Orizzonti 3

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Orizzonti/3

Fate discepole tutte le genti

Matteo 28,7-10.16-20

 

Il testo

[7]Presto, andate a dire ai suoi discepoli: E' risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto». [8]Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.

L'apparizione alle pie donne

[9]Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. [10]Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».

Apparizione in Galilea e missione universale

[16]Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. [17]Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. [18]E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. [19]Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, [20]insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

 

Esistono varie descrizioni degli eventi del giorno della risurrezione e dei giorni seguenti. Non è facile armonizzare le varie narrazioni, e molti particolari dei testi dipendono dalla visione teologica degli autori. Per Luca (Vangelo e Atti) tutto si verifica nella zona di Gerusalemme, mentre per Matteo la conclusione ha luogo in Galilea. Anche per la seconda conclusione di Giovanni (c. 21) è in Galilea che avviene l'ultimo incontro con il Risorto. Comunque, per tutti è importante il modo con cui viene proposto il passaggio dalla presenza di Gesù al tempo della chiesa: sembra che di particolare valore per tutti sia il problema del «verso dove» ora i discepoli si devono dirigere, e con quali atteggiamenti.

Nella scelta dei versetti, abbiamo preferito partire dall'annuncio fatto alle donne, sia dall'angelo che da Gesù stesso. E poi Tralasciamo l'inciso sulla falsa testimonianza dei soldati. Questa testimonianza sulla «diceria» (v. 15) appartiene ai circoli giudeo-cristiani di Gerusalemme, e nel ritmo della narrazione è del furto estranea. Perciò l'abbiamo omessa, così appare più lineare il rapporto tra esperienza della risurrezione e conclusione finale degli incontri dei discepoli con il Risorto. Risurrezione e «sparizione definitiva» di Gesù si intrecciano e si richiamano, offrendosi a vicenda senso e completamento.

 

Leggere e capire

All'apparenza la conclusione appare veloce, ma nello stesso tempo densa e ricca di spunti. Tutto è dominato da una certa sensazione di fretta: la fretta è suggerita alle donne («presto, andate», v. 7), ed esse si muovono in fretta («abbandonato in fretta il sepolcro... corsero», v. 8). E poi almeno cinque volte si usa il verbo «andare»: sia come imperativo (tre volte), che come narrazione (due volte). Sembra quindi che tutto sia preso da una urgenza non facilmente spiegabile. Matteo prende congedo dai suoi lettori condensando in poche battute quello che Luca (c. 24) narra più distesamente e anche Giovanni racconta con più dettagli (cc. 20-21 ). Teniamo presente anche che il Vangelo di Matteo è scritto per i cristiani della Galilea e della Siria, giudei quindi di mentalità e origine, che si sentivano feriti dalla storia recente: la città santa era stata distrutta, i capi rimasti (i rabbini) li avevano definitivamente espulsi dalle sinagoghe. C'era avvilimento e senso di crisi; in questo clima si capisce l'insistenza sull'andare a tutte le genti, sull’evangelizzare, sulla fiducia di una presenza vittoriosa e attiva: «Io sono con voi».

 

Si può riconoscere un insieme di blocchi come struttura:

- vv. 7-10: la duplice teofania alle donne: prima presso il sepolcro e poi lungo la strada. Pur nella brevità ci sono note interessanti nella narrazione;

- vv. 16-17: breve parentesi narrativa sui discepoli e nuova teofania; accenno alla perplessità ancora aperta;

- vv. 18-20: il quadruplice livello del discorso di Gesù: una rivelazione, un comando, una prassi, una promessa.

 

Ci sono delle espressioni che meritano una sottolineatura. Per esempio nel breve discorso finale di Gesù, la presenza dell'espressione tutto ripetuta ben quattro volte, quasi a rimarcare una totalità a cui nulla deve sfuggire. Il ripetersi del gesto dell'adoratone sia delle donne che degli «undici discepoli»; il mescolarsi della gioia e del timore, della prostrazione e del dubbio. C'è l'insistenza, ripetuta tre volte, della geografia: ritornare in Galilea, quasi come terra privilegiata per una «nuova partenza» e una «nuova visione» (verbo ripetuto) che viene promessa. Infine il nome che Gesù da ai discepoli chiamandoli fratelli (v, 10), termine che ricorre nel Nuovo Testamento un'altra volta solo, sempre quando Gesù parla a una donna, Maria di Magdala (Gv 20,17). Molte sono le risonanze di testi paralleli, anche dell'Antico Testamento, quasi a confermare ancora una volta la continuità con tutta la memoria biblica, secondo il tipico stile di Matteo.

 

Meditare la Parola

Entriamo ora in profondità in alcuni dei temi che vengono toccati dal testo, per coglierne la ricchezza, ma anche per capire come nello stesso raccontare, Matteo metta in risalto le implicazioni per la missione dei discepoli, che ora comincia. Egli mescola prospettive cristologiche e prospettive ecclesiologiche con molta efficacia.

 

1. L'intreccio fra cammino e presenza: le tre scene dell'apparizione sono anche tre inviti ad andare, a mettersi in cammino, prima verso la Galilea e poi verso tutti i popoli. Non c'è tempo per «stringere i piedi e adorarlo», nel senso di trattenere la relazione. Non c'è tempo neanche per prostrarsi e quasi superare il dubbio con una vicinanza interrogante. La presenza è ripetuta, a mostrare che si tratta davvero non dell'allucinazione di alcuni, ma di una esperienza certa. Gesù sembra adattarsi alla loro capacità di riconoscerlo, di «vederlo». Due volte si parla dell'avvicinarsi: lo fanno le donne e lo fa Gesù stesso. A indicare una relazione avvicinata, di fiducia e di accoglienza reciproca. Ogni diffidenza è superata; Gesù si offre spontaneamente («avvicinatosi», v. 18).

Ma nello stesso tempo, la presenza serve come soste-gno e conferma all'invito a mettersi in moto, ad andare verso i fratelli e verso la Galilea. Un incontro quindi che non paralizza, che non permette di fermarsi a godere un ritrovamento che ripagherebbe di tante sofferenze. E presenza vera e ravvicinata, per mettersi in moto, per cercarlo altrove, per camminare con nel cuore la certezza che c'è un appuntamento. Ma rutto è più in là: è più in là della morte che stanno ancora piangendo (le donne); è più in là della consolazione che li spinge a protendere le braccia in un abbraccio affettuoso. È più in là perfino della Galilea e dei suoi monti. Ormai i confini sono dilatati: ogni potere in cielo e in terra è dato al Maestro e le frontiere della buona novella sono le genti, tutte le genti. Anzi anche la fine del mondo è già sua, gli appartiene: perché ormai la sua presenza non ha scadenze di tempo.

 

2. Le donne prime testimoni: il testo scelto riprende, in parte, dall'apparizione dell'angelo e di Gesù stesso alle donne. Mi pare necessario questo ampliamento del testo, proprio per capire anche la conclusione sulla missione. Le donne intanto appaiono coraggiose e appassionate: ritornano al sepolcro perché non si rassegnano alla perdita del Maestro che «avevano seguito e servito» per un periodo ampio (cf. Mt 27,55.61; Lc 8,1-3; Mc 15,41). E proprio esse, anzitutto, hanno compiuto l'invito di Gesù: «Chi vuoi essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34).

Erano state autentiche discepole, seguendolo fino alla croce, in mezzo alle violenze e alla tortura. E tutti gli evangelisti le ricordano come le prime - o come singola nel caso di Maria di Magdala (Gv 20,11-18) o come gruppetto (Mt 28,7-10) - ad avere saputo della risurrezione del Signore, e ad avere ricevuto il compito di «andare ad annunziarlo ai fratelli». Tanto da poterle considerare come le prime «apostole», le «apostole degli apostoli»: proprio perché devono annunciare il nucleo originale della fede, la risurrezione.

Del resto nella comunità primitiva spesso appare il protagonismo delle donne, come apportatrici di sostegno e di servizio con i loro ministeri. Già negli stessi Vangeli si parla di loro in atto di «ascoltare la Parola» (Lc 10,39), di «servire» alla mensa (Gv 12,2), di «guardare e osservare» (Mt 27,55.61; Lc 23,49.55), di «ungere i piedi» (Gv 12,3). Basti citare la lunga lista del finale della Lettera ai Romani (c. 16) e le molte donne che hanno aiutato Paolo nel ministero, dovunque. Di fatto risulta che le donne allora esercitavano una funzione di guida e animazione, assieme agli apostoli. Sono menzionate anche donne che erano responsabili delle comunità domestiche: Lidia a Filippi (At 16,19), Ninfa a Laodicea (cf. Col 4,15), Cioè a Corinto (1Cor 1,11). Come mai in tempi successivi questa ricca partecipazione è sparita e la donna è stata emarginata?

