Orizzonti 4
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Orizzonti/4 «Chiunque ama è generato da Dio; 1Giovanni 4,1-13
Il Testo Terza condizione: guardarsi dagli anticristi e dal mondo[1]Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. [2]Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; [3]ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è gia nel mondo. [4]Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. [5]Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. [6]Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore. Alle fonti della carità[7]Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. [8]Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. [9]In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. [10]In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. [11]Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. [12]Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. [13]Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.
Questa lettera appare inviata alle comunità dell'Asia, minacciate da lacerazioni ed eresie. Per la dottrina, il vocabolario, i temi sottolineati - per esempio l'amore di Dio - sentiamo subito una grande affinità con il Vangelo di Giovanni. Ma probabilmente essa è stata composta da qualcuno della sua comunità o circolo, non da Giovanni stesso. Per il contenuto, ampi brani sono inseriti fra le letture liturgiche tipiche del tempo pasquale: per cinque domeniche di seguito viene letto un brano di questa lettera (dalla 2a alla 6a domenica dell'anno B). Infatti a partire da temi concatenati - come luce, giustizia, amore, verità - «l'autore vuole mostrare l'intimo legame che esiste necessariamente tra il nostro stato di figli di Dio e la rettitudine della no \ stira vita morale, considerata come fedeltà al duplice comandamento della fede in Gesù Cristo, figlio di Dio, e dell'amore fraterno».
Leggere e capire La prima impressione che si ha è che sembrano frasi staccate fra loro, messe una dopo l'altra. Ma se facciamo attenzione, c'è una concatenazione, una progressione che si allarga. Uno dei concetti della frase precedente, riappare nella frase che segue, magari con altra parola, e viene ampliato con nuovi temi; e così via, la frase successiva riprende un concetto detto, e lo amplia. Per esempio, il tema del discernimento del v. 1 è ripreso nel concerto di riconoscere Gesù o l'anticristo (v. 3). Poi si riprende il tema del mondo (vv. 3-5); e si prosegue con il tema del «conoscere Dio» (vv. 6.8); infine si continua unendo l'amore di/a Dio con l'amore reciproco (vv. 9-10 e 11-12). Notiamo anche che c'è come una cornice che chiude tutto il ragionamento: è la frase sul dono dello Spirito che sta alla fine del brano (v. 13) e all'inizio (cf. 3,24). Per cui il senso generale del testo è guidato dal filo rosso dello Spiriti) donato, che è autore e stimolo per una autentica esperienza di amore verso Dio e tra noi.
Possiamo anche notare alcune parti più evidenti: - vv. 1-6: avvertimenti sul discernimento delle ispirazioni autentiche: c'è il continuo contrasto tra vero e falso, verità ed errore, Dio e anticristo, Dio incarnato e Dio solo pensato. - vv. 7-10: Dio ha manifestato il suo amore, anzi si è manifestato come Amore assoluto, per essenza, in attività viva; - vv. 11-13: stretto rapporti) tra amore reciproco e amore di Dio; chi ama rende visibile la presenza di Dio, il Dio cristiano, non solo la sua idea; - vv. 14-16: la forza dell'esperienza vissuta: vedere e conoscere divengono fonte di testimonianza, rafforzata dalla vita che ci possiede.
Alcune parole o espressioni meritano una sottolineatura, per esempio: - ispirazioni: non si tratta di doni/carismi dello Spirito, ma di persone che sono mosse dallo Spirito o da Satana (cf. v. 6); - Gesù venuto nella carne (v. 2): non solo l'affermazione della realtà storica dell'incarnazione del Figlio di Dio, ma il ruolo di unica mediazione per la redenzione; cioè la redenzione si attua attraverso «mediazioni» incarnate, concrete, stanche, non idee e dottrine; - Dio è amore (vv. 8.16): affermazione originale, fra le più alte del Nuovo Testamento; non definisce l'essenza di Dio, ma la forma della sua attività. Dio è amore in attività, è amore che ama, continuamente; - conoscere, rimanere, dimorare: sono verbi tipici di Giovanni, e indicami una profonda intimità, non una relazione passeggera o a frammenti.
Meditare la Parola Già abbiamo intuito alcune ricchezze del testo. Vediamo ora di rifletterci sopra, di trovare e gustare qualcosa dell'originalità di questa lettera-
1. Le ispirazioni vanno messe alla prova: si può capire questo avvertimento se si tiene conto del contesto che Giovanni ha in mente, Si trattava di una comunità inquieta, attraversata da fremiti di generosità, ma anche da equivoci fatali. L'autentica fede in Cristo era messa a rischio dalle proposte di «dottrine» affascinanti ma vaporose che trascuravano il riferimento alla storia concreta, e si dedicavano a proposte teoriche, un po' segrete, un po' fantastiche. Non era al centro la sequela e l'imitazione del Signore e della sua forma concreta di amare e vivere, ma una teoria, una sapienza che riempiva la testa, ed era anche complicata, riservata a pochi. Trascuravano il precetto della carità reciproca, frutto dell'adesione del cuore al Dio misericordioso, e al dono del suo Spirito. Si capisce come il rischio potesse essere mortale: si costruiva una identità cristiana basata su dottrine strane, non sulla vera storia della salvezza, sull'incarnazione del Figlio di Dio nella storia. Invece che amare davvero la storia, parlare i linguaggi della gente, trasformare i rapporti sociali con la forza dell'amore ricevuto, con la fraternità autentica, si voleva costruire una identità cristiana fatta di profezie e rivelazioni, teorie strane e senza vera solidarietà concreta. Il Dio solidale, capace di amare l'uomo fragile e peccatore, fino a dare per lui la sua vita era considerato secondario. Più importante era una nuova dottrina, un sapere per pochi - una «gnosi» come si diceva - che volava alto, fuori dai problemi della vita. Dio non era più amore e forza vitale, ma teoria misteriosa e privilegiata.
2. Gesù venuto nella carne: è il criterio dell'autenticità, frutto dello Spirito che guida e opera. È come il sigillo della vera fede cristiana: riconoscere che Dio ha assunto la storia, le tradizioni umane, le situazioni umane, le culture, le nostre stesse fragilità. Possiamo parlare di una fede che crede nella vita umana, che ammira e contempla un Dio fatto carne, persona umana, compagno di viaggio, fragile e sofferente. Dio schierato dalla parte dell'uomo, e non delle teorie astratte, della religione come potere e sapere chiusi e ambiziosi. Giovanni ha davanti alcuni maestri che affermano che Gesù era «apparso in forma umana», ma non era veramente un uomo. Perché la realtà materiale è cattiva, e pertanto il mondo è malvagio: e quindi Gesù sarebbe venuto per salvare l'anima da questa materialità cattiva, opera del dio del male. Invece l'autentica fede afferma che la creazione è buona. E che il cardine della salvezza è proprio l'umanità; nella reologia si dice: caro salutis cardo. Cioè la «carne» è il suo sacramentum (mezzo): la causa è il suo amore, il mezzo è la sua umanità. Il contatto con Dio passa attraverso l'umanità del Cristo, coinvolge mente, corpo, sentimenti, sensi. L'incarnazione non è un linguaggio vuoto, o un mito, ma è la condizione della vera fede. Rifiutarla è negare la vera fede.
3. Linguaggi di Dio e linguaggi del mondo: Giovanni insiste su questa differenza di linguaggi, sui falsi profeti che parlano di Dio prescindendo dalla centralità dell'incarnazione. Il senso della parola «mondo» è da capire secondo la teologia di Giovanni: lo ha spiegato nel capitolo 2,15-17. Ivi mostra il «mondo» come il luogo nel quale scorrazza il maligno e si manifestano le malvagie tendenze degli uomini («concupiscenza della carne, degli occhi, della ricchezza»). Per «mondo» qui Giovanni intende - dal contesto è chiaro - anche la mania della sapienza, la ricerca di un sapere a proprio gusto, fatto di ideologia o di moralismi, e non di concretezza e amore- II tema dei due spiriti è conosciuto anche nella comunità di Qumran: lo "spirito" indica qui la potenza che esplicano sugli uomini la verità o l'errore. La parola «errore» va intesa in senso forte: cioè lo smarrimento (il collegamento è con «errare», nel senso di smarrirsi) che è determinato da Satana e che conduce all'eresia e alla chiusura fanatica. Inoltre nel testo di Giovanni c'è una affermazione che all'apparenza è molto ardita: «Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta» (v. 6). Merita una parola di spiegazione: è un'affermazione paradossale, perché fa dipendere il vero ascolto di Dio dall'ascolto della parola della chiesa, della comunità credente. Il Cristo si fa presente nella parola della chiesa che parla e annuncia. «Si può credere in Dio, più difficile è credere in un Dio venuto nella carne, ma più arduo ancora è riconoscere Dio nella chiesa, eppure è questo il riconoscimento che vuole l'apostolo» (così commenta Divo Barsotti). Chi non è stato trasformato dall'amore di Dio, non riesce a capire questa mediazione della chiesa.
4. Dio ha manifestato il suo amore: è il concetto centrale della lettera e anche di questo brano. Già aveva espresso concetti simili prima; ma ora quasi si concentra, ripetendosi. La visione è quella dell'amore preveniente, spontaneo, che ci avvolge e travolge. Ma ancora di più un amore gratuito, che suscita amore, che non può essere vissuto se non riamando Dio e i fratelli. Dio nella sua realtà più dinamica e virale è amore amante, Dio è l'Amore, è vita piena d'amore, è passione piena d'amore. Ed egli amandoci ci genera a una nuova esperienza di amore, immette in noi la sua stessa natura, ci fa diventate amanti come lo è lui. Senza amore ricevuto e donato, non v'è vera fede cristiana. E solo idea, vuoto concetto. «Se non amiamo, il fatto stesso dice che siamo estranei a Dio. Possiamo essere saggi, possiamo essere buoni, possiamo essere virtuosi, possiamo fare il digiuno tutti i giorni, ma non siamo cristiani. Possiamo essere ubbidienti, casti, ma non siamo cristiani, perché la castità, l'umiltà, l'obbedienza debbono essere espressione di amore, altrimenti non dicono la natura di chi è generato da Dio. Non le virtù fanno il cristiano, ma il cristiano lo fa il fatto di avere ricevuto il dono di essere figli di Dio, che è l'Amore. Per questo le virtù sono cristiane se sono informate dall'amore». Cioè sono cristiano nella misura in cui io soni) un dono di amore per gli altri, non tanto perché credo a certe cose o parlo di certi temi o pratico certi riti.
5. Il dono del suo Spirito: questa affermazione apre e chiude il testo e lo sostiene. Non pensiamo subito ai vari «carismi», cioè ai doni eccezionali (profezia, guarigioni, parlare in lingue, ispirazioni, ecc.) che si attribuiscono allo Spirito. Il «dono» più grande e fondamentale è lo stesso Spirito: egli per sua natura effonde la carità nei nostri cuori (ci. l'inno alla carità di 1Cor 13); egli rende vera e viva l'agape che ci è stata manifestata e donata. Egli lavora in noi perché diventi in qualche modo visibile l'amore che ci ha redenti e che è stato a noi donato, come forza vitale. «La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per lo Spirito Santo che ci è stato dato» (cf. Rm 5,5). La comunità autentica è abitata dallo Spirito, è abilitata da lui a essere memoria viva del Cristo e aperta alle nuove sfide della storia (cf. Gv 16,13). Per lo Spirito siamo divenuti tutti noi un solo corpo di Cristo e come un solo Figlio. Lo Spirito non è un'aggiunta consolatoria, ma è proprio il segreto più vero e vitale dell'intera attività del Figlio. «Pieno di Spirito Santo passò beneficando tutti», dice Pietro davanti alla comunità (cf. At 10,38). Ricevere il dono dello Spirito è garanzia di autenticità nella fede da proclamare (che .si concentra sul Cristo venuto nella carne); è sapienza interiore che sa distinguere i falsi profeti dalla vera scienza di Dio. E anche la capacità di tradurre in pratica concreta il principio dell'amore reciproco; è possibilità di dare abitazione a Dio nella nostra vita, non perché ne siamo degni, ma perché lo Spirito rende in noi vivo questo dono, per sua liberalità, prolungando l'efficacia della vita del Figlio. La coerenza cristiana è prima di tutto un dono grande a cui noi diamo l'apporto di un nostro sforzo, fragile e povero. La Parola sapienza di vita • Condurre una vita intera «nella verità e nell'amore» (2Gv 3): questo fa autentico un discepolo di Cristo. Non ha senso una vita cristiana senza questa centralità dell'amore e della fraternità, della prossimità e della solidarietà. Si capisce che è pericoloso, allora, quando ci teniamo di più ai concetti, alle affermazioni teoriche, alle supposte rivelazioni di qualche visionario. Ci piace una chiesa che fa proclami teorici o una chiesa che nei gesti pratici mostra a cosa crede e di che cosa vive?
• «Mettete alla prova le ispirazioni, per vedere se provengono veramente da Dio»: oggi in tanti sono disposti a credere a tutto, a qualsiasi proposta presentata con fascino. Bisogna sapere mettere in pratica un discernimento attento: verificando i fatti con la prassi di Gesù, la tradizione della chiesa, la sana teologia, la coerenza di vita. Siamo golosi di «sensazioni spirituali», di emozioni e miracoli, di visioni ed esperienze «mistiche»?
• È per il dono dello Spirito che possiamo distinguere le vere ispirazioni, che possiamo vivere nell'amore autentico, che possiamo ascoltare la parola di verità, che siamo rinnovati e trasformati. È questo il ruolo tipico dello Spirito in noi, non per dare a ogni richiesta doni speciali, grazie di tipo carismatico. Sappiamo chiedere la semplice e genuina autenticità cristiana?
