Scheda n°1

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Anno Pastorale 2008-2009

Gruppi Giovani

Scheda n. 1

 

IL DENARO:

È UN BENE O UN MALE?

 

 

 

Come va considerato il denaro, la ricchezza?

 

■ II denaro non è ne un bene né un male, da un punto di vista morale. Anzi il denaro in se stesso è una realtà materiale, che, in quanto creata da Dio, dì per sé è buona. Esso è un mezzo di scambio, il cui valore è determinato convenzionalmente in una società.

 

■ È in riferimento alla persona che il denaro può diventare un bene o un male. E ciò dipende da:

• come la persona lo acquisisce: onestamente o rubando o ingannando?;

• come ci si relaziona verso di esso. Esso è un valore e ha un peso grande nella vita umana, ma non è e non deve diventare il valore principale né unico né sommo dell'uomo, che deve evitare in ogni modo di farsi schiavo di esso;

• come lo si usa.

 

 

Quando l'uso del denaro è morale?

 

Quando la persona lo usa:

 

■ con la consapevolezza di essere un amministratore, dandogli il giusto peso e valore: i beni materiali sono mezzi, non sono il fine del vivere dell'uomo;

 

■ per il proprio bene, per quello della propria famiglia, per far del bene al prossimo;

 

■ tenendo conto di vari criteri, quali: le spese obbligate per ciò che è indispensabile, necessario; le esigenze discrezionali; la necessità del risparmio in vista di necessità future (pur confidando nella Provvidenza); i bisogni degli altri, soprattutto di quanti sono addirittura privi del necessario e indispensabile per vivere...;

 

■ rispettando la sua «destinazione universale»: nel senso che i beni di questo mondo devono servire a non far mancare il necessario a ogni persona.

 

 

Quando l'uso del denaro è immorale?

 

È immorale:

 

■ ogni forma di indebita accumulazione dei bei materiali;

 

■ ogni attaccamento ad essi: «L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). «Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21);

 

■ la teoria che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività economica;

 

■ ogni pratica che riduce le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto: tutto ciò asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla diffusione dell'ateismo. «Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24); «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Mc 10,25).

 

 

Quali danni può provocare il denaro?

 

Può provocare gravi danni:

 

All'interno della persona stessa, il denaro può diventare:

• un modo che schiavizza la persona, e ciò avviene quando diventa fine e padrone, anziché essere mezzo e servo;

• uno strumento della volontà di potenza che può far perdere la testa;

• un modo per dare la prevalenza all'avere, prima e più che all'essere della persona;

• un criterio decisivo, o addirittura esclusivo, per determinare il valore di sé e dell'altro: un individuo vale tanto quanto possiede;

condicio sine qua non per la realizzazione della persona in quanto persona;

• una causa di continua insoddisfazione, infelicità, soprattutto quando nella persona prevale la logica dell'accumulo;

• un motivo di molte costrizioni. Si perde la vera libertà quando si è ossessionati dalla sua acquisizione, dal suo possesso, dalla sua custodia, difesa ed amministrazione... tanto da esserne schiavi. Se invece è acquisito e usato onestamente, il denaro può essere fonte di libertà: dona rapidità ed efficacia, consente l'accesso alle cose migliori per sé e per gli altri.

 

Nella relazione con Dio, il denaro può:

• diventare un assoluto, che si sostituisce al vero Dio: si vive un vero e proprio culto del denaro;

• portare al rifiuto di Dio, o a vivere come se Dio non ci fosse.

 

Nel rapporto con gli altri, il denaro può:

• aumentare le distanze tra ricchi e poveri;

• spingere a commettere ingiustizie, furti, frodi;

• diventare uno status symbol, che fa ottenere un riconoscimento e vantaggi nella società;

• portare a rifiutare gli altri. La grande disgrazia del denaro trasformato in idolo è il fatto che separa dagli altri. Più si è ricchi, più si rischia di non vedere e non ascoltare più gli altri. I beni di questo mondo, che dovrebbero essere un segno di comunicazione, di comunione, diventano così un ostacolo, un muro tra noi e gli altri, muro fatto di prestigio, di consumi diversi, di possibilità maggiori...:

• causa di divisioni (anche all'interno della stessa famiglia) e di numerosi confini che turbano l'ordine sociale, nazionale e internazionale.

