Per la preghiera personale e familiare: Lectio divina sulla Liturgia della Parola del giorno - domenica 13 settembre 2020

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  • domenica | 13 settembre 2020

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Lectio domenica 13 settembre 2020
 
Domenica della Ventiquattresima Settimana del Tempo Ordinario (Anno A)
San Giovanni Crisostomo
 
Lettera ai Romani 14, 7 - 9
Matteo 18, 21 - 35
 
 
1) Orazione iniziale 
O Dio, sostegno e forza di chi spera in te, che ci hai dato in san Giovanni Crisostomo un vescovo mirabile per l’eloquenza e per l’invitta costanza nelle persecuzioni, fa’ che il popolo cristiano, illuminato dalla sua dottrina, sappia imitare la sua fortezza evangelica.
 
Il Crisostomo (Antiochia c. 349 - Comana sul Mar Nero 14 settembre 407) fu annunziatore fedele della parola di Dio, come presbitero ad Antiochia (386-397) e come vescovo a Costantinopoli (397-404). Qui si dedicò all’evangelizzazione e alla catechesi, all’opera liturgica, caritativa e missionaria. L’anafora eucaristica da lui rielaborata in forma definitiva sull’antico schema antiocheno è ancor oggi la più diffusa in tutto l’Oriente. La sua predicazione nel campo morale e sociale gli procurò dure opposizioni e infine l’esilio (404-407), dove morì. Nella sua opera di maestro e dottore ha rilievo il commento alle Scritture, specialmente alle lettere paoline, e il suo contributo alla dottrina eucaristica.
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2) Lettura: Lettera ai Romani 14, 7 - 9
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. 
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. 
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
 
3) Commento su Lettera ai Romani 14, 7 - 9
• Terminiamo la nostra lettura della lettera ai Romani con un brano tratto dal secondo blocco delle esortazioni di fine lettera. Questo blocco si dedica ai rapporti all'interno della comunità. In particolare Paolo si dedica alla contrapposizione tra deboli e forti. Probabilmente si trattava di un elemento caratteristico della comunità di Roma, la sua divisione in due gruppi che si attestavano su posizioni diverse. Da una parte i deboli, strettamente osservanti, ligi ai digiuni e alle festività. Dall'altra i forti, che ormai avevano compreso la libertà data dalla croce di Cristo e si permettevano di mangiare qualsiasi cosa e di considerare i giorni tutti uguali. A entrambi i gruppi Paolo raccomanda di rimanere fermi nelle proprie convinzioni, cercando però di essere accoglienti e comprensivi gli uni nei confronti degli altri. I credenti infatti sono di Gesù Cristo, sia nella vita sia nella morte.
 
Fratelli, 7nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, 8perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore 
Nell'argomentazione di Paolo riguardo la mutua accoglienza vi è un allargamento di orizzonte. I credenti appartengono al Signore Gesù sempre e totalmente, sia nel vivere che nel morire. Non appartengono a se stessi, ma a Lui.
 
9Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi. 
Questa appartenenza è in forza della sua morte e risurrezione che lo ha costituito Signore dei morti e dei vivi. Ecco il vero centro d'unità, all'interno del quale sono ammissibili diversi modi di operare. Ciò che conta è verificare nella propria vita tale appartenenza totalizzante.
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4) Lettura: dal Vangelo secondo Matteo 18, 21 - 35
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
 
5) Riflessione sul Vangelo secondo Matteo 18, 21 - 35
Quante volte devo perdonare? A questa domanda, umanamente parlando, potremmo rispondere con il buon senso, l’opportunità o la giustizia umana: ma sarebbero risposte insufficienti nell’ottica cristiana; e non solo perché Cristo è venuto a perfezionare la legge. La risposta del Signore a Pietro nel vangelo di oggi e la successiva parabola ci aiutano a cogliere la prospettiva in cui dobbiamo porci come cristiani. “Occhio per occhio e dente per dente”, come fu detto agli antichi, è una norma che Cristo, nella sua autorità di legislatore supremo, dichiara superata. Ma c’è qualche cosa di più come emerge dalla parabola, che rimanda alla storia della salvezza. Dopo la morte redentiva di Cristo l’uomo si trova in una situazione nuova: l’uomo è un perdonato. Il debito gli è stato rimesso, la sua condanna cancellata: ecco il condono del padrone al servo che gli doveva diecimila talenti. “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21). Il Padre ormai ci vede in Cristo: figli giustificati. Il mio peccato può ancora indebolire il mio rapporto filiale con il Padre, ma non può eliminarlo. Più che dal suo peccato l’uomo è determinato dal perdono infinitamente misericordioso di Dio: “Il peccato dell’uomo è un pugno di sabbia - così san Serafino di Sarov - la misericordia divina un mare sconfinato”. La miseria umana s’immerge nell’accoglienza purificatrice di Dio. Ecco allora che anche il perdono umano deve adeguarsi ai parametri divini come suggerisce il contenuto della parabola: “Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro” (Lc 6,36). Se il Padre guarda l’uomo come perdonato in Cristo, io non lo posso guardare come un condannato. Se il Padre ci accoglie in Cristo così come siamo per trasfigurarci in lui, l’accoglienza benevola diventa un bisogno della vita, una beatitudine. La comunità cristiana non pretende di essere una società di perfetti, ma vuole essere un luogo di perdono, una società di perdonati che ogni giorno gusta la gioia della benevolenza paterna e desidera renderla manifesta nel perdono reciproco.
 
Con tutto il cuore è da perdonare al proprio fratello.
Scrive l'evangelista Luca: Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Questa risposta spezza di colpo a Pietro e a noi il nostro... generoso perdono, perché nella mente di Gesù "settanta volte sette" significa sempre. Il perdono che propone Gesù non è questione di poche o di molte volte, si dovrà perdonare sempre; altro che la magnanimità di Pietro! Ci troviamo con questo brano nel cosiddetto "discorso ecclesiale, comunitario", dove Gesù rivolge agli apostoli e a quanti vi apparteranno tutte le disposizioni con le quali si dovrà regolare la loro vita comunitaria. È molto prezioso questo insegnamento del Signore che egli esemplifica con la nota parabola dei due debitori. Perdonare è conservare la possibilità di rapporti aperti verso coloro che hanno chiuso con noi, perché ci hanno fatto del male. In questo senso, perdonare è imitare Dio. Rimane aperta così l'offerta della vita, della cordialità ferita, del dialogo faticoso, ma non impossibile. Perdonare richiede molta forza, a volte vera morte di sé per chi lo dona e vita genuina per chi non ha saputo rispettare la dignità del fratello. È molto importante rivivere la parabola dei due debitori, misurarci sulla nostra capacità di perdono o sulla nostra triste capacità di malevolenza. Se ci misurassimo sul quanto o sul come, saremmo fuori da questa dinamica possibilità di ricuperare quanto si è perduto. La nostra attenzione deve riferirsi solamente al nostro rapporto con Dio. La misericordia senza misura del Padre, che in Cristo ci ha donato tutto e tutto ancora ci donerà, sollecita ora e maturerà nel tempo (non è cosa immediata), la nostra misericordia, la nostra condiscendenza verso chi... ci ha osato tanto.
 
Quante volte dovremo perdonare ai nostri fratelli?
«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. L'unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché vivere il vangelo di Gesù non è spostare un po' più avanti i paletti della morale, del bene e del male, ma è la lieta notizia che l'amore di Dio non ha misura.
Perché devo perdonare? Perché devo rimettere il debito? Perché cancellare l'offesa di mio fratello? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio; perché il Regno è acquisire per me il cuore di Dio e poi immetterlo nelle mie relazioni.
Gesù lo dice con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore, qualcosa come il bilancio di uno stato: un debito insolvibile. «Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava...» e il re provò compassione.
Il re non è il campione del diritto, ma il modello della compassione: sente come suo il dolore del servo, lo fa contare più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell'oro.
Il servo perdonato, «appena uscito», trovò un servo come lui che gli doveva qualche denaro. «Appena uscito»: non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un'ora dopo. «Appena uscito», ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l'esperienza di come sia grande un cuore di re, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: 'Ridammi i miei centesimi'», lui perdonato di miliardi! In fondo, era suo diritto, è giusto e spietato.
L'insegnamento della parabola è chiaro: rivendicare i miei diritti non basta per essere secondo il vangelo. La giustizia non basta per fare l'uomo nuovo. «Occhio per occhio, dente per dente», debito per debito: è la linea della giustizia. Ma mentre l'uomo pensa per equivalenza, Dio pensa per eccedenza. Sull'eterna illusione dell'equilibrio tra dare e avere, fa prevalere il disequilibrio del fare grazia che nasce dalla compassione, dalla pietà.
«Non dovevi forse anche tu aver pietà di lui, così come io ho avuto pietà di te?» Non dovevi essere anche tu come me? Questo è il motivo del perdonare: fare ciò che Dio fa. Acquisire il cuore di Dio, per immettere la divina eccedenza dentro i rapporti ordinati del dare e dell'avere. Perdonare significa - secondo l'etimologia del verbo greco aphíemi - lasciare andare, lasciare libero, troncare i tentacoli e le corde che ci annodano malignamente in una reciprocità di debiti. Assolvere significa sciogliere e dare libertà. La nostra logica ci imprigiona in un labirinto di legami. Occorre qualcosa di illogico: il perdono, fino a settanta volte sette, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica, fino ad agire come agisce Dio.
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6) Alcune domande per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
• Perché è così difficile perdonare?
• Nella nostra comunità, c’è uno spazio per la riconciliazione? Come?
 
 
 
 
 
 
 
 
7) Preghiera: Salmo 102
Il Signore è buono e grande nell’amore.
 
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
 
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.    
 
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
 
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
 
 
8) Orazione Finale
O Padre nostro e nostro Signore, ti presentiamo con piena confidenza le necessità di tutti gli uomini e il nostro sforzo di costruire una società più umana: vieni a salvarci con la tua grazia onnipotente perché ci accostiamo al tuo Cristo, perfetto sacrificio per i secoli eterni.