Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - domenica 22 novembre 2020

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  • domenica | 22 novembre 2020

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Lectio domenica 22 novembre 2020
 
 
Domenica della Trentaquattresima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
Cristo Re
Santa Cecilia
 
1 Lettera ai Corinzi 15, 20 - 26. 28
Matteo 25, 31 - 46
 
 
1) Orazione iniziale 
O Padre, che hai posto il tuo Figlio come unico Re e pastore di tutti gli uomini, per costruire nelle tormentate vicende della storia il tuo regno d’amore, alimenta in noi la certezza di fede, che un giorno, annientato anche l’ultimo nemico, la morte, egli ti consegnerà l’opera della sua redenzione, 
perché tu sia tutto in tutti.
 
Ascolta, Signore, la nostra preghiera e per intercessione di santa Cecilia, vergine e martire, rendici degni di cantare le tue lodi.
 
Cecilia è una delle sette donna martiri di cui si fa menzione nel Canone Romano. Ad essa è dedicata una basilica in Trastevere a Roma (sec. IV). Il suo culto si diffuse dovunque prendendo l’avvio da una «Passione» nella quale viene esaltata come modello di vergine cristiana. Più tardiva è l’interpretazione del suo ruolo di ispiratrice e patrona della musica e del canto sacro. La sua memoria il 22 novembre è già celebrata nell’anno 546, come attesta il «Liber pontificalis» (sec. VI).
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2) Lettura: 1 Lettera ai Corinzi 15, 20 - 26. 28
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. 
E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
 
3) Commento su 1 Lettera ai Corinzi  15, 20 - 26. 28
- Le parole di Paolo che a prima vista parrebbero esaltare solamente la potenza miracolosa di sconfiggere la morte, in realtà esaltano l'Amore più grande possibile che è quello di desiderare la Vita per tutti: “…in Cristo tutti riceveranno la vita” (1a Corinzi 15,22).
Ecco non noi possiamo offrire doni al CRISTO RE ma Lui ci fa dono del bene più grande LA VITA, una vita ancora migliore di questa che pure Dio per mezzo dei nostri genitori ci ha donato, ma una vita piena senza dolore né paura
 
- Paolo ci presenta un'immagine del Signore che sembra remota, lontana: Cristo regna finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. Quando tutto sarà sottomesso, anche egli, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso tutti, perché Dio sia tutto in tutti. Cominciamo allora con il ricordarci che ogni volta che parliamo di re e di regno, indichiamo l'azione decisiva di Dio nella storia, quello che solo Dio può fare. Confessiamo questa verità nel Padre Nostro, quando ogni giorno chiediamo: venga il tuo regno. Non il mio regno, ma il tuo regno. Se la venuta del regno è oggetto di preghiera, vuol dire che è qualcosa che non compio io, ma che realizza Dio. Io lo posso solo attendere e con la preghiera affrettarne la venuta.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 25, 31 - 46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 25, 31 - 46
- Oggi celebriamo la solennità di Cristo Re dell’universo e la liturgia ci propone il brano di Matteo sul giudizio finale. Conosciamo bene questo testo e le opere sulle quali Gesù dice che saremo giudicati e non mi soffermo su questo: vorrei proporre un’altra riflessione, perché per alcuni esso riassume quasi tutto il Vangelo; per costoro non è solo questione di una scelta dettata dalla moda o ideologica, bensì di una tendenza comune a noi uomini di cercare di sintetizzare, di semplificare, di trovare delle risposte semplici a domande difficili; ecco allora che certuni trovano in questo brano la risposta immediata e chiara alle loro domande e perdono di vista il Vangelo nella sua interezza. Se ci fermassimo a questo passo del Vangelo con questo spirito, il solo criterio di giudizio, e di conseguenza di salvezza o di condanna, sarebbe la nostra risposta ai bisogni più concreti del nostro prossimo. Poco conterebbe allora credere o no, poco importerebbe la nostra appartenenza o meno a una comunità istituzionale, poco importerebbero le intenzioni e la coscienza: conterebbe solo agire ed essere dalla parte dei poveri e dei marginali.
Eppure, questa pagina del Vangelo di san Matteo è inscindibile dal resto del suo Vangelo e del Vangelo intero. In Matteo troviamo molti “discorsi” che si riferiscono al giudizio finale. Colui che non si limita a fare la volontà di Dio attraverso le parole non sarà condannato (Mt 7,21-27). Colui che non perdona non sarà perdonato (Mt 6,12-15; 1-35). Il Signore riconoscerà davanti a suo Padre nei cieli colui che si è dichiarato per lui davanti agli uomini (Mt 10,31-33). La via della salvezza è la porta stretta (Mt 7,13). Per seguire Cristo bisogna portare la propria croce e rinnegare se stessi. Colui che vuole salvare la propria vita la perderà (Mt 16,24-26). San Marco ci dice anche: Colui che crederà e sarà battezzato, sarà salvato. Colui che non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). Queste parole ci avvertono di non escludere dal resoconto finale la nostra risposta ai doni soprannaturali e alla rivelazione. Guarire le piaghe del mondo, eliminare le miserie e le ingiustizie, tutto questo fa parte integrante della nostra vita cristiana, ma noi non rendiamo un servizio all’umanità che nella misura in cui, seguendo il Cristo, liberiamo noi stessi e liberiamo gli altri dalla schiavitù del peccato. Allora solamente il suo regno comincerà a diventare realtà.

- Si siederà... e separerà...
Oggi, alla conclusione dell'anno Liturgico celebriamo la Festa di Cristo Re, in tutto - come ci dice San Paolo - tutto l'universo è ricapitolato, e tutto sussiste in Lui e tramite Lui. I Vangeli ci presentano molti brani sulla regalità di Cristo; potremmo scrivere tantissimo su ciò. Il vangelo che la Liturgia oggi ci propone, però ci pone su una prospettiva ben precisa. Gesù parla del giudizio finale, quando egli ritornerà con tutta la gloria che gli compete. Qui, in questo contesto che ci è posta la questione della regalità di Cristo; sappiamo che il suo regno non è di questo mondo ma vogliamo vedere cosa significa questo per la nostra vita. Gesù invita a riconoscerlo nel volto del nostro prossimo. Gesù ci dice chiaramente che in Lui ci vuol partecipare la sua regalità. Il Figlio per natura ci partecipa, con l'adozione di figli, alla sua vita nella gloria di Dio. Noi, con il battesimo diventiamo in Cristo: re, sacerdoti e profeti. In Cristo, diventiamo tutti re perché rechiamo, nel nostro essere creature l'immagine di Dio stesso. La Festa di Cristo Re è l'invito a ricercare in tutti la stessa origine e la stessa dignità di persone; l'attenzione ai piccoli, ai poveri, ai malati e chi è oppresso significa allora riscoprire concretamente la regalità di Cristo nel nostro battesimo. Riconoscere Cristo come il vero ed unico re della nostra vita significa riconoscerlo nei nostri fratelli. Affidarsi a Cristo significa, concretamente richiamarlo nella nostra vita nell'amore che doniamo. La gioia a partecipare allo stesso banchetto regale ci invita ad aprire i nostri cuori verso chi è meno fortunato di noi. La manifestazione regale di Cristo nella Passione vuol rendere più attenta la nostra attenzione verso i dolori e le sofferenze del nostro prossimo. Chiedere a Cristo di essere Lui l'unico nostro Signore che ci guida è un appello alla nostra coscienza che non sia sorda ai bisogni altrui. Pregare Cristo per noi è scoprire nella vera fratellanza, la possibilità concreta di rendere la nostra vita piena. Chiedere perdono a Dio per i nostri peccati significa saper donare il nostro perdono prontamente.
 
- Il peccato più grande? Smarrire lo sguardo di Dio.
Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere... Dal Vangelo emerge un fatto straordinario: lo sguardo di Gesù si posa sempre, in primo luogo, sul bisogno dell'uomo, sulla sua povertà e fragilità. E dopo la povertà, il suo sguardo va alla ricerca del bene che circola nelle vite: mi hai dato pane, acqua, un sorso di vita, e non già, come ci saremmo aspettati, alla ricerca dei peccati e degli errori dell'uomo. Ed elenca sei opere buone che rispondono alla domanda su cui si regge tutta la Bibbia: che cosa hai fatto di tuo fratello?
Quelli che Gesù evidenzia non sono grandi gesti, ma gesti potenti, perché fanno vivere, perché nascono da chi ha lo stesso sguardo di Dio.
Grandioso capovolgimento di prospettive: Dio non guarda il peccato commesso, ma il bene fatto. Sulle bilance di Dio il bene pesa di più. Bellezza della fede: la luce è più forte del buio; una spiga di grano vale più della zizzania del cuore.
Ed ecco il giudizio: che cosa rimane quando non rimane più niente? Rimane l'amore, dato e ricevuto. In questa scena potente e drammatica, che poi è lo svelamento della verità ultima del vivere, Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare fino a identificarsi con loro: quello che avete fatto a uno dei miei fratelli, l'avete fatto a me!
Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d'amore per l'uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi offrono aiuto sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere.
Gli uomini e le donne sono la carne di Cristo. Finché ce ne sarà uno solo ancora sofferente, lui sarà sofferente.
Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati. Che male hanno commesso? Il loro peccato è non aver fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra, indifferenti.
Non basta essere buoni solo interiormente e dire: io non faccio nulla di male. Perché si uccide anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, per chi ha fame o patisce ingiustizia, stare a guardare, è già farsi complici del male, della corruzione, del peccato sociale, delle mafie.
Il contrario esatto dell'amore non è allora l'odio, ma l'indifferenza, che riduce al nulla il fratello: non lo vedi, non esiste, per te è un morto che cammina.
Questo atteggiamento papa Francesco l'ha definito «globalizzazione dell'indifferenza». Il male più grande è aver smarrito lo sguardo, l'attenzione, il cuore di Dio fra noi.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale è il criterio della separazione che compie Gesù? 
b) Chi sono i fratelli più piccoli con cui Gesù si identifica? 
c) Nella sua vita, come ha dimostrato Gesù la sua predilezione per gli ultimi? 
d) Chi sono i fratelli più piccoli di Gesù che incontro io? 
e) Sono capace di vedere, amare e servire Gesù in loro?
 
 
7) Preghiera: Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
 
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare. 
Ad acque tranquille mi conduce.
 
Rinfranca l’anima mia,
mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome. 
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
 
 
8) Orazione Finale
O Padre, che hai inaugurato il tuo Regno di amore con la risurrezione di Cristo, rendici operai appassionati e sinceri, affinché la regalità del tuo Figlio venga riconosciuta in ogni angolo della terra.