 

 

Che cosa proibisce il decimo Comandamento: non desiderare la roba d'altri?

 

■ «Il decimo Comandamento proibisce l'avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un'ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali.

 

■ La formula: Non desiderare è come un avvertimento generale che ci spinge a moderare il desiderio e l'avidità delle cose altrui. C'è infatti in noi una latente sete di cupidigia per tutto ciò che non è nostro; sete mai sazia, di cui la Sacra Scrittura scrive: "L'avaro non sarà mai sazio del suo denaro" (Qo 5,9).

 

■ Non si trasgredisce questo Comandamento desiderando ottenere cose che appartengono al prossimo, purché ciò avvenga con giusti mezzi. La catechesi tradizionale indica con realismo coloro che maggiormente devono lottare contro le cupidigie peccaminose e che, dunque, devono con più insistenza essere esortati ad osservare questo Comandamento. Sono, cioè ad esempio, quei commercianti e quegli approvvigionatori di mercati che aspettano la scarsità delle merci e la carestia per trarne un profitto con accaparramenti e speculazioni; quei medici che aspettano con ansia le malattie; quegli avvocati e magistrati desiderosi di cause e di liti...» (CCC, 2536-2537).

 

Come il cristiano deve comportarsi circa il denaro?

 

Il cristiano, oltre a osservare quanto fin qui già detto circa l'acquisizione onesta, l'uso morale e l'atteggiamento corretto che si deve avere verso il denaro, deve:

 

■ avere la consapevolezza che dare del denaro senza donare se stessi è una menzogna. Condividere vuol dire dare il proprio tempo, il proprio potere, le proprie competenze, i doni ricevuti, nella misura dei propri mezzi;

 

■ tener conto di quanto Gesù dice circa l'obolo (due spiccioli) donato al tempio da quella vedova evangelica: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno deposto come offerta del loro superfluo: questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere » (Lc 21,3-4);

 

■ attuare un amore preferenziale per i poveri.

 

 

Perché e come amare i poveri?

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica così risponde a questa domanda (nn. 2443-2449):

 

■ «Dio benedice coloro che soccorrono i poveri e disapprova coloro che se ne disinteressano: «Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle» (Mt 5,42). «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri.

 

■ L'amore per i poveri:

• si ispira al Vangelo delle beatitudini, alla povertà di Gesù e alla sua attenzione per i poveri;

• è anche una delle motivazioni del dovere di lavorare, per far parte dei beni a chi si trova in necessità;

• non riguarda soltanto la povertà materiale, ma anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa;

• è inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico:

«E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!» (Gc 5,1-6).

 

■ Le opere di misericordia sono azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali. Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come pure perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti. Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri è una delle principali testimonianze della carità fraterna. È pure una pratica di giustizia che piace a Dio:

«Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto» (Lc 3,11). «Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, e tutto sarà puro per voi» (Lc 11,41). «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?» (Gc 2,15-16).

 

■ «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Pertanto «quando serviamo i poveri e i malati, serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l'aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù » (Santa Rosa da Lima).

 

 

Che cosa chiede Gesù Cristo dicendo: «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3)?

 

■ «Ai suoi discepoli Gesù chiede di preferire lui a tutto e a tutti, e propone di rinunziare a tutti i loro averi per lui e per il Vangelo. Poco prima della sua passione ha additato loro come esempio la povera vedova di Gerusalemme, la quale, nella sua miseria, ha dato tutto quanto aveva per vivere. Il precetto del distacco dalle ricchezze è vincolante per entrare nel regno dei cieli.

 

■ Tutti i fedeli devono sforzarsi di guidare rettamente i propri affetti, affinché dall'uso delle cose di questo mondo e dall'attaccamento alle ricchezze, contrario allo spirito della povertà evangelica, non siano impediti di tendere alla carità perfetta.

 

■ Le beatitudini rivelano un ordine di felicità e di grazia, di bellezza e di pace. Gesù esalta la gioia dei poveri, ai quali già appartiene il Regno. Il Verbo chiama povertà di spirito l'umiltà volontaria dell'animo umano, e l'Apostolo ci addita come esempio la povertà di Dio quando dice: "Da ricco che era, si è fatto povero per noi " (2Cor 8,9).