 

3. Lo schema delle apparizioni: abbiamo varie teofanie, ossia apparizioni celesti. Dapprima l'angelo e poi Gesù stesso. Lo schema della descrizione, ma anche gli atteggiamenti delle persone, sono conformi al modello classico delle teofanie: c'è una apparizione non prevista, un turbamento e quasi una reazione impacciata, ma anche una sorpresa gioiosa, un messaggio, una esecuzione affrettata. Come possiamo interpretare questa «apparizione» o «visione»? Forse una realtà esterna che appare come fosse una «persona» reale. Così sembra a una prima lettura. Quindi una presenza corporale e spaziale, perfino abbracciarle. Ma questa è la sensazione che hanno le persone umane e forse la descrivono così anche per mancanza di altri concetti.

Oppure possiamo pensare che si tratti di un linguaggio umano adattato a descrivere qualche cosa che non si riesce a dire in altre parole. E quindi, più che il fatto reale e concreto, si trasmette insieme anche il significato. In questo caso il Signore vive in una dimensione differente: appare e scompare senza lasciare traccia; si presenta all'improvviso e non lo si può trattenere. Prevale cioè la relazione di significato definitivo, di vittorioso della morte, di Signore dell'universo e del tempo; e non solo il suo corpo

materiale tangibile qui e ora. Una relazione di fraternità e di presenza sicura, ma di un nuovo tipo che non ha vocaboli definitivi: si chiama «risurrezione», in mancanza di altre parole. Ma non vuole dire semplicemente «corpo che torna a vivere». Vuol dire molto di più: una vita intera che continua a essere «viva» e «vivificante», e che trasmette l'impulso alla missione: cioè indirizza verso là dove il Risorto già abita.

 

4. Timore, dubbio e adorazione: interessante l'accenno ripetuto sulla titubanza. Anzi negli altri evangelisti questi elementi appaiono ancora più ampi e insistenti: si pensi solo a Tommaso e alla sua richiesta di verifica. Si pensi all'ultimo capitolo di Giovanni e alle perplessità dei discepoli. Da una parte queste emozioni indicano un atteggiamento tipico davanti alle teofanie: si è colti dal timore, dal senso del mistero che è grande e in un certo senso fa paura. Timore e gioia si mescolano nelle teofanie, la presenza incombente di Dio non è facile da accogliere. Può essere profanata, non capita, si può sbagliare nella reazione. E quindi il «timore» è segno di rispetto e di disponibi­lità, coscienti della propria fragilità.

Dall'altra parte è interessarne questo accenno al dubbio: «alcuni però dubitavano» (v. 17). Ciò può significare la perplessità personale di non essere vittime di allucinazioni, di non aspettarsi una cosa del genere. Non rientrava nelle possibilità normali la comprensione dell'avvenimento. Ma - proprio perché Matteo lo ricorda ancora dopo quasi cinquant’anni - si vuole segnalare che la fede nel Risorto non è stata una cosa facile. Ci sono voluti anni per capire e integrare nella propria vita quell'esperienza e il suo significato. La grazia delle apparizioni non è stata una magia che ha tolto problemi e resistenze: prima di diventare chiave di tutto, e nuovo senso della sequela storicamente vissuta, sono passati anni. Eppure proprio a questi uomini fragili e dubbiosi Gesù affida il nucleo della buona novella da annunciare.

 

5. Le quattro consegne finali: benché sia breve il discorso finale di Gesù, esso è denso e ricco dì affermazioni di sostanza. Possiamo distinguere quattro affermazioni intrecciate tra loro, di cui ciascuna è la conseguenza e il rafforzamento dell'altra. E tutto è inquadrato come in una cornice dall'espressione: «su, diventate itineranti!» (continuate ad andare). Cioè mettetevi in gioco, continuate a spostarvi, non solo verso la Galilea, ma verso tutte le genti. E infine c'è una proclamazione che si riallaccia all'affermazione in apertura del Vangelo (Mt 1,23): la «presenza stabile» (richiama il titolo Emmanuel).

Vediamo le quattro affermazioni.

 

a) Anzitutto viene ripreso il concetto del potere universale: era stato offerto a Gesù dal maligno nelle tentazioni su un altro «monte», in cambio di una adorazione blasfema (cf. Mt 1,9-10). Ora è Gesù stesso che afferma di averlo ricevuto: ma proprio per averlo perduto (in apparenza) nell'estrema umiliazione. Ora può apparire non solo il reale possesso, ma anche il percorso per averlo meritato e mantenuto: la sua obbedienza, il suo «culto reso solamente alla volontà di salvezza del Padre». Sarà poi Paolo che con i suoi inni sulla «signoria cosmica di Cristo» (cf. Lettere ai Colossesi e agli Efesini), canterà questa universalità, ma anche lui in vista di spingere verso una evangelizzazione globale.

 

b) Un nuovo compito: fate discepole tutte le genti. E questo il senso letterale della frase e si presta subito a considerazioni suggestive. Non si tratta di dedicarsi all'indottrinamento, ma di instaurare una relazione stabile di vicinanza, ascolto e vita. Fare vivere tutti attorno a una esperienza di sequela che si nutre di ascolto e di adesione, di vita condivisa e di sottomissione a una persona e non a una dottrina, anzitutto. Con l'espressione: fate discepole tutte le genti si rompe così con la mentalità dell'esclusivismo giudaico (che era forte tra i lettori di Matteo), e si includono sia i «gentili» che gli stessi «ebrei» non ancora aderenti.

 

c) Un rito di iniziazione e appartenenza: «battezzandole nel nome...». Si capisce facilmente che questa frase non può essere stata detta in questo modo da Gesù, ma è frutto della prassi comunitaria e liturgica della chiesa primitiva, ormai consolidata. Bisogna fare attenzione al fatto che la parola «battezzare» per noi risuona in un senso già ben determinato e rituale, che allora non aveva ancora. Non si tratta tanto di fare un «rito regolare», ma di «immergere» nel mistero dell'amore, della misericordia, della vicinanza salvifica, della signoria universale delle Tre Persone. Perché attraverso la condivisione della sequela e della relazione con Gesù risorto, tutte le genti siano trasformate dai benefici pasquali e si sentano chiamate a nuova speranza e nuova unità.

 

d) Ultima richiesta: insegnando loro a osservare. Anche in questa frase bisogna stare attenti a non vedervi subito la forzatura dell'obbligo, del controllo e della coercizione. Dobbiamo interpretare la frase nell'ampio contesto di tutti i «discorsi» fatti da Gesù. Essi devono anzitutto diventare una mentalità e una intima fedeltà nel cuore dei discepoli: infatti anch'essi devono rimanere nell'amore e nella pratica dei «comandamenti». Si noti che l'espressione «comandamenti» - o anche «legge del Signore» - non ha il nostro stretto senso giuridico. Si tratta piuttosto di sapienza che interiormente vincola e guida, che si impone nell'intimo per l'autorevolezza di colui che l'ha proclamata. Quindi l'«osservanza» va trasmessa attraverso la propria coerenza, una vita vissuta già in «obbedienza», per testimonianza personale di «fedeltà». Non c'è spazio per l'imposizione forzata, il controllo giuridico, la pretesa di costringere a «osservare».

 

6. Io sono con voi tutti i giorni: è l'assicurazione che era risuonata molte volte nella storia. Quando Mosè viene inviato a liberare il popolo dalla schiavitù, Dio gli assicura: «Va', io sarò con te!» (Es 3,12). La stessa affermazione si trova molte volte nei profeti (se ne veda una per tutte: Is 41,8-14). Maria è salutata dall'angelo proprio con questa affermazione: «II Signore è con te" (Lc 1,28). Gesù che per definizione - cf. Mt 1,23 nell'annuncio a Giuseppe - è l’Emmanuel, cioè «Dio con noi», ora si propone da se stesso come una presenza stabile, non solo per consolare e incoraggiare, ma anche come protagonista della stessa attività dei discepoli. Lui sarà «attivo» con loro, fino alla fine del tempo. Questa certezza sostiene i discepoli, che potevano ancora temere di non essere adatti, vista la fuga di qualche tempo prima.

In altre parole sarà data ai discepoli una esperienza che ripropone quella di Jahvè: «Colui che è», sarà ancora con loro, attivo, vivente, guida e maestro per ogni altro discepolo. Continuerà una presenza, che «rivela il Padre» (Gv 14,10-11); Gesù opera assieme al Padre e allo Spirito: lo stesso battesimo ne sarà la conferma e la mediazione, per un incontro vitale e una «piena immersione» (appunto il significato del «battesimo», che è immersione). E la «fine del mondo» riprende molte affermazioni simili (cf. paralleli), che segnalano sia la caducità del creato, sia il concludersi del tempo e il giudizio di Dio, sia il suo dominio oltre lo stesso tempo. Perché egli era da prima e oltre lui non c'è null'altro. In qualche modo si può dire che è una presenza paragonabile a quella del «Paraclito» giovanneo (Gv 14,16; 16,7-11; 1Gv2,1).

 

La Parola sapienza di vita

Le donne come testimoni e annunciatrici: appaiono le prime a saperlo e per prime incontrano il Risorto. E poi «corsero a dare l'annuncio»: la loro fedeltà e il loro affetto premuroso sono stati premiati. Nella chiesa primitiva la loro importanza appariva evidente, nonostante le probabili autocensure nel presentarle protagoniste. Altro è il ruolo oggi delle donne nella chiesa. Come mai l'annuncio della risurrezione è privilegio quasi solo degli uomini? L'annuncio delle donne era «esperienza» che generava la parola da dire «ai fratelli»: ancora oggi hanno un'esperienza che potrebbe diventare nuova parola di annuncio. Eppure sono relegate al margine e al silenzio. Come sarebbe bello recuperare la forza di quella espressione loro rivolta: «Andate a dire ai miei fratelli».

 

Ritornare a partire dalla Galilea: Gesù - secondo Matteo - rimanda tutti in Galilea, per un incontro che è esercizio di nuova accettazione reciproca oltre il tradimento, accennato dal fatto che sono «undici» (v. 16) e nonostante i dubbi e le esitazioni (v. 17). La missione per Matteo parte dalle frontiere, dalle situazioni complicate e a rischio. Lo è stata per Gesù, ora lo sarà per i discepoli. Bisogna capire questa sfida anche geografica, perché occorre ripartire sempre dalle sfide culturali, religiose, sociali. Ci si potrebbe domandare dove porre oggi la Galilea, la zona mista multireligiosa, la frontiera delle genti. Siamo propensi sempre a riportare tutto al centro, a Roma, ai centri diocesani, alle grandi masse, per maggiore sicurezza e visibilità sacra. E la maniera giusta?

 

• I discepoli si prostrarono: gli Undici ripetono il gesto delle donne, manifestano la loro «fede al Risorto", con questo gesto. Su altri monti l'avevano visto splendente, oppure vincitore delle tentazioni, maestro della nuova legge, o solitario a pregare il Padre. Ora su questo monte ancora lo riconoscono pieno di potere e di gloria. Tante volte, purtroppo, la chiesa, come comunità di fedeli, ma anche come istituzione gerarchica, si è prostrata davanti a false divinità. Per secoli l'Occidente ha creduto di annunciare il Risorto anzitutto con l'uso del «potere» da imporre e non imitando il crocifisso umiliato. Forse ha sbagliato monte, o si è prostrato davanti ad altri dei per ipocrisia e interesse ?

 

Andate dunque: c'è un continuo richiamo a mettersi in movimento, a fare presto e in fretta, a incamminarsi verso altrove, perché la verità appare altrove. Nonostante le loro recenti fragilità, e anche i dubbi che ancora restano, sono inviati ad annunziare, a creare relazioni di vita e di sequela fra le genti. Al di là del fallimento personale, la Parola che pronunceranno sarà radunatrice, sarà salvezza e speranza. Dobbiamo renderci conto che la chiesa è fatta proprio di gente fragile, è attraversata dal dubbio, non è élite di santi. Oppure pensiamo che le persone limitare e fragili non sono affidabili, non meritano incarichi? Una chiesa che vuole dare importanza solo ai "gruppi» speciali, duri e puri, non è fedele al progetto iniziale di Gesù.

