Lacerazioni 3
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Lacerazioni/3 «Non lasciarti vincere dalla tristezza» Rut 1,1-22
Il testo [1]Al tempo in cui governavano i giudici, ci fu nel paese una carestia e un uomo di Betlemme di Giuda emigrò nella campagna di Moab, con la moglie e i suoi due figli. [2]Quest'uomo si chiamava Elimèlech, sua moglie Noemi e i suoi due figli Maclon e Chilion; erano Efratei di Betlemme di Giuda. Giunti nella campagna di Moab, vi si stabilirono. [3]Poi Elimèlech, marito di Noemi, morì ed essa rimase con i due figli. [4]Questi sposarono donne di Moab, delle quali una si chiamava Orpa e l'altra Rut. Abitavano in quel luogo da circa dieci anni, [5]quando anche Maclon e Chilion morirono tutti e due e la donna rimase priva dei suoi due figli e del marito. [6]Allora si alzò con le sue nuore per andarsene dalla campagna di Moab, perché aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane. [7]Partì dunque con le due nuore da quel luogo e mentre era in cammino per tornare nel paese di Giuda [8]Noemi disse alle due nuore: «Andate, tornate ciascuna a casa di vostra madre; il Signore usi bontà con voi, come voi avete fatto con quelli che sono morti e con me! [9]Il Signore conceda a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito». Essa le baciò, ma quelle piansero ad alta voce [10]e le dissero: «No, noi verremo con te al tuo popolo». [11]Noemi rispose: «Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho io ancora figli in seno, che possano diventare vostri mariti? [12]Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli, [13]vorreste voi aspettare che diventino grandi e vi asterreste per questo dal maritarvi? No, figlie mie; io sono troppo infelice per potervi giovare, perché la mano del Signore è stesa contro di me». [14]Allora esse alzarono la voce e piansero di nuovo; Orpa baciò la suocera e partì, ma Rut non si staccò da lei. [15]Allora Noemi le disse: «Ecco, tua cognata è tornata al suo popolo e ai suoi dei; torna indietro anche tu, come tua cognata». [16]Ma Rut rispose: «Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza di te; perché dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; [17]dove morirai tu, morirò anch'io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te». [18]Quando Noemi la vide così decisa ad accompagnarla, cessò di insistere. [19]Così fecero il viaggio insieme fino a Betlemme. Quando giunsero a Betlemme, tutta la città s'interessò di loro. Le donne dicevano: «E' proprio Noemi!». [20]Essa rispondeva: «Non mi chiamate Noemi, chiamatemi Mara, perché l'Onnipotente mi ha tanto amareggiata! [21]Io ero partita piena e il Signore mi fa tornare vuota. Perché chiamarmi Noemi, quando il Signore si è dichiarato contro di me e l'Onnipotente mi ha resa infelice?». [22]Così Noemi tornò con Rut, la Moabita, sua nuora, venuta dalle campagne di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l'orzo.
Il libro di Rut è un meraviglioso poemetto, che narra la lotta per la vita di Noemi e Rut. Sono due donne, due vedove, tutt’e due senza figli, l’una straniera, l’altra espatriata. La loro avventura è narrata come una parabola, con un’arte di progressive scoperte, di incontri fortuiti che però aprono a nuovi orizzonti. C'è un lieto fine che può lasciare contenti: nasce un bimbo, dopo tanta sofferenza. Ma la teologia che sta alla base di questo libretto – in passato si leggeva nella festa di Pentecoste - è molto più vasta della sua estensione materiale. Si intrecciano nelle vicende, all'apparenza semplicissime, le esigenze sostanziali dell'identità del popolo. La tragedia della fame che diviene più grave per l'indifferenza di chi ha risorse abbondanti (compresi i parenti di Noemi). La rigidità verso gli stranieri, con cui si evitano relazioni, in nome della purità della religione. Il diritto dei poveri a trovare sostentamento spigolando nei campi viene ostacolato. L'indebolimento del dovere del riscatto fra parenti per solidarietà è causa di sofferenze ed emarginazioni. Ma c'è anche il risalto alla universalità della benevolenza del Signore e la fatica a capire i piani di Dio dentro gli eventi concreti. Leggere e capire Ci limitiamo ai TI versetti del primo capitolo del testo del libro di Rut: perché offrono già molti spunti per la nostra stessa vita. Anche se è solo lo stato quaestionis, possiamo scoprire elementi importanti. Struttura del testo: possiamo suddividere: - vv. 1-5: la progressiva perdita di appoggi di Noemi: perde il marito e i due figli. Rimane con le due nuore, per di più straniere: tre vedove, senza sostegno né speranza di futuro; - vv. 6-14: alla notizia che in Giudea non c'è più fame, Noemi vuole ritornare verso la sua terra; ma insiste a convincere le nuore Orpa e Noemi a restare fra la propria gente e rifarsi una famiglia. Noemi si mostra molto ferita dalla vita, e lo attribuisce al Signore; Rut però la segue nonostante i rischi; - vv. 15-18: dialogo di Noemi che dissuade Rut, e questa risponde che si sente ormai unica totalmente alla sorte della suocera; - vv. 19-21: ritorno a Betlemme: di fronte alla gioia dei compaesani, Noemi continua a mostrarsi pessimista, amareggiata, per colpa del Signore; - v. 22: conclusione, con l'accenno che «si cominciava a mietere l'orzo». Fame e mietitura fanno da cornice al capitolo, all'inizio in senso problematico, alla fine mostrando segnali nuovi. n Sarebbe da notare come ogni nome proprio ha un suo significato (e forse sono fittili), il che sembra dare ulteriore sottolineatura ai testo. Inoltre ci sono alcune parole in questo capitolo che hanno un valore simbolico: - si alzò (v. 6): assomiglia al movimento della conversione: che è appunto «alzarsi» e tornare indietro; - non si staccò (v. 14). alla lettera vuoi dire che si «attaccò», aderì a lei con tutte le forze; a indicare un legame vitale; - Mara: il nome che Noemi vorrebbe che usassero: manifesta una depressione grave e inconsolabile. Il punto centrale di questo primo capitolo può essere collocato in varie frasi. Forse nell'amarezza di Noemi; o forse nella frase di Rut: «II tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio» (v. 16).
Meditare la Parola 1. Il contesto storico: non sappiamo esattamente a quale epoca il racconto si riferisca; l'accenno iniziale può essere una finzione narrativa. La maggioranza degli esegeti propende per un periodo intorno al 450 avanti Cristo. Siamo dunque già lontani dalla dolorosa vicenda dell'esilio; ma le situazioni religiose ed economiche non hanno creato ancora un clima di fraternità e di sostegno. Carestia e mancanza di solidarietà costringono i deboli a emigrare, in cerca dì pane (lasciando la «casa del pane»: senso di Betlemme). Appare un gruppetto familiare fragile: Elimèlech, Noemi e i due figli Maclon (= malattia) e Chìlion (= fragilità). Le disgrazie si accumulano su di loro: muoiono i tre uomini e restano le tre donne, sole, senza figli. Il senso di depressione appare chiaro nel dialogo di Noemi con le nuore Rut e Orpa. Non ha davanti a sé altro che il fallimento di una vira, anche se attenuato dalle parole dette alle nuore. Ma nel secondo discorso appare la frustrazione di una donna senza figli, invecchiata nel dolore, abbandonata da Dio. Il suo ritorno a Betlemme, all'apparenza sembra non prometterle nulla di buono, solo la speranza del pane. Chi emigra e torna più povero di quando è partito, si sente coperto ancor più di vergogna e di fallimento. Se torna arricchito può presentarsi in paese con un certo orgoglio; ma se torna senza nulla si sente in profondo disagio. Lo sì può verificare anche dalle parole di Noemi quando invita le sue amiche a chiamarla Mara (amarezza) e non Noemi (mia graziosa), perché il Signore l'ha resa infelice. Si sente addosso una fatalità negativa, opprimente. Neppure la gioia delle amiche la tira su. Ma il testo non infierisce contro la sua depressione, la pone lì con delicatezza, quasi con complicità, per poi dare più risalto allo stupore.
2. Le tragedie personali svelano il cuore: possiamo leggere nel testo, con molta evidenza, le emozioni profonde, negative o positive. E questo in fondo che interessa allo scrittore. E ciò risalta specialmente dai dialoghi ampi e commoventi. C'è anzitutto Noemi che porta nel cuore la nostalgia della sua terra. Quando «sente dire» che il Signore aveva «visitato il suo popolo, dandogli pane», si alzò (v. 6). In fondo al suo cuore è rimasta viva la nostalgia del paese. Non è riuscita a integrarsi nel nuovo paese: anche se ha avuto queste due nuore così affezionate, non sa trovare senso per sé che ritornando. Si muove ancora in cerca di pane, ma nella terra che conosce, fra i suoi. Però porta con sé l'amarezza del fallimento completo, della tristezza. Le due nuore Orpa e Noemi in questo caso rivelano cosa hanno nel cuore. Dapprima tutte e due intendono seguirla, condividere la sorte della suocera. Sono disposte al rischio di una vita sterile, senza marito né figli, accanto alla madre dei loro mariti morti. Il dialogo reciproco è dominato in questo momento dalle considerazioni tristi di Noemi. Essa vede soprattutto la vita di famiglia, i figli; non c'è più speranza di averne. Per prima cede Orpa: non ha la forza di rischiare un futuro tanto incerto e torna dai suoi. A indicare che la buona disposizione non basta, ci vuole una forza grande per fare certi sacrifici. Questa forza grande ce l'ha invece Rut che si identifica totalmente con la sofferenza e la sorte della suocera Noemi. Il discorso di Rut è come un giuramento, ed esprime un legame profondo, assoluto con Noemi: vuole condividere vita e morte, divinità e traversie. Non ha più senso per Rut la vita senza Noemi. È un grande gesto d'amore, che però non trasforma ancora Noemi: essa persiste nel suo pessimismo. Ma non tarderà a ricredersi, a sognare la vita, grazie alla intraprendenza di Rut. Ci sono tante storie, nella Bibbia, che parlano di queste depressioni mortali: da Abramo a Mosè, da Davide a Elia, da Geremia a Giobbe, da Tobia al giusto oppresso.
3. Piccoli gesti che fanno rinascere la vita: in questo capitolo ci sono alcuni particolari che segnalano il «nuovo», in un contesto di morte e dolore. Si tratta dell'accenno al «pane» dato dal Signore (v. 6), si tratta delle parole di consolazione e di attaccamento di Orpa e Rut e poi di Rut sola. Non tutto è disperazione e pianto. C'è anche l'interessamento di tutto il paese per il ritorno di Noemi: a indicare che era conosciuta e ben voluta. Si tratta soprattutto dell'ultima frase: «Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l'orzo» (v. 22). Segnali positivi ci sono dunque, ma bisogna saperli vedere, intuire. Quando l'animo è triste, quando le disgrazie ci uccidono la speranza, tutto sembra motto e buio. Eppure, invece, qualche cosa già si muove positivamente come abbiamo visto. Noemi non sarà sola, anche le amiche le sono di nuovo vicine; anche la terra ridiventa amica, dando l’orzo. Piccoli segni, che risvegliano dentro, misteriosamente, altre musiche, altre risorse sopite. Infatti in seguito proprio Noemi si sveglierà dal suo dolore che la prostra, e comincerà a sognare seguendo lo spirito di intraprendenza di Rut. Noemi tirerà fuori tutta la sua sapienza - giuridica, pratica, femminile - per guidare Rut verso una nuova stagione di amore e di fecondità.
4. "E nato un figlio a Noemi”: alla conclusione di tutta la vicenda, il racconto presenta il figlio di Rut come il figlio di Noemi. Si tratta di una conclusione simbolica molto significativa. Noemi aveva sentito con estrema angoscia questa sterilità (v. 12), e voleva sprofondare nella sua tristezza, accusando Dio di aver voluto calcare la mano contro di lei. La compagnia di Rut ha risvegliato nell'anziana la voglia di vivere, l'arte del dialogo d'amore, la coscienza dei propri diritti e della propria dignità. La tenacia umile e cocciuta di Rut ha dato a Noemi l'occasione di essere davvero madre di sapienza e di vita per Rut. Quel figlio è anche frutto delle viscere di maternità e di amore di Noemi, del suo nuovo coraggio di affrontare la vita, di trarre dalla tradizione ragioni nuove di speranza. Alla fine si ha l'impressione che quel bambino sia una vittoria di popolo: come lo dimostra il canto delle donne. La gente che sta alla porta, quando approva il riscatto offerto da Booz, canta la fecondità e la prosperità. Possiamo vedervi chiaramente una storia di lotta del popolo intero contro le disgrazie, le morti inspiegabili. Ma anche il canto e la gioia per l'amore che è più forte della morte; la lotta per sopravvivere che alla fine trasforma anche le situazioni più fragili in storia nuova. La Betlemme da cui Noemi si era allontanata in cerca di vita e di pane, e a cui era tornata avvilita e rinsecchita nel cuore, ora ridiventa la terra del riposo e della vita, della speranza, della gioia. I segni fragili dell'inizio sono diventati un grande evento: la nascita di un figlio. La storia continua, e sarà storia grande.
La Parola sapienza di vita • Storie tragiche: possiamo vedervi la storia di tante famiglie che emigrano in cerca di pane, di dignità, di libertà. E non trovano molta accoglienza. Abbandonate a se stesse nella sofferenza e nel dolore. Pur «sposandosi» qui, si sentono sempre straniere, portano nel cuore radici rinsecchite. Hanno nostalgia della loro terra, cultura, patria. Cercano in qualche modo di conservare conoscenze, legami, ricordi. Conosciamo le ferite che si portano dentro queste persone partite in cerca di pane e morte di tristezza?
• Le tragedie svelano il cuore: in tutta la vicenda più che i fatti, il testo sembra interessato a mostrare i sentimenti, le reazioni del cuore. Si trova l'amarezza e la delusione, ma anche il cuore che intuisce e suggerisce creatività. Rut si attacca a Noemi gratuitamente a proprio rischio totale. La ama veramente. Noemi e pronta a rinunciare anche alla compagnia delle nuore per rispetto della loro felicità, non vuole strumentalizzarle al suo dolore, né metterle in difficoltà come straniere. In fondo al cuore della gente c'è tanta simpatia istintiva per questa avventura e sofferenza. Sappiamo apprezzare queste vibrazioni, queste emozioni?
• Risvegliare i sogni e far sorgere l'aurora: abbiamo visto che le cose mutanti a poco a poco, soprattutto per l'intraprendenza di Rut, a cui segue poi la complicità di Noemi, dì Booz e poi di tutto il popolo. Non è stato facile trasformare la situazione: ma il testo sparge qua e là segnali, lancia messaggi, suggerisce possibilità che si aprono. Possiamo anche dire che in fondo al racconto sta una proposta politica: se si mette in pratica il diritto (dei poveri a spigolare), se si è leali con i propri doveri (il riscatto), se si ha un po' di intraprendenza e coraggio (Rut e Booz), si può realizzare una società migliore, una fraternità più vera. Bisogna saper dare spazio a questi segnali, incoraggiare a uscire allo scoperto. La paura di sbagliare e il ricordo delle ferite bloccano e rendono depressi sempre.
• Tenerezza e rispetto: possiamo ritrovare in rutto il resto queste caratteristiche della tenerezza, del rispetto: nel discorso di Noemi, nella risposta di Rut, nella reazione di Booz, nella conclusione del giudizio popolate, nella festa per la nascita del bimbo, nella gioia di tutta la gente. Anche le grandi tragedie si sopportano meglio se c'è tenerezza e attenzione, se gli anziani sono sostenuti, se le emozioni giovanili sono accompagnate con il consiglio. Il dialogo tra generazioni può diventare ostilità, ma anche nuova sapienza di vita.
• II bambino ha riscattato il senso della vita: Noemi ha motivo per vivere e sognare; ma anche il popolo riconosce che in quella avventura la tenacia del cuore e la lotta per sopravvivere hanno avuto la meglio. Obed è frutto di un lungo ed esigente amore tra Dio e il suo popolo. Egli è anche figlio del suo popolo e della sua lotta per la vita: anzi è ponte di unione e comunione fra popoli. Riempie di senso nuovo la lotta e la vita degli adulti. Egli sarà il padre di lesse, da cui nascerà Davide: e così una piccola stona, si innesta in una grande storia di salvezza universale.
• Lasciar parlare il cuore, oltre i pregiudizi e i tabù. Ci sono abitudini sacralizzate, divieti di avere relazioni con altri popoli o altre tradizioni. Essi affiorano anche qua e là, per accenni, ma senza sviluppo. Se si lascia parlare il cuore, esso con i suoi fremiti rompe tutte le frontiere e t divieti, impone altri ritmi alla vita, scavalcando le leggi meschine. E una parabola per tante nostre situazioni sociali: anche per certe rigidità culturali e politiche. Dare spazio alla voce del cuore, farla emergere con delicatezza, non solo dare il megafono alle paure e ai pregiudizi. Andare insieme incontro alla vita, ritrovare pane e fecondità, speranza e liberazione.
• Parabola della nostra vita: abbiamo tentato la fortuna "tra i moabiti», in altri ambienti, ricostruendo altrove i valori (famiglia, affetti, identità). Orfani della speranza, possiamo tornare a casa, sperando in qualche segno di «novità» (pane = bisogno di tornare alle radici, anche se depressi, vergognosi, delusi). Ma la storia vissuta ce la portiamo addosso. E la nostra risorsa, non solo il segno del fallimento. Si tratta di farla fruttificare, di metterla in gioco, per nuove sragioni feconde. Lasciando il protagonismo ad altri, mettendo a disposizione esperienza e fiducia, senza gelosia, come fa Noemi con Rut. È importante tirarci indietro, dare spazio, credere nella maturità altrui; non stare sempre lì a rivendicare ruoli e a piangere sul passato che ci ha deluso. PER LA RIFLESSIONE Frenesia e agitazione non ci danno tregua, ma noi ne subiamo il fascino, sono esse che ci aiutano a non abitare il limite. Fuggiamo volentieri da normali vulnerabilità delle storie di ogni giorno. Sempre in cerca di altri posti, incontri, esperienze. Accettare di abitare il limite potrebbe significare guardare con occhi diversi il dolore e la precarietà. Ma prima o poi sarà necessario riappropriarci dei «cocci» delle vicende comuni. Non possiamo far cadere nell'oblio tutto ciò che ha il colore della debolezza. Tutti intenti a cancellare anziché ricordare, e invece bisogna rimembrare (inteso come rimettere insieme le membra). Basterà la resistenza, perché riapparirà la speranza? La affascinante vicenda di Rut ci offre la risposta.
Tracce di contemplazione Te ne sei andato triste, nuovo Elimèlech, perché tua moglie si sente schiacciata da una depressione mortale! Ora tutto le sembra solo buio e tristezza. Proprio come Nocini, anch'essa si farebbe volentieri chiamare Mura (amareggiata). Anche, a te farebbe bene conoscere la storia di Rut, per dire alla madre dei tuoi figli che la storia non è solo disperazione e pianto. Rut, caparbiamente fedele alla speranza, segno di attesa e di ricerca paziente del bene. Anche tu rifugiato, che portavi ancora nel tuo corpo i segni della tortura fisica del tiranno crudele, tu che sei stato cacciato via dalla nostra terra, per un timbro che qualcuno ti ha negato: il Signore ti farà trovare un luogo dove potrai di nuovo sentirti a casa tua, come la spigolatrice Rut nel campo di Booz. Signore, lì dove la morte sembra dominare, mandaci gente come Rut, che ci aiuterà a fare memoria dei diritti degli ultimi; restituiscici l'arte del dialogo e dell'amore, lì dove la sterilità sembra aver preso lo spazio riservato alla vita. Quando, come Noemi, abbiamo paura di contagiare gli altri col nostro dolore, preparaci una mensa, siediti con noi, facci abitare nella tua casa, per giorni senza fine.
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