 

■ II Signore apostrofa i ricchi perché trovano la loro consolazione nell'abbondanza dei beni. Il superbo cerca la potenza terrena, mentre il povero in spirito cerca il regno dei cieli. L'abbandono alla provvidenza del Padre del cielo libera dall'apprensione per il domani. La fiducia in Dio prepara alla beatitudine dei poveri. Essi vedranno Dio» (CCC, 2544-2547).

 

 

Qual è il rapporto tra morale ed economia?

 

■ Esiste tra le due una necessaria distinzione: l'economia ha proprie leggi nella produzione, distribuzione e consumo di beni materiali e servizi.

 

■ Nello stesso tempo l'economia non prescinde dalla morale, in quanto l'economia ha la sua ragione d'essere nell'uomo, è a servizio di tutta la persona e di tutte le persone. Realizzata secondo i propri metodi, l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell’ordine morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio sull'uomo.

 

■ La Chiesa dà un giudizio morale, in materia economica e sociale, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime. Essa cerca di inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni socio-economiche.

 

 

Quali sono i compiti dell'economia secondo l'etica cristiana?

 

Essi sono molteplici e complementari:

 

Nei confronti della persona, l'economia deve:

• promuovere la dignità della persona umana e il bene di tutta l'umanità;

• tutelare la libertà della persona in campo economico, quale valore fondamentale e diritto inalienabile: il vero capitale da valorizzare, tutelare e su cui investire è l'uomo;

• favorire l'armonizzazione con i principi morali tra la capacità creativa professionale sia del singolo, sia dell'impresa.

 

Nei confronti della società, l'economia deve:

• realizzare la propria crescita non però a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione;

• favorire un'equa disponibilità e distribuzione di beni e di servizi nella trasparenza e nella legalità, anche sviluppando un commercio più equo e solidale;

• praticare la solidarietà all'interno delle famiglie e della società, e fra gli stati;

• avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli, in quanto tutti sono responsabili di tutti;

• ricercare l'incremento progressivo della ricchezza in modo non solo quantitativo ma qualitativo, finalizzando tale progresso alla sviluppo globale e solidale dell'uomo e della società. La legittima ricerca di un equo profitto, i criteri dell'efficienza economica vanno armonizzati con la tutela della dignità della persona. Si ha il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti. Questi, comunque, sono necessari: permettono di realizzare gli investimenti che assicurano l'avvenire delle imprese e garantiscono l'occupazione;

• cercare di eliminare le disuguaglianze e gli squilibri, che causano gravissime situazioni di povertà. A livello internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da provocare un vero «fossato» tra le nazioni. Da una parte vi sono coloro che possiedono e incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i debiti (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 14);

• favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune. La sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato.

 

 

Che cosa c'è alla base di ogni autentica crescita economica della società?

 

■ Alla base di ogni sviluppo autentico e completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé.

 

■ In tal caso lo sviluppo:

• moltiplica i beni materiali e li mette al servizio della persona e della sua libertà;

• riduce la miseria e lo sfruttamento economico;

• fa crescere il rispetto delle identità culturali e l'apertura alla trascendenza.

 

 

Qual è il ruolo dello Stato nei confronti dell'economia, secondo la concezione cristiana?

 

La responsabilità dello Stato è grande e insieme limitata e finalizzata. "L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. [...] Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni di cui si compone la società» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48).

 

 

Come gli uni possono aiutare gli altri?

 

■ «Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.

 

■ L'aiuto diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali, causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi con i paesi meno sviluppati. È necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione. Questi principi vanno applicati in una maniera tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel terzo mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri» (CCC, 2439-2440).

 

NB: Per approfondire l'argomento si leggano i seguenti documenti pontifici:

Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), Terza parte;

Compendio del CCC, Terza parte;

Giovanni Paolo II. Lett. enc. Sollicitudo rei socialis;

Centesimus annus;

Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa.

 

 

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE

NEL CORSO

DELLA PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE

DELLA XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

DEL SINODO DEI VESCOVI

06.10.2008

Cari Fratelli nell'Episcopato,

cari fratelli e sorelle,

all'inizio del nostro Sinodo la Liturgia delle Ore ci propone un brano del grande Salmo 118 sulla Parola di Dio: un elogio di questa sua Parola, espressione della gioia di Israele di poterla conoscere e, in essa, di poter conoscere la sua volontà e il suo volto. