Lacerazioni 1
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Lacerazioni/1 «Il Signore ci ha dato spazio libero» Genesi 26,15-33
Il testo I pozzi tra Gerar e Bersabea[15]Tutti i pozzi che avevano scavati i servi di suo padre ai tempi del padre Abramo, i Filistei li avevano turati riempiendoli di terra. [16]Abimèlech disse ad Isacco: «Vàttene via da noi, perché tu sei molto più potente di noi». [17]Isacco andò via di là, si accampò sul torrente di Gerar e vi si stabilì. [18]Isacco tornò a scavare i pozzi d'acqua, che avevano scavati i servi di suo padre, Abramo, e che i Filistei avevano turati dopo la morte di Abramo, e li chiamò come li aveva chiamati suo padre. [19]I servi di Isacco scavarono poi nella valle e vi trovarono un pozzo di acqua viva. [20]Ma i pastori di Gerar litigarono con i pastori di Isacco, dicendo: «L'acqua è nostra!». Allora egli chiamò Esech il pozzo, perché quelli avevano litigato con lui. [21]Scavarono un altro pozzo, ma quelli litigarono anche per questo ed egli lo chiamò Sitna. [22]Allora si mosse di là e scavò un altro pozzo, per il quale non litigarono; allora egli lo chiamò Recobòt e disse: «Ora il Signore ci ha dato spazio libero perché noi prosperiamo nel paese». [23]Di là andò a Bersabea. [24]E in quella notte gli apparve il Signore e disse: «Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere perché io sono con te. Ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore di Abramo, mio servo». [25]Allora egli costruì in quel luogo un altare e invocò il nome del Signore; lì piantò la tenda. E i servi di Isacco scavarono un pozzo. Alleanza con Abimèlech[26]Intanto Abimèlech da Gerar era andato da lui, insieme con Acuzzat, suo amico, e Picol, capo del suo esercito. [27]Isacco disse loro: «Perché siete venuti da me, mentre voi mi odiate e mi avete scacciato da voi?». [28]Gli risposero: «Abbiamo visto che il Signore è con te e abbiamo detto: vi sia un giuramento tra di noi, tra noi e te, e concludiamo un'alleanza con te: [29]tu non ci farai alcun male, come noi non ti abbiamo toccato e non ti abbiamo fatto se non il bene e ti abbiamo lasciato andare in pace. Tu sei ora un uomo benedetto dal Signore». [30]Allora imbandì loro un convito e mangiarono e bevvero. [31]Alzatisi di buon mattino, si prestarono giuramento l'un l'altro, poi Isacco li congedò e partirono da lui in pace. [32]Proprio in quel giorno arrivarono i servi di Isacco e lo informarono a proposito del pozzo che avevano scavato e gli dissero: «Abbiamo trovato l'acqua». [33]Allora egli lo chiamò Sibea: per questo la città si chiama Bersabea fino ad oggi.
Si ha sempre qualche difficoltà con i testi storico-narrativi: nelle vicende raccontate con tanta minuzia, non è agevole rintracciare valori più ampi e significativi. È anche il caso di questo brano, che di fatto non ricorre nella liturgia della messa. Il testo può sembrare del tutto privo di valore particolare, perché narra delle vicende abbastanza normali nelle relazioni fra pastori, specie quando si tratta di pozzi, che sono risorse fondamentali per le greggi. Nel deserto, avere un pozzo vale quanto avere un gregge. Ma come vedremo in questo testo ci possiamo vedere implicazioni molto più originali: si tratta della maturazione della personalità di Isacco, che era rimasto forse troppo condizionato dai suoi genitori, i quali erano molto anziani quando lui è nato. Quella guerriglia per i pozzi può avere una lettura simbolica interessante: è la ricerca della propria autonomia, è il conseguimento di una maturità riconosciuta e rispettata. Ma essa non passerà attraverso la semplice custodia dei segni del padre Abramo (i pozzi), ma attraverso l'esercizio di un'autonomia esplorativa e di un nuovo modo di vivere come erede, esercitando l'arte di scavare pozzi.
Leggere e capire La serie dei capitoli 24-27 della Genesi mostra subito dei problemi di cronologia: gli episodi sono presentati con una certa confusione di tempo e di contesto. Troviamo degli anacronismi: si parla di filistei, ma in realtà a quel tempo erano i cananei che vi abitavano. Anche i nomi dei pozzi, più che una verità storica, sembrano tappe di una ricerca di identità ostacolata dal di fuori. Per capire la parte che abbiamo selezionato, serve leggere anche i versetti 1-14 del capitolo 26, nei quali si vede bene come lo schema di Abramo viene ripetuto, letteralmente, per la storia di Isacco: la bugia sulla moglie, l'apparizione del Signore che gli ripete la benedizione data già al padre Abramo, ì contrasti con Abimèlech. Una parentesi può essere considerata la breve stagione da contadino di Isacco: non dura, anche se ha avuto buon esito. Non è ancora tempo di smettere di essere nomadi, di diventare sedentari. Ma non è inverosimile che i nomadi abbiano anche delle stagioni di coltivazione della terra, raccogliendone i prodotti.
La struttura di questo testo, può essere individuata in questo modo: - vv. 15-21 : la storia litigiosa dei pozzi, sia quelli già scavati da Abramo, sia quelli scavati di nuovo; una tensione prolungata e aggressiva; - vv. 22-25: la fase matura e più serena della ricerca: un pozzo non più conteso, un sogno di conferma e benedizione, una tenda, un altare; - vv. 26-31: la riconciliazione con gli antichi avversari che avevano minacciato Isacco: con il rituale del banchetto (la sera) e del giuramento (la mattina); - vv. 32-33: i servi trovano ancora acqua e la vita appare più tranquilla.
Il senso delle parole: molti nomi di questo testo - e del resto di tutta la Bibbia - hanno un significato che allude, e quindi fanno anche un gioco di parole. Lo stesso Isacco vuol dire «il padre sorride», o meglio «il Signore sorride». I nomi dei pozzi scavati sono tutti indicativi: Esech (lite), Sitna (opposizione), Recobòt (ampi spazi), Bersabea (sette pozzi). Importante è anche vedere la geografia di questa storia: gli avvenimenti si svolgono - grosso modo - dall’entroterra di Gaza (Gerar era una città a dodici chilometri e anche un torrente portava quel nome: Grar) fino a Bersabea (Be'er Sheva di oggi): cioè lungo la frontiera del deserto del Neghev. Questi pozzi perciò sono scavati in un territorio che non prometteva molta acqua e trovare l'acqua è stata una fortuna. Nel deserto possedere dei pozzi è una risorsa economica e dà autorità. Meditare la Parola 1. Isacco uomo pacifico e tranquillo: la figura di Isacco in questa pagina è molto complessa e interessante. Egli viene descritto sulla falsariga del padre Abramo. La benedizione - due volte ripetuta - lo indica erede della grande e misteriosa promessa. Ma mentre la prima volta è la ripetizione perfino letterale (Gn 12,10-20), la seconda volta, invece, la benedizione è molto più breve e forse più incisiva, perché viene dopo aver superato la crisi di identità, raggiungendo l'autonomia e la libertà dalle ostilità dei vicini. Le vicende familiari sono una ripetizione di quanto è avvenuto già con il padre Abramo (Gn 20). Isacco si lascia trovare la moglie da altri ed è per questo tradizionalista. Come, il padre, anche Isacco occulta la vera identità di Rebecca, presentandola come sua sorella, ma anche trattandola con «stile scherzoso» (tipico di chi è il marito). Ed è sempre lo stesso Abimèlech a lamentarsi per il pericoloso equivoco. Alla fine di tante liti e tanti dislocamenti, Isacco accetta di fare pace con i suoi avversati che pure non erano stati gentili con lui. Appare quindi un uomo disposto più a subire che ad attaccare. Anche la benedizione finale data a Giacobbe e non al primogenito Esaù, indica non solo un Isacco goloso, ma anche sempliciotto. È un uomo capace di suscitare pace e tranquillità, tenace nelle difficoltà; non amareggiato dal sacrificio che Abramo ne voleva fare, né vendicativo nei confronti di Abimèlech che lo aveva minacciato e scacciato verso il deserto.
2. La stagione dei conflitti: la crisi dei pozzi d'acqua dura parecchio tempo. Isacco è convinto che sia suo dovere riprendere i pozzi scavati dal padre Abramo, conservarli con cura, ripulirli da quanto, per l'incuria, li aveva danneggiati. A rovinarli erano stati soprattutto i dispetti dei filistei. Quella ripulitura, addirittura un nuovo scavo accompagnato dalla tradizione dei nomi già dati dal padre, indicano il desiderio di rispettare la fatica e la memoria del genitore. Nonostante le ostilità evidenti, e perfino minacciose, Isacco pazientemente riprende in mano i segni lasciati dal padre: vuole essere riconosciuto come erede, a partire dalla cura e dal possesso materiale dei pozzi. Però la tensione non diminuisce e anzi si giunge fino a una questione cruciale: anche se scava un pozzo nuovo, la questione è più radicale: tutto quello che si trova in quel posto, compreso nel sottosuolo (cf. v. 20: «L'acqua è nostra!»), è rivendicato dai filistei, pastori di Gerar. Quindi gli portano via l'erba (o l'acqua) sotto i piedi: non c'è proprio possibilità di stare lì, deve sganciarsi, cioè mettersi in cammino, cercare altrove, ai bordi del deserto, dove mai era apparsa l'acqua. E i conflitti continuano: quei due nomi Sitna e Esech sono come due ferite, due cicatrici che provocano ancora dolore. Segnano una tappa di passaggio, al solo evocarle danno sofferenza, perché richiamano liti e conflitti, insicurezza e provvisorietà.
3. La stagione della maturità: con il terzo pozzo si affaccia una stagione nuova, che non ha solo valore organizzativo e di tranquillità, ma anche di raggiunta maturità. Viene scavato un altro pozzo ancora, più all'interno, allontanandosi dalle zone più frequentate, con ampia solitudine attorno. Ed è il pozzo chiamato Recobòt («spazi ampi»): c'è finalmente spazio e non più conflitto, sicurezza e non incertezza e provvisorietà. Questa sensazione di possesso non più conteso, è dato dalla tenda; si accompagna nella notte con la riconferma della benedizione. E appaiono i segni di un luogo (stabile) di culto: l'altare e la preghiera. Oltre agli elementi di cronaca, possiamo vedere in evidenza la coscienza di una identità finalmente stabilizzata. Quel padre Abramo, che Isacco voleva onorare in mezzo a liti e litigi, riprendendo fanaticamente i luoghi e perfino i nomi della sua memoria, non poteva garantirgli serenità e libertà. Per sottrarsi al logoramento delle tensioni, ha scavato nuovi pozzi, sempre più all'interno, dentro il deserto, rischiando di non trovare nulla. E invece proprio così, esercitando l'arte di scavare pozzi, si è sentito vero erede del padre, benedetto da Dio, stabilizzato anche nel culto, autonomo infine. Quell'amore di Abramo che aveva dimostrato nella custodia dei pozzi, ora è anche quello che Dio ha per benedire la sua storia: i due amori si incontrano, ma dopo fatica e conflitti. 4. La nuova relazione sociale: la sua lotta tenace per trovare una via di uscita, non sfugge agli occhi e alle preoccupazioni degli altri, che ostacolandolo lo avevano costretto a vivere da migrante insicuro. E di fronte al fatto compiuto della sua capacità di superare ostacoli vari, con una tenacia che alla fine è vincitrice, si convincono a cambiare atteggiamento: Abimèlech, Acuzzat e Picol ora cercano la sua amicizia e vogliono stringere un patto di non aggressione. Mentono sulle vicende passate - come se nulla fosse successo - e soprattutto vogliono averlo come amico: e questa nuova relazione è sancita dal pasto sacro (alla sera) e dal giuramento (al mattino). La pace è ristabilita per interesse e buon senso da parte dei capi filistei, con magnanimità da parte del pacifico Isacco. Quello che non era riuscito a ottenere con la lotta attorno ai pozzi e nemmeno con lo scavo di nuovi pozzi, ora lo otteneva con i frutti della sua tenacia e del suo coraggio di inoltrarsi nel deserto, cercando acqua. Non si era piegato nella dignità, aveva cercato autonomia sulla frontiera disabitata, aveva trovato acqua e spazio, libertà e ora anche riconoscimento definitivo. E si sentiva in coscienza di avere la benedizione di Dio, e non solo una benevolenza (interessata) da parte degli antichi avversari che lo avevano scacciato.
5. Ancora un altro pozzo: il racconto termina con la notizia di una nuova sorgente di acqua. Non è solo un altro colpo fortunato: vuole indicare che nonostante la pacificazione con i vicini, Isacco continua a esercitare l'arte dello scavare pozzi, proprio come aveva fatto il padre Àbramo. Non si permette di vivere di rendita, di accomodarsi e lasciar andare le cose. Continua ancora a esplorare, vuole vivere con slancio e laboriosità. Se sono cessati i conflitti, non cessano le necessità di provvedere acqua buona al gregge, la vita continua con tutte le sue esigenze normali. Non si sente arrivato, non si sente senza nuovi orizzonti, vuole continuare a vivere una vita vera, piena di avventura e di ricerca.
La Parola sapienza di vita • La crisi della successione: il problema per Isacco era quello di farsi accettare erede del padre Abramo. È anche il problema dello scrittore del testo: per questo lo fa passare attraverso vicende simili a quelle del padre. Anche il recupero dei pozzi già scavati, la preoccupazione di ridare il nome originale: tutto indica che la memoria lo guidava, lo condizionava, si sentiva vincolato a essa, nonostante tutto. Eppure è stata una stagione molto difficile, piena di conflitti e sofferenze, di violenze e rifiuti. Diventare se stessi non è facile, si è portati a imitare gli altri, a dipendere dalla memoria, a fissarsi nella fedeltà, costi quel che costi: una vita impossibile, assurda, con cicatrici vistose.
• Diventare se stessi provando e cercando: costretto dalle circostanze ostili, Isacco deve spostarsi, diventare nomade, precario. Non riuscendo a ottenere il riconoscimento sui vecchi pozzi, ne deve scavare di nuovi, alla frontiera del deserto. Ma non è neanche questa una stagione facile: Sitna ed Esech sono due luoghi, ma anche due ferite che bruciano. Sono il ricordo di un periodo difficile, di una resistenza che è costata cara. Evocano paure e fughe, risultati infranti, sensazione di fallimento. Più che il risultato, appare il valore centrale del cercare, dello scavare, del ricominciare, fino ad arrivare a sottrarsi al contenzioso. Quello che sembrava solo un esercizio provvisorio, si è mostrato il vero modo di essere erede del padre. Non conservando fanaticamente i segni, ma inventandone altri: la conservazione dello statu quo non è mai la soluzione.
• Esercitare l'arte di scavare pozzi: Isacco a sue spese e con sacrifici ha imparato a liberarsi dal mito materiale, concreto del padre Abramo, e a scoprire che la vera identità e continuità non stanno nel possesso materiale dei pozzi, ma nell'arte di scavare pozzi. Esercitandosi a esplorare, a migrare, alla tenacia nonostante tutto, Isacco arriva a essere adulto, stabile, riconosciuto nella sua autonomia. Lo spazio libero non lo trova delimitando le proprietà, ma vivendo le intenzioni e la libertà del padre. È stato costretto a lasciare lo schema del possesso e della custodia, dell'imitazione e della venerazione devota, per vivere, creativamente, l'arte del vivere, l'arte dello scavare pozzi con coraggio e sempre di nuovo. Ha trovato l'acqua della vita.
• La nuova coscienza: per questo può trovare senso la promessa antica, già pronunciata sul padre e ripetuta anche su di lui (cf. Gn 26,2-5), ma che ora acquista tutto un altro significato. Non è solo parola esterna, gratuita, vaga; essa è parola che conferma la liberazione dalla lotta, la bontà di una ricerca aperta e faticosa, il risultato di uno stile di erede vissuto in modo imprevisto. Tenda, altare, culto indicano la raggiunta stabilità, che è però anzitutto una esperienza interiore, liberata, con spazio ampio, senza angosce e violenze. E per questo può superare il passato - che pure lo aveva segnato, come si vede dall'accenno del v. 27: «Voi mi odiate e mi avete scacciato» - e accertare nella nuova alleanza il riconoscimento per un risultato che aveva cercato in altro modo. Può fare pace, da vero signore, libero e generoso: è maturo, è magnanimo.
• Purificare i pozzi inquinati: si possono vedere tante applicazioni pratiche. Già Origene aveva visto nei filistei rissosi e violenti certi vizi, certe abitudini pigre, certi condizionamenti culturali e morali: e per questo invitava a combatterli, a purificare i pozzi per bere acqua genuina. Possiamo vedervi anche certe situazioni sociali: la cultura dominante che ottura il pozzo della propria identità culturale minore, la prepotenza di certi gruppi che manipolano, occludono, impediscono di usufruire delle risorse tipiche di una certa tradizione. Per cui manca una relazione vitale fra le generazioni, la memoria non è recuperabile, e la vita diviene non vita, pura sottomissione, minaccia fino all'estinzione di ogni identità. Bisogna rendersi conto di questi rischi.
• Dove scavare sempre nuovi pozzi: Isacco si sbagliava, limitandosi a custodire i vecchi pozzi con cura e affetto. Solo esercitando la vera eredità del padre - l'arte di scavare pozzi nuovi, di affrontare la vita con creatività - sarebbe diventato maturo e vero erede del padre. Pensiamo a tante istituzioni religiose, a congregazioni e ordini, che fanno enormi sacrifici per conservare opere ed edifici enormi, illudendosi di vivere così la fedeltà al carisma. Solo esplorando sempre di nuovo, nei deserti dell'emarginazione, delle angosce e delle utopie dei contemporanei, troveranno risposte e acqua viva. La lotta conservatrice sfibra e rende inquieti dentro. Uscendo allo scoperto, sul terreno rischioso del deserto, dell'aridità, si realizzerà la vera fedeltà creativa.
• Altri spazi ampi: perché vivere di litigi e discussioni per conservare opere e servizi ecclesiali sclerotizzati, otturati dalle sfide emergenti, dalle nuove resistenze? Ci sono tanti spazi per una nuova evangelizzazione che sia fedeltà creativa, audacia profetica nei nuovi areopaghi. Non ereditiamo dal passato solo opere fatte e organizzazioni sacre: siamo eredi anche dell'inventiva, dell'audacia, della profezia, dell'arte di dialogare con i segni dei tempi e dei luoghi. Per questo dobbiamo trovare nuove soluzioni adatte ai nuovi contesti. Perché fissarsi nella custodia di case e opere, metodi pastorali ormai fuori dalle esigenze evangeliche attuali? Solo tentando nei deserti del nostro tempo - senza ripetere vecchie risposte date a vecchie questioni - noi troveremo spazio ampio per piantare le tende e ascoltare la benedizione che ci rasserena. E abiteremo questi nuovi orizzonti con autenticità.
Conclusione La conquista e la difesa dell'identità sono obiettivi comuni a ogni essere umano. E forse uno degli aspetti che più impegna singoli e comunità. Facciamo esperienza di conflitti che portano spaccature insanabili, perché quasi sempre le divergenze producono un vincitore e un perdente. Ci mancano le forze per recuperare spazi e avviare processi di mediazione che ridiano senso e valore alla differenza, e ci aiutino a recuperare la libertà. La relazione con l'altro sembra chiederci con urgenza «zone di rispetto», per possibili convivenze sane e senza invasioni. Quali percorsi per una reciprocità che arricchisce? La fatica di Isacco, tutto intento a recuperare i pozzi scavati dal padre Abramo, ci mostra come anche nelle intenzioni migliori ci possono essere dei fatali equivoci. Solo la creatività conduce verso spazi ampi di libertà.
Tracce di contemplazione I pozzi della memoria sono turati, l'acqua della vita tramandata, si è prosciugata. Abbandonarsi alla paura del deserto o riprendere con audacia e fiducia l'itineranza? Sostare nel conflitto fino alla morte o andare oltre? Signore, Tu non offri soluzioni, ci solleciti a camminare e a cercare. Ti immagino, Isacco, hai un po' i geni di tuo padre Abramo, temprato alla vita da pellegrino, nella bisaccia nessuna certezza, solo la speranza di quelle parole udite nella notte: «Io sarò con te!». Sento la tua domanda, Isacco: «Dove Signore? A Gerar? No, c'è già qualcuno che rivendica quel posto! Dove allora? Nella vita lacerata e divisa di Sitna? Dove mai troverò un luogo spazioso e libero, e acqua che sgorga fresca e senza litigi? E una notte stellata, Signore, il popolo ha bisogno di acqua. Signore la cercherò in spazi più liberi, e chiamerò quel luogo Recobòt, perché spazioso». Abbiamo bisogno, Signore, di comprendere che l'acqua della vita è inesauribile, nessuno di noi la possiede totalmente. Isacco: uomo libero, uomo della ricerca insistente, vorremmo somigliarti un po' in questa caparbietà che ti ritrovi nello scavare nuovi pozzi. Anche noi, come te, chiediamo al Dio di tuo padre di indicarci orizzonti nuovi, per concludere nuovi patti di fraternità. Eccoci, in attesa di congedarci nella pace, per condividere l'acqua che zampilla per la vita eterna.
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