• Dio è amore, amore in piena attività, continua, trasformante: chi si lascia trasformare apprende una nuova forma di conoscenza, diviene capace di amore nuovo e totale. Per molti, con sorpresa, Dio è un gendarme che controlla e vieta, è un fantasma sgradevole che punisce o toglie il gusto della vita. Davanti a lui chi parla per primo: il nostro cuore per amarlo o la nostra bocca per pretendere?
• La mediazione della chiesa è presentata da Giovanni come la via necessaria per ascoltare Dio, per amarlo e conoscere la sua volontà di salvezza. Non possiamo contrapporre la chiesa al nostro rapporto diretto con Dio, quasi essa fosse un ostacolo o una cosa secondaria. A volte ci da fastidio la troppa «umanità» della chiesa, e ci sembra che invada troppo le nostre decisioni e i nostri arti. Dovremmo informarci davvero su quello che proclama e dice, e prestare meno interesse ai pettegolezzi dei giornali sugli scandali.
• Le comunità a cui si rivolgeva Giovanni erano in crisi di fede: c'erano falsi profeti che presentavano la fede come una dottrina riservata a pochi, come una ricerca di esperienze isolate, speciali, che stuzzicavano la voglia di autonomia e di essere élite. Oggi non mancano le crisi di fede e di esperienze, e si cercano gruppetti e cenacoli per pochi «eletti», o si fa collezione di visioni, esorcismi e benedizioni. Bisogna rimanere fermi nell'amore di Dio e metterlo in pratica, con cuore buono, con impegno reale e feriale.
• Una frase-chiave della lettera è l'affermazione che «siamo all'ultima ora»: cioè siamo in una situazione di verifica e in un momento decisivo. E bisogna quindi andare all'essenziale, non perdersi dietro a false proposte e neppure prendere l'abitudine a rimandare, a non dare importanza al momento, a tirare in lungo, perdendo tempo e occasioni. Sentiamo come «urgente» ogni momento della vita, per approfondire, per correggere, per essere autentici? PER LA RIFLESSIONE «Vengono le pazienze, queste briciole di passione. E il telefono che si scatena; quelli che noi amiamo e non ci amano più. E la voglia di tacere e il dover parlare, è la voglia di parlare e la necessità di tacere. E il disgusto della nostra parte quotidiana, è il desiderio febbrile di quanto non ci appartiene». Quante volte abbiamo vissuto con disgusto queste cose di cui ci parla M. Delbrèl. In altri momenti invece abbiamo prestato attenzione a desideri strani di ascesi e di martirio, tutte cose estreme in rapporto allo scorrere quotidiano delle cose. Tempo e occasioni regalati al vento, visto che in ultimo ciò che rimane è quel bicchiere d'acqua dato a chi aveva sete, quella stretta di roano a chi era solo, quella veste all'ignudo. Ma perché non ci convince questo Dio che cammina per le strade e continua a bussare alle nostre porte?
Tracce di contemplazione Sono in una corsia d'ospedale. C'è silenzio, a quest'ora i malati riposano, se il male che li ha portati qui glielo consente. Qualcuno passeggia per il corridoio, appoggiandosi a un girello metallico e sorretto dalla mano di un'amica. Nei suoi occhi la stanchezza, i segni della malattia che lo ha segnato. Dal reparto di maternità si sente un pianto strano, sembra un miagolio di un tenero gattino: è un neonato. La salvezza viene dalla carne! In questa piazza di una città tanto grande, da lontano un vecchio si avvicina, ha tutte le sue cose in un sacchetto di plastica e sembra girovagare senza meta. Fa caldo, i suoi sono partiti per le vacanze. Poco distante un giovane vuole pulire i vetri di una macchina di lusso: «Va', mi fai perdere tempo», urla la voce dall'interno della vettura; ma ha una croce sul petto, l'uomo al volante. Ha una croce! La salvezza viene dalla carne! Sono seduto sui gradini che portano alla metropolitana e qualcuno ce l'ha con gli stranieri, per via dello sciopero. Mi sfugge il nesso, poi comprendo che in genere ci si scaglia contro i deboli anche se è il forte ad avere torto. Ma la salvezza è venuta dalla carne: «Se ci amiamo gli uni e gli altri Dio rimane in noi» (lGv 4,12). «In noi si dovrà trovare tutto, il bicchiere d'acqua, il cibo per chi ha fame, tutto il vero cibo per tutti i veri affamati... La compassione per le lacrime, quelle che si devono versare insieme, e quelle di cui occorrerebbe eliminare le cause, l'amicizia per ogni peccatore, per coloro che sono malvisti, la capacità di mettersi al livello di tutte le piccolezze, di lasciarsi attrarre da rutto ciò che non conta, e tutto avrà il suo orientamento, la sua pienezza nella parola "fraterno"» (M. Delbrèl).
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