliamo ricevere Cristo in noi dobbiamo essere pronti a portarlo agli altri, seguendo questo movimento che ci porta sempre fuori di noi stessi, verso gli altri con grande amore. 
E questo l'insegnamento che ci viene dalla vita di san Francesco Saverio, in modo impressionante. Per ricevere l'amore di Dio bisogna trasmetterlo, per riceverlo di più bisogna averlo dato agli altri molto fedelmente, molto generosamente. Domandiamo al Signore la grazia di corrispondere davvero al desiderio del suo cuore.
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2) Lettura: Isaia 26, 1 - 6
In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele.
La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace, pace perché in te confida. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo.
I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri».
 
3) Commento su  Isaia 26, 1 - 6
? Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. (Is 26,1) - Come vivere questa Parola?
Il passo si snoda sul confronto tra due città: la città eccelsa elevata dagli uomini che creano intorno a sé oppressione e povertà, e la città forte recintata da Dio stesso con mura e bastioni, le cui porte si aprono ad accogliere "la nazione giusta che si mantiene fedele". 
Due città allegoriche rintracciabili in tutti i tempi e in tutti i contesti sociali. Due città che normalmente convivono negli stessi spazi geografici, definite unicamente dalla condotta dei rispettivi cittadini.
Possiamo allora identificarle anche oggi, là dove ci troviamo a vivere, anzi nel nostro stesso cuore dove possono contendersi gli spazi creando disagio interiore o spingendo a un inutile compromesso. La prima è destinata ad essere "rovesciata a terra", "rasa al suolo", "calpestata" dai piedi di coloro che aveva oppresso e ridotto in povertà. La seconda, fondata sulla roccia, come suggerisce anche il vangelo, non solo è in grado di resistere alle varie vicissitudini della vita e agli attacchi di chi vorrebbe demolirla, ma si accorge con gioioso stupore che Dio stesso, a cui ha aderito scegliendolo quale suo fondamento, è sua salvezza. È lui a circondarla di mura e baluardi che la rendono inattaccabile.
Un messaggio di speranza, oggi quanto mai desiderato e atteso. Un messaggio, però, che non invita all'inerzia, bensì all'operosità di un impegno serio perché, rimossa ogni forma di ingiustizia, discriminazione, violenza, si accolga fedelmente la parola che indica la via della vita: quella della carità che vede nell'altro non una persona da asservire, ma un fratello da servire.
Su questo messaggio di speranza voglio indugiare nella riflessione di quest'oggi per impostarvi il nostro cammino di avvento.
Ci hai reso, Signore, una città imbattibile, circondandoci non di mura materiali ma col fuoco del tuo amore. Sta a noi non varcarne la soglia per fare facili connubi col non-amore che subdolamente ci istiga al compromesso. Sostienici con la tua grazia: sii tu la nostra fedeltà!
Ecco la voce di un testimone Oscar Romero: Fratelli, quando predichiamo la Parola del Signore, non solo denunciamo le ingiustizie dell'ordine sociale. Denunciamo ogni peccato che è notte, che è ombra: ubriacature, abbuffate, lussurie, adulteri, aborti. Tutto ciò, che è il regno dell'iniquità e del peccato, scompaia dalla nostra società.
 
? «Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l'ha rovesciata fino a terra, l'ha rasa al suolo. I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri» (Is 26, 4-6) - Come vivere questa Parola?
Ci accompagna oggi un'altra visione: una città bella e molto grande viene rasa al suolo e i piedi di chi è disprezzato perché povero, la calpestano. Questo è un anticipo di quanto cantato da Maria di Nazareth nel Magnificat, che vedeva i ricchi a mani vuote e abbassato chi voleva innalzarsi. Questo è un tema ricorrente nel rivelarsi di Dio che vede la giustizia come il trionfo dell'oppresso. Quasi che solo così calpestato, il peccato, il disordine introdotto dalla disobbedienza nella creazione, possa essere sanato. Se pensiamo al nostro tempo, è costatazione immediata riscontrare che i poveri e gli oppressi aumentano esponenzialmente e altrettanto in modo esponenziale crescono le città eccelse, esclusive e superbe. Ogni latitudine del modo conosce questi drammi, che sembrano non avere epilogo: violenza domestica, abuso e prostituzione, mutilazioni, dipendenze, odio razziale, necessità di migrare per la siccità, la guerra, la povertà, le religioni tradizionali. Nuove forme di schiavitù sostituiscono le più antiche, purtroppo con lo stesso risultato che è l'oppressione della persona nei suoi sentimenti, pensieri, possibilità e competenze.
Signore, perdona la città eccelsa, ma permetti che venga distrutta. Per costruire la città forte che in te si mantiene fedele.
Ecco la voce di don Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.”
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4) Lettura: dal Vangelo di Matteo 7, 21. 24 - 27
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
 
5) Riflessione  sul Vangelo di  Matteo  7, 21. 24 - 27
Poiché ci ama, il Salvatore ci mette in guardia contro l’illusione; per entrare nel regno dei cieli non basta dire: “Signore, Signore”. Non si tratta qui di una condanna della preghiera. Noi dobbiamo dire: “Signore, Signore”, essendo però consapevoli che non basta sussurrarlo a bassa voce, mentre ogni nostra decisione testimonia che Gesù non è per noi il Signore. La preghiera, separata da un amore obbediente, è un’illusione, se non una menzogna. 
Gesù sarà davvero il nostro Signore solo se il nostro cuore si fa simile al suo, reso appassionato dall’amore per il Padre, capace di dire, senza esitazione alcuna, che suo nutrimento è fare la volontà del Padre... fare sempre ciò che gli è gradito. 
Sarebbe rischioso affidare la nostra volontà ad un altro, se l’“altro” non fosse Dio, il Dio di dolcezza e misericordia. Volere ciò che Egli vuole significa scegliere la felicità. Volere altro significa accettare il rischio di una costruzione fragile ed effimera: si tratterà di una soluzione illusoria, essa potrà resistere per un po’, ma crollerà agli assalti delle varie prove cui sarà sottoposta. 
Proprio del buon cristiano è l’ascoltare Gesù, parola d’amore del Padre. E noi dobbiamo allora lasciare che questa parola ci trasformi, che ci renda conformi all’amorosa volontà del Padre, ascoltarla e farla vivere in noi!
 
Non solo a parole, ma con i fatti.
Il tema di ieri era centrato sulla prontezza dei discepoli come risposta all'invito di Gesù. Oggi l'evangelista Matteo mette accento sul credere, su chi fa la professione di fede ed è fiducioso di fare la volontà di Dio. L'essere discepolo di Cristo non si attua solo nel professare il suo nome, ma nel fare la volontà del Padre. Il formalismo non aiuta nel cammino, ci vuole la concretezza nella vita, il mettere in pratica ciò che ci chiede. La fede è anzitutto una questione del cuore e non delle labbra, non è il problema della mente, ma dell'intimità dell'anima. È facile cadere in un formalismo, di dirsi cioè discepolo di Cristo senza esserlo con la propria vita, una dissociazione tra parole e vita, tra bocca e cuore. A parole è facile essere discepoli del Signore, ma con il cuore quello che le labbra dicono viene smentito, bastano alcune situazioni difficili e si dimentica di essere ancora discepoli. Ma un discepolo è chiamato a fondare saldamente la sua casa, il suo cuore su Cristo, affidarsi a lui e mettere in pratica le sue parole perché è facendo così che si entra nel regno dei cieli, si compie la volontà del Padre. Per costruire la propria casa sulla roccia, l'ideale sarebbe quello di confidare in Dio evitando la superbia perché discepolo non è colui che è superbo, che sa che tutto, ma colui che a Dio si affida e in Lui confida. Chi non si affida costruisce la sua casa sulla sabbia, che non può resistere alle tentazioni e alle prove, crolla rovinosamente. Egli, il Signore si lascia trovare, ma va anche invocato nel momento in cui è vicino, mentre lo attendiamo.
 
? Si tratta di acquisire la vera saggezza. Una fonte di saggezza è la Parola di Dio espressa nella legge di Dio. La vera saggezza consiste nell’udire e praticare la Parola di Dio (Lc 11,28). Non basta dire “Signore, Signore!” L’importante non è dire belle parole su Dio, bensì fare la volontà del Padre e quindi essere una rivelazione del suo amore e della sua presenza nel mondo.
 
? Chi ascolta e pratica la parola costruisce la casa sulla roccia. La solidità della casa non viene dalla casa in sé, ma bensì dal terreno, dalla roccia. Cosa significa la roccia? È l’esperienza dell’amore di Dio rivelatosi in Gesù (Rom 8,31-39). Ci sono persone che praticano la parola per poter meritare l’amore di Dio. Ma l’amore non si compra, né si merita (Cnt 8,7). L’amore di Dio si riceve gratuitamente. Mettiamo in pratica la Parola non per meritare l’amore, ma per dire grazie per l’amore ricevuto. Ecco la buona terra, la roccia, che dà sicurezza alla casa. La vera sicurezza viene dalla certezza dell’amore di Dio! È la roccia che ci sostiene nei momenti di difficoltà e di tempesta.
 
? L’evangelista termina il Discorso della Montagna (Mt 7,27-28) dicendo che la moltitudine rimase ammirata dall’insegnamento di Gesù, poiché "lui insegnava con autorità, e non come gli scribi". Il risultato dell’insegnamento di Gesù è la consapevolezza critica della gente nei riguardi delle autorità religiose dell’epoca. Ammirata e grata, la gente approvava gli insegnamenti belli e diversi di Gesù.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione
• Sono tra coloro che dicono “Signore, Signore”, o tra coloro che praticano la parola?
• Osservo la legge per meritare l’amore e la salvezza o per ringraziare Dio per il suo amore e la sua salvezza?
 
 
7) Preghiera: Salmo 117
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
 
Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nell’uomo.
È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti.
 
Apritemi le porte della giustizia:
vi entrerò per ringraziare il Signore.
È questa la porta del Signore:
per essa entrano i giusti.
Ti rendo grazie, perché mi hai risposto,
perché sei stato la mia salvezza.
 
Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.