Lacerazioni 4
|
|
Lacerazioni/4 «Raccolse il mantello e scese al Giordano» 2Re 2,7-15
II testo [7]Cinquanta uomini, tra i figli dei profeti, li seguirono e si fermarono a distanza; loro due si fermarono sul Giordano. [8]Elia prese il mantello, l'avvolse e percosse con esso le acque, che si divisero di qua e di là; i due passarono sull'asciutto. [9]Mentre passavano, Elia disse a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te». Eliseo rispose: «Due terzi del tuo spirito diventino miei». [10]Quegli soggiunse: «Sei stato esigente nel domandare. Tuttavia, se mi vedrai quando sarò rapito lontano da te, ciò ti sarà concesso; in caso contrario non ti sarà concesso». [11]Mentre camminavano conversando, ecco un carro di fuoco e cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia salì nel turbine verso il cielo. [12]Eliseo guardava e gridava: «Padre mio, padre mio, cocchio d'Israele e suo cocchiere». E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in due pezzi. [13]Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano. [14]Prese il mantello, che era caduto a Elia, e colpì con esso le acque, dicendo: «Dove è il Signore, Dio di Elia?». Quando ebbe percosso le acque, queste si separarono di qua e di là; così Eliseo passò dall'altra parte. [15]Vistolo da una certa distanza, i figli dei profeti di Gerico dissero: «Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo». Gli andarono incontro e si prostrarono a terra davanti a lui. [16]Gli dissero: «Ecco, fra i tuoi servi ci sono cinquanta uomini di valore; vadano a cercare il tuo padrone nel caso che lo spirito del Signore l'avesse preso e gettato su qualche monte o in qualche valle». Egli disse: «Non mandateli!».
La figura del profeta Elia non ha mai cessato di affascinare: è davvero un «perturbatore», come lo chiama Acab (1Re 18,17). Una volta incontrato non lascia la presa: ti assedia. Te lo trovi davanti quando meno te l'aspetti, misterioso e lottatore, deluso e tormentato, timido e aggressivo. Perché questo profeta - prototipo di tutti i profeti, come si vede nella trasfigurazione - è come un albero sempre verde. Ogni lettura si apre a nuove riletture: proprio come indica il soprannome che la Tradizione islamica gli ha dato, «Khadir», il verdeggiante. In lui la vicenda della conversione all'alleanza si fa grido di fronte al popolo e percorso interiore personale. Per questo leggerlo e commentarlo è entrare dentro lo stesso processo, appassionarsi per le sue crisi violente e i momenti di esaltazione, smarrirsi e rinascere, lasciare ad altri il protagonismo e riprenderlo come all'improvviso. Il brano che stiamo per esaminare rappresenta il culmine della breve storia di Elia: dentro lo schema tipico dell'itinerario e del discepolato. Un percorrere a ritroso l'itinerario del popolo che entrava nella terra promessa dopo il lungo vagare nel deserto: a significare anche con la geografia quella che è stata la vita di Elia. Egli ha cercato di rendere viva quella memoria di una liberazione, che chiamava a una alleanza fedele. Mentre tentava di prolungare l'efficacia di quella esperienza in una nuova fedeltà, a sua volta è penetrato nel mistero di quel pellegrinaggio ripercorrendolo a ritroso fina all’Horeb, in un momento di crisi mortale (1Re 19). E ora conclude l'intera esperienza scendendo ancora dalle alture di Galgala e Betel, fino alla conca di Gerico e ancor più giù, fino al Giordano che sta per sfociare nel Mar Morto. È un viaggio di iniziazione, un passaggio mistico e misterioso. Leggere e capire L'evento è descritto con dovizia di particolari, anche ripetitivi. Attorno al profeta e al suo discepolo Eliseo si era già creata una scuola: gruppi di ammiratori e discepoli che vivono in colonie, chiamati i «figli dei profeti». Al momento della scomparsa, Elia con il discepolo passa a salutare i vari gruppi e dovunque si parla sottovoce della dipartita del grande padre. Le tre visite - Galgala, Betel e Gerico - sono tutte improntate al rispetto della riservatezza di Elia e cadenzate dalla richiesta di Elia di restare solo: non vuole essere visto quando muore. Ma Eliseo è tenace e non lo lascia solo, sia per amore verso quel padre così prossimo all'ultimo distacco, sia per poter essere erede privilegiato dello spirito profetico.
Proviamo a rintracciare la struttura di questo brano, includendo anche i sei versetti iniziali del capitolo. - vv. 1-6: i tre incontri di Elia con i «figli dei profeti» a Galgala, Betel e Gerico, e l'attaccamento di Eliseo, per non lasciarlo solo; - vv. 7-10: i cinquanta figli dei profeti assistono da lontano; il passaggio del Giordano e il dialogo conclusivo fra maestro e discepolo, prima del rapimento; - vv. 11-12: rapimento di Elia su un carro di fuoco e disperazione del discepolo, che grida e si strappa le vesti; - vv. 13-15: il processo di nuova identità del discepolo, che scende al Giordano, apre le acque ed è riconosciuto «erede» dello spirito di Elia dai cinquanta figli dei profeti che hanno visto tutto.
Alcune espressioni tipiche: la conclusione della vita di Elia è detta in italiano rapimento, ma nel testo originale è solo espressa con il verbo (portato in alto, essere trasportato, portar via). In realtà, dietro questa espressione generica, troviamo l'affermazione che la sua vita giunge alla fine, come in un ultimo fuoco divorante, come ne era stata divorata sempre. Il mantello è quello tipico proprio del profeta: da questo lo riconoscevano tutti. Il luogo dell'ascesa al cielo è quello dove il popolo passò il fiume per entrare nella terra promessa: si concentrano la morte di Mosè sul Nebo (lì vicino), il transito del popolo, il grido di Eliseo; altri lo diranno anche per lui, quando si ammala (cf. 2Re 13,14). Alcuni interpreti sostengono che forse la scena non è storica, ma si tratta di una «estasi» di Eliseo: in trance avrebbe vissuto il distacco da Elia, e compreso la sua nuova funzione come erede dello spirito del Tesbite. Meditare la Parola 1. Tutto sì svolge per comando del Signore: gli ultimi movimenti di Elia sono fatti sotto l'impulso della Parola, infatti Elia ripete tre volte: «perché il Signore mi manda a...» (vv. 2.4-6). In realtà tutta la vita del profeta è sotto l'ordine del Signore: ogni suo spostamento avviene perché la parola del Signore irrompe e obbliga a una obbedienza senza ritardi: «Vattene di qui» (1Re 17,3); «Alzati e va" (17,7); «Su, mostraci» (1Re 18,1); «Alzati e mangia... è troppo lungo per te il cammino» (1Re 19,7); «Su ritorna sui tuoi passi» (1Re 19,15); «Su recati» (1Re 21,17); «Su, va incontro» (2Re 1,3); «Scendi con lui» (2Re 1,15). E a ogni invito, segue l'annotazione che «Elia si alzò...». Tutta la vita del profeta è come un cammino, un movimento che va dal nord al sud, dall'ovest all'est. Un pellegrinare continuo, senza dimora, un esodo che ora sta culminando nella maniera più estrema e clamorosa. La Parola in lui è imperativo che lo scuote, lo libera da ogni sedentarietà, ma anche lo fa partecipe di situazioni sempre diverse e originali. Contrariamente agli altri grandi profeti scrittori, Elia è un gran camminatore, non appartiene a se stesso e nulla gli appartiene in maniera definitiva. E ora in conclusione si spinge oltre, oltre una tomba, una morte vissuta insieme: sparisce in un carro di fuoco, come era vissuto pieno di zelo bruciante (cf. 1Re 19,10.17).
2. Un clima di fraternità e di mestizia: le tre comunità che visita insieme con Eliseo intuiscono che è giunto il momento del distacco; e non hanno coraggio di parlarne a Elia, ma solo al suo discepolo. Una venerazione rispettosa impediva di intromettersi nel momento del transito del grande maestro; ma anche il grande maestro non vuole abbandonare questi gruppi che erano cresciuti attorno alla sua attività di profeta, senza un'ultima visita. Affetto e rispetto, mestizia e timore accompagnano questi incontri, questo ultimo pellegrinaggio del padre. Una reciproca intesa, senza bisogno di tante parole. Ma l'ultima comunità, quella di Gerico, non se la sente di lasciare solo Eliseo, e si apposta sulla riva del Giordano per assistere, seppur da lontano, al momento in cui il Signore leva il suo grande profeta. Per carattere Elia appare - secondo quello che ce ne dicono i testi - piuttosto introverso, poco espansivo, capace di grandi entusiasmi improvvisi, ma anche di collere tremende e di tristezza mortale. In tutta la sua vicenda è evidente la sua difficoltà ad avere relazioni sociali facili, immediate, calorose. Non è certo un tipo solare, mentre lo è di più Eliseo. Ma questa ultima visita ai gruppi dei «figli dei profeti», e il dialogo con il discepolo Eliseo, ce lo mostrano meno rigido, attraversato anche lui da fremiti di paternità e di tenerezza.
3. Il passaggio del Giordano: avviene nella zona dove il fiume è più gonfio di acque (sta per entrare nel mar Morto). Il transito sembra congiungersi con l'altro passaggio, in senso inverso, quello del popolo che arrivava finalmente alla terra promessa. Il parallelismo è facile e anche evidente, e non è solo su questo punto. Il gesto di battere le acque col mantello richiama il gesto di Mosè che col bastone divideva le acque del mare perché il popolo passasse (cf. Es 14,15-22). Si fece asciutto il mare allora, e si fa asciutto ancora il fiume ora. Elia si ricongiunge al grande Mosè, e allo stesso tempo ripete, a ritroso, la traversata del Giordano fatta dal popolo socco la guida di Giosuè (cf. Gs 3,14-17). Su quello stesso luogo il Battista inizierà la sua predicazione di precursore e Gesù vedrà aprirsi il cielo (Mc 1,10-11) per la proclamazione dell'affetto del Padre. Si intrecciano in questo momento perciò molti elementi fondamentali della storia di Israele e della storia della salvezza e dell'alleanza, per la quale Elia aveva dato tutto. Ma c'è di più. Simbolicamente il Giordano evoca la vira carica di peccati e di sofferenze: e perciò aprire un percorso in mezzo alle sue acque vuol dire esercitare una capacità di aprire sentieri di speranza e di libertà nella vita. E quello che ha fatto Elia, lottando su molti fronti, spostandosi sulle frontiere interne ed esterne, quelle morali e quelle culturali. Quest'ultimo gesto è come la sintesi di ciò che ha fatto nella vita: è stato un uomo che ha mostrato sentieri e strade in situazioni impossibili.
4. La supplica del discepolo: Eliseo che lo accompagna finalmente ottiene dal maestro la risposta che canto attendeva: «Domanda che cosa io debba fare per te...» (v. 9). Eliseo chiede di essere l'erede privilegiato dello spirito profetico che ha guidato Elia. «Due terzi del tuo spirito»: è la porzione che spetta al figlio maggiore: una doppia parte dell'eredità paterna (cf. Dt 21,17). Domanda a un tempo comprensibile, ma anche non esaudibile: perché solo Dio da lo spirito di profezia, non si trasmette per discepolato. Va notato che questa richiesta è carica di preghiera: solo nella preghiera e nella purificazione più profonda - come si vede in rutti i profeti, e anche qui nel grido di Eliseo e nella lacerazione delle vesti - questo dono può essere ricevuto e donato. Importante notare questa crisi profonda e sofferta di Eliseo: quello a cui assiste è fuori di ogni schema. Si sente orfano di questa grande guida e nello stesso tempo costretto ad assumerne l'eredità, per la guida dei figli dei profeti. Quel raccogliere il mantello (v, 13) non è solo un segno di rispetto, un ricordo anche materiale. E molto di più: è un nuovo compito che sente di dover intraprendere. Ha vissuto fino all'ultima infuocata ascesa, accanto a Elia; ora ne deve conservare la memoria e ripercorrere lo stile di vita e di gesti. Il mantello è simbolo e impegno, non puro ornamento o pretesa.
5. Davanti al Giordano e davanti ai fratelli: la trasmissione dello spirito profetico, avvenuta in senso materiale con la confidenza della richiesta e con il mantello raccolto, ha bisogno di un passaggio ulteriore. Eliseo deve riprendere la strada e lo stile del grande padre, che lui chiama «carro di Israele», e come lui aprire nuove strade negli ingorghi della vita. Per questo scende al Giordano, e ha un ultimo fremito di angoscia: "Dove è il Signore, Dio di Elia?" (v. 14)- E la paura, è l'invocazione, è anche la sensazione che il compirò lo sovrasta. Vuole anche lui servire il Signore, Dio di Elia; ma la propria fragilità e l'angoscia lo schiacciano. Ripete il gesto di Elia davanti alle acque cui mantello: ed esse si aprono. Non per gratificarlo dello stesso potere, ma per indicargli la stessa missione: aprire cammini negli ingorghi della vita. E questa funzione che riconoscono i «figli dei profeti». Essi attendevano nella mestizia il ritorno di Eliseo; e ora riconoscono dai suoi gesti, dalla sua audacia, che "lo spirito di Elia si è posato su Eliseo» (v. 15). Non tanto per la ripetizione dell'evento miracoloso, ma per lo stile: invocazione, sofferenza, audacia. La strada aperta conduce ai fratelli: non è una strada per la propria gloria, ma per una fraternità che riprende, con una nuova guida, il servizio al Signore. Questa esclamazione degli spettatori è mollo importante, anzi è necessaria, perché Io spirito di profezia non sia una presunzione egoistica. Solo con la verifica della fraternità che riconosce e accetta i segni e il ruolo del profeta, può essere davvero servizio all'alleanza e alla comunione.
6. Molteplici interpretazioni dei secoli: questi testi sono stati commentati in tante maniere lungo i secoli. Per esempio il passaggio del Giordano e l'ascesa al cielo di Elia evocano il battesimo di Gesù e la sua ascensione al cielo; e il mantello lasciato scendere è simbolo dello Spirito protettore (cf. Gv 15,26). Nella tradizione carmelitana i gruppi di «figli dei profeti» sono specchio della fraternità che deve sostenere i discepoli di Elia (i carmelitani). Il «duplice spirito» viene interpretato come l'impegno a coltivare la vita contemplativa e quella arriva. In generale per la tradizione monastica il mantello è simbolo della vita monastica, come dottrina e come pratica vissuta. C'è anche un'altra applicazione che di solito si fa: questa dedizione di Eliseo verso il profeta Elia, la sua insistenza a stargli vicino, il suo camminare dialogando e confidandosi, è simbolo dell'accompagnamento spirituale. Un cammino che nasce dal gesto del mantello di Elia gettato su Eliseo (1Re 19,19-21) e si prolunga come itinerario di formazione e di maturazione, nel contesto anche di una comunità che ne riconosce il maturare in autorevolezza (cf. i dialoghi di 2Re 2,1-6). E che giunge poi alla condivisione finale, attraverso la quale Eliseo diviene maturo e a sua volta maestro per altri. Vicinanza e condivisione, dialogo e cammino, partecipazione a esperienze incandescenti e frattura dolorosa: tutto porta verso una maturità che è autonomia, capacità di ripetere, con creatività, gesti e scelte. La Parola sapienza di vita • Tutta la vita del profeta sotto la giuda della Parola: praticamente in tutti i suoi trasferimenti e interventi, Elia si muove per obbedire alla Parola che lo chiama. Sulla sua bocca "la Parola ardeva come fiaccola» dice ben Sirach (Sir 48,1). Ma anche rutta la sua vita è dominata dall'ob-bedienza alla Parola. Non è stato facile vivere espropriato di sicurezze, per mettersi sempre di nuovo in gioco. La Parola, quando è ascoltata, spiazza, costringe a sempre nuovi esodi, oltre le abitudini e le frontiere. Una Parola che non scomoda, che non fa uscire dal nido sicuro, è probabilmente falsa, pura illusione.
• II clima di fraternità e di tenerezza: nonostante Elia fosse piuttosto ruvido nei rapporti sociali, introverso e impressionabile, attorno a lui c'è un clima di tenerezza. Quella visita ai vari gruppi di «figli dei profeti", indica che il loro atteggiamento rispettoso aveva fatto breccia anche nel carattere di Elia. Non può lasciarli senza almeno visitarli, abbracciarli con un ultimo sguardo di padre. Sarà la tenerezza e la vicinanza che scioglie spigoli di carattere, rigidità e paure reciproche. Noi siamo capaci di creare il clima giusto per facilitare a ognuno il dialogo, l'incontro, la nostalgia?
• «Memoria e profezia: l'ultimo itinerario di Elia è un ripercorrere a ritroso l'ingresso del popolo in terra promessa. Ha lottato una vita intera, su tanti fronti, per rinnovare la fedeltà all'alleanza, per chiamare a conversione e a nuova giustizia il popolo, mal guidato da capi malvagi. Ora con un ultimo gesto, riassume tutto quello che ha detto e fatto: riportare alla fedeltà, in contesti che la minacciavano e la ostacolavano. Non può fare altri gestì clamorosi: è i! suo stesso itinerario che ora parla, annuncia, richiama. Ha bruciato di zelo per il Signore (1Re 19,10.14), ora tutto il suo essere diviene fuoco. Si perde nel fuoco divino che l'ha espropriato di tutto, non si appartiene, neppure oltre la morte. Sappiamo anche noi dare un senso pieno alla vita, unificarla nello zelo bruciante?
• Eliseo si straccia le vesti e grida: il desiderio di Eliseo si compie in maniera drammatica. Egli sarà si erede dello spirito di Elia, ma dovrà diventarlo nel dolore e nell'invocazione angosciata. Dovrà strappare la veste e sbriciolare la sua mentalità, per essere nuova creatura- Gesti e parole di Eliseo mostrano che non basta rivestirsi del mantello del profeta per esserne eredi, bisogna lacerare vecchi schemi, diventare nudi e poveri, per essere rivestiti in novità. Non si trasmette un carisma a chiacchiere, né con le letture: solo in un contesto incandescente e appassionato esso può passare e vivere.
• La fraternità che accoglie e riconosce: quei cinquanta «figli dei profeti» che accompagnano e attendono, ma senza essere invadenti, ora diventano i testimoni di mia trasformazione riuscita. Nel vedere la sofferenza, ma anche l'audacia di Eliseo, essi riconoscono che in lui lo spirito di Elia è presente e rivive. Anche Eliseo ora apre strade nei vortici del fiume Giordano, e ciò significa che sarà in grado di aprire strade alla speranza e alla fedeltà, come si era visto in Elia. La fraternità è fondamentale, con il suo discernimento e il suo sostegno, per vivere con autenticità la profezia, i servizi, i ruoli. Resistiamo alla verifica della fraternità e al dialogo sincero con essa.'
• Bisogna aprire sempre nuove strade: il Giordano è simbolo di ima vira carica di problemi e di conflitti, che rende difficile e confusa la fedeltà. Bisogna sempre aprire nuove strade nella complessità della vira, battere «i Giordani», con il cuore che supplica e grida, e con i mantelli della radicalità e della profezia. Solo così la profezia non è esercizio fanatico e ambizioso; solo così la grande eredità di cui ci gloriamo non è sterile simulacro che aliena dal presente, riportando in un mondo fantastico. La comunità intuisce e verifica, riconosce e gioisce: perché scopre il coraggio di non chiudersi nella nostalgia, ma di affrontare i rischi per ritrovare nuova comunione e nuova speranza. PER LA RIFLESSIONE Anch'io non vado alla deriva, intorno rulla il mondo, leggo la mia storia come guardia di notte, le ore delle piogge. C'è ancora chi ha la bella abitudine, quella a cui allude con versi incomparabili Salvatore Quasimodo, di leggere la propria storia, come guardia di notte. Ora che numerosi maestri propongono in molte forme i loro insegnamenti (musiche, profumi e colori, cose belle per alleggerire il peso della storia). Tante le figure da cui veniamo ammaestrati: stregoni, guaritori e falsi profeti. Ci tocca metterci a camminare e vegliare, per raccogliere il mantello di chi in modo autentico ha cercato la verità. Il Giordano di oggi è stracolmo di offerte: si apriranno le acque per farci arrivare all'alerà riva? Gente curiosa ci sta ad aspettare: vogliono abbracciarci, vivere da fratelli. Ma bisogna passare per acque infide, gridare e resistete. Si apriranno se il coraggio non ci manca, come é successo con Eliseo, il discepolo del grande profeta Elia.
Tracce di contemplazione «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti operano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,30-31). La vita sembra un ingorgo, sì davvero, sembra costringerci a passare il tempo cercando la strada per superare più in fretta i vuoti, le fatiche, a raggiungere mete che appaiono impossibili, a inseguire modelli così alti che mettono alla prova la nostra fragilità. Quanti simulacri sterili e alienanti ! Non osiamo guardare al Giordano, che ci attende lì ogni giorno, la quotidianità ci spaventa, ci rattristiamo perché poche emozioni ci vengono dalla scontata e banale ferialità. Come se la vita fosse uno scherzo! Molte volte, è forte il grido di domanda e di paura: «Dov'è il Signore?». Urliamo, come Eliseo, per i drammi che nessuno riesce a spiegarsi e ad accettare; ma anche per i pesi che noi stessi carichiamo sulle nostre spalle, a causa dell'orgoglio che non accerta limite alcuno. Eppure si apriranno le acque, come già si aprirono dal grembo materno. Si apriranno le acque, per la liberazione. Basta muoversi, come Eliseo; diventare chiesa del grembiule diceva don Tonino Bello, e lavare i piedi del mondo. E qualche volta come Elia dare fastidio ai poteri costituiti, perché non rendano come favore ciò che alla gente spetta come diritto. Camminando forse inciamperemo, cadremo, ma avremo preso la vita sul serio.
«La vita non è uno scherzo. Prendila sul serio, ma sul serio a fai punto che a settant'anni, ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli, ma perché non crederai alla morte, pur temendola, e la vita peserà di più sulla bilancia» (Nazim Hikmet).
Per saperne di più
|
Realizzato da Sabato Bufano -
Informa s.a.s. - Tel. 0828620029
|