 

Legame fra annuncio, liturgia e prassi: nel discorso finale di Gesù questi elementi appaiono tra loro collegati. L'annuncio deve creare relazioni e compagnia fra discepoli; il battesimo è rinascita alla vita nuova che la Parola annuncia; la prassi concreta deve rispecchiare la fedeltà alla Parola ricevuta e ricordata. Dovremmo essere in grado di conservare questa unità fra i vari elementi. Ognuno di questi settori - annuncio, celebrazione, prassi morale -non può camminare per proprio conto, con poca relazione agli altri ambiti.

 

• II battesimo nel nome della Trinità: la formula risente certamente della prassi ormai diffusa nell'accoglienza dei nuovi credenti attraverso il rito del «battesimo», con l'invocazione del nome della Trinità. La particella nel vuol dire un protendersi verso la vita e il mistero di quel «nome» che attrae e rigenera. Quanto c'è di vivo e vivace nel ricordo del nostro battesimo? Non per molti esso è ancora una esperienza viva, che feconda la vita, ma per tanti - la stragrande maggioranza - è una parola quasi vuota che non dice più nulla.

 

PER LA RIFLESSIONE

L'immobilismo è mancanza di fiducia e non mette in moto «dinamiche per la vita». Siamo divisi tra il bisogno di ritrovare la forza di amare la vita, senza decollare dal quotidiano, e la scelta di rinchiuderci nella paura, tenendoci aggrappati a una rituale gestualità, troppi) grigia per generare stupore! Forse la frammentarietà e il dubbio ci impediscono di sperare e andare oltre le tenebre. Continueremo a resistere all'appuntamento e al contatto con le ferite dell'umanità? Ma non è forse nei pressi del sepolcro che il Risorto ha ridato speranza? Donne e uomini sono attraversati da stupore e dubbi davanti al sepolcro vuoto. Ma sono ancor più sorpresi quando il Risorto va loro incontro, e li lancia sulle strade del mondo. Un'avventura, tutta da inventare e da vivere senza rete.

 

Tracce di contemplazione

Le donne corrono e abbandonano il sepolcro con timore e gioia. Desiderano lasciare li per sempre i ricordi, la tristezza e la paura legate alla tua assenza. Ma poi si fermano, si avvicinano, ti toccano. Le lasci fare e dai loro la certezza della vita. Tu ci sei!

Come altre volte, le donne ti donano le loro carezze, si avvolgono nello stupore che viene dalla tua presenza, ti adorano. Te ne stai andando e le inviti a uscire dall'oscurità e dal timore, a non trattenere per sé la tua luce.

Tu ci sarai!

Ugualmente farai con i tuoi amici ancora dubbiosi e impauriti, non è stato facile vederti morire, non è semplice crederti risorto. Di nuovo indichi il cammino, la strada per uscire dalla paura. Il tuo invito è lo stesso: «Andate!».

Andiamo? «Ho paura», dice Mino. Ha visto un suo parente su una sedia a rotelle, ormai è una larva. «Al suo posto - aggiunge - mi toglierei la vita».

È così per tanti. Che ne è della forza delle tue parole? Cosa è stato il nostro battesimo, forse un rito di gesti senza speranza? Delle tue parole abbiamo abusato trasformandole in obbligo e coercizione.

Enrica mi confida di sentire che il suo cuore è ancora di pietra e vorrebbe che tu glielo cambiassi. Abbiamo poco tempo per sostare stupiti davanti alla tua luce di risorto. Siamo nel dubbio, fragili proprio come i tuoi primi amici.

Torna e facci sentire l'invito alla vita, e soprattutto ripeti ai nostri cuori: «Andate, sono con voi». Abbandoneremo il sepolcro dove ti abbiamo seppellirò e tu ci sarai, con noi, nei nostri deserti!

«E sono sicura, mio Dio, che tu mi ami e che in questa vita così ostacolata, stretta tutt'intorno dalla famiglia,

dagli amici e da tutti gli altri,

non può mancare quel deserto

in cui ti si può incontrare.

Non si arriva mai al deserto

senza avere attraversato molte cose,

senza essere affaticati da una lunga strada,

senza strappare i propri occhi

al loro orizzonte abituale» (M. Delbrèl).

 

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