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- domenica | 27 settembre 2020
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Lectio domenica 27 settembre 2020
Domenica della Ventiseiesima Settimana del tempo Ordinario (Anno A)
San Vincenzo de’ Paoli
Lettera ai Filippesi 2, 1 - 11
Matteo 21, 28 - 32
1) Orazione iniziale
O Dio, che per il servizio dei poveri e la formazione dei tuoi ministri hai donato al tuo sacerdote san Vincenzo de’ Paoli lo spirito degli Apostoli, fa’ che, animati dallo stesso fervore, amiamo ciò che egli ha amato e mettiamo in pratica i suoi insegnamenti.
Vincenzo (Pony presso Dax, Francia, 1581 – Parigi, Francia, 27 settembre 1660), sacerdote, parroco si dedicò dapprima all’evangelizzazione delle popolazioni rurali, fu cappellano delle galere e apostolo della carità in mezzo ai poveri, i malati e i sofferenti. Alla sua scuola si formarono sacerdoti, religiosi e laici che furono gli animatori della Chiesa di Francia, e la sua voce si rese interprete dei diritti degli umili presso i potenti. Promosse una forma semplice e popolare di evangelizzazione. Fondò i Preti della Missione (Lazzaristi – 1625) e insieme a santa Luisa de Marillac, le Figlie della Carità (1633).
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2) Lettura: Lettera ai Filippesi 2, 1 - 11
Fratelli, se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
3) Commento su Lettera ai Filippesi 2, 1 - 11
* Nella lettera ai Filippesi (2,1-11) Paolo si fa icona di Cristo in croce, modello di umiltà e obbedienza perfetta al Padre. Da molti studiosi questi vv. sono considerati un inno pasquale cantato dalla comunità di Filippi, alla quale Paolo indica Gesù Cristo come " servo sofferente", al quale conformarsi. Accettando di " abbassarsi " alla nostra condizione Gesù Cristo viene esaltato e conduce noi alla gloria. Uniti a Cristo, " servo sofferente", noi membri della chiesa dobbiamo preoccuparci di custodire l'unità con la nostra testimonianza di vita. È questa la ragione per la quale oggi dovremmo preoccuparci di presentare al mondo il volto di una chiesa aperta e allo stesso tempo profondamente unita. Ciò è possibile se riusciamo a dimostrare di avere " gli stessi sentimenti di Gesù Cristo " che pur essendo Dio si è comportato come il più umano degli uomini.
* L'apostolo Paolo esorta i Filippesi a vivere le relazioni quotidiane con carità, disponibilità e amore verso tutti i fratelli per poter realizzare una vera comunione. Esalta l'esempio di Cristo che, pur essendo Dio, ha assunto con umiltà la natura umana facendosi servo di ogni uomo sino alla morte di "croce". Gesù, che dice di sì al progetto del Padre e fa esperienza della fatica che questo comporta nel quotidiano per mettesi al servizio dell'uomo, è il modello del nostro cristianesimo, il modello del sì autentico, senza riserve, che noi dobbiamo dire a Dio nel quotidiano. Il sacrificio di Cristo richiede umiltà, ascolto, obbedienza. La salvezza attuata dal Figlio trasforma le nostre vite, solo se facciamo nostri "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,5), che per liberarci dal peccato non ha esitato ad abbassarsi (incarnarsi) nella nostra storia. Il Figlio obbediente accetta fino alla morte la volontà del Padre.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 21, 28 - 32
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 21, 28 - 32
* Abbiamo ascoltato nel vangelo una parabola di Gesù; per capirla è necessario considerare il contesto. Si tratta del capitolo 21 di Matteo, in cui si narra dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme e della cacciata dei mercanti dal tempio che gli procura l’attacco dei capi del popolo: “Con che autorità fai questo?”; Gesù non risponde e chiede a sua volta se il Battista fosse venuto da Dio o dagli uomini. Il contesto dunque è di scontro tra Gesù e i capi dei sacerdoti. La parabola che abbiamo ascoltato è molto semplice; Gesù provoca le autorità a comprenderla dicendo: “Che ve ne pare?” e poi accusa i capi di non aver accolto la predicazione di Giovanni il Battista, mentre i pubblicani e le prostitute lo hanno ascoltato.
La parabola però è rivolta anche a noi, parla a noi oggi. Noi credenti e praticanti abbiamo detto “sì” al Signore e lavoriamo nella sua vigna; anche in noi però ci può essere il “sì” a parole ed il “no” nei fatti: magari siamo fedeli alla preghiera ma con gli altri abbiamo poca pazienza; oppure predichiamo la carità ma siamo attaccati ai soldi… Sono solo due esempi per dire che anche in noi talvolta c’è il “no” al Signore e dobbiamo chiederci quanto siamo fedeli nei vari ambiti della vita. Dio, rendiamo grazie, è sempre pronto ad accoglierci quando decidiamo di cambiare vita e questo ci dà speranza; sì, Egli è disponibile con i peccatori che si convertono anche dopo una vita disordinata. Per tutti c’è la misericordia di Dio, ma non possiamo soffocare le esigenze del Vangelo che sentiamo risuonare nella coscienza. Così, quando dobbiamo fare delle scelte importanti, è necessario pregarci un po’ e riflettere in modo da dare la disponibilità al Signore ed essere fedeli ad essa. Qualcuno ha immaginato anche un altro figlio, il terzo, che potrebbe avere questo comportamento: si mette a discutere col padre sul modo di lavorare nella vigna, e per ore e giorni discute e non dà mai la risposta se vuole o no lavorare; un quarto figlio, infine, potrebbe essere uno che lavora dal mattino alla sera nella vigna e dà la sua disponibilità a ogni desiderio del padre. È chiaro che questo è un figlio particolare, come un mulo, obbediente in tutto e questo figlio è Gesù, che si è abbassato facendosi uomo e morendo sulla croce: Egli ha detto un sì senza riserve ed è grazie a Lui che il mondo va avanti e grazie a quelli che lo imitano. Vogliamo essere tra questi?
* Sincerità e coerenza dinanzi a Dio.
Talvolta possiamo riuscire a fingere nei confronti del nostro prossimo fino a indurlo a formulare giudizi erronei su di noi. Possiamo dire e non fare come facevano alcuni contemporanei di Gesù, gli scribi e i farisei. Egli mette in guardia i suoi discepoli da quei falsi maestri: «Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito». Il nostro giudizio infatti inevitabilmente si ferma alle apparenze e in base a quelle valuta i comportamenti umani. Nei confronti del nostro Dio, che scruta i cuori ciò non è possibile. Non basta darGli una affermazione verbale: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Quindi il nostro assenso deve essere pieno ed incondizionato, fatto di concreta operosità e non soltanto di parole insincere. Il Signore vuole uno stretto legame tra religione e vita. Dovremmo perciò interrogarci se i nostri gesti quotidiani e settimanali di culto, in primo luogo la stessa eucaristia, culmine della nostra adesione a Cristo, condiziona positivamente la nostra vita. L'accusa di essere «cristiani della domenica» talvolta coglie nel segno, se l'ascolto della parola e il pane di vita non ci inducono ad una assidua e costante conversione. Ciò suona a rimprovero e a motivo di riflessione per coloro che affermano, magari con una punta di orgoglio, di credere alle verità della nostra fede cristiana cattolica, ma poi nulla fanno per mettere in pratica quanto la stessa fede ci suggerisce per la vita di ogni giorno. Non ci è consentito ridurre alla stregua di una semplice filosofia la nostra religione. Gesù nel proporla non solo ha proclamato solennemente le verità antiche e nuove, ma Egli per primo ne è stato il primo testimone e ai suoi discepoli ha chiesto di seguirlo e di imitarlo. Arriva a dire a coloro che l'avvisano che sua madre e i suoi fratelli lo stanno cercando: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Mettere in pratica è il programma inderogabile del cristiano!
* L'importanza di avere un cuore unificato.
Nei due figli, che dicono e subito si contraddicono, vedo rappresentato il nostro cuore diviso, le contraddizioni di cui Paolo si lamenta: non mi capisco, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7,15.19), che Goethe riconosce: 'ho in me, ah, due anime'.
A partire da qui, la parabola suggerisce la sua strada per la vita buona: il viaggio verso il cuore unificato. Invocato dal Salmo 86,11: Signore, tieni unito il mio cuore; indicato dalla Sapienza 1,1 come primo passo sulla via della saggezza: cercate il Signore con cuore semplice, un cuore non doppio, che non ha secondi fini. Dono da chiedere sempre: Signore, unifica il mio cuore; che io non abbia in me due cuori, in lotta tra loro, due desideri in guerra.
Se agisci così, assicura Ezechiele nella prima lettura, fai vivere te stesso, sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Con ogni cura vigila il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita (Prov 4 ,23). Il primo figlio si pentì e andò a lavorare. Di che cosa si pente? Di aver detto di no al padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l'obbedienza. Non è più la vigna di suo padre, è la nostra vigna. Il padre non è più il padrone cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore che lo chiama a collaborare per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. Adesso il suo cuore è unificato: per imposizione nessuno potrà mai lavorare bene o amare bene.
Al centro, la domanda di Gesù: chi ha compiuto la volontà del padre?
In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, alleati con lui per la maturazione del mondo, per la fecondità della terra.
La morale evangelica non è quella dell'obbedienza, ma quella della fecondità, dei frutti buoni, dei grappoli gonfi: volontà del Padre è che voi portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga...
A conclusione: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti. Dura frase, rivolta a noi, che a parole diciamo 'sì', che ci vantiamo credenti, ma siamo sterili di opere buone, cristiani di facciata e non di sostanza. Ma anche consolante, perché in Dio non c'è condanna, ma la promessa di una vita buona, per gli uni e per gli altri.
Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo, nelle prostitute e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire sì. Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch'io cominciare la mia conversione verso un Dio che non è dovere, ma amore e libertà. Con lui coltiveremo grappoli di miele e di sole per la vita del mondo.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Quale punto di questa storia dei due figli ha richiamato di più l’attenzione? E perché?
b) Chi sono gli uditori ai quali Gesù si rivolge? Quale è il motivo che lo ha portato a proporre questa parabola?
c) Qual’ è il punto centrale che Gesù sottolinea nell’atteggiamento dei due figli?
d) Quale tipo di obbedienza Gesù raccomanda attraverso questa parabola?
e) In che cosa consiste esattamente la precedenza delle prostitute e dei pubblicani rispetto ai sacerdoti e agli anziani?
f) E io, dove mi colloco: tra le prostitute e i peccatori o tra i sacerdoti e gli anziani?
7) Preghiera: Salmo 24
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
io spero in te tutto il giorno.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
8) Orazione Finale
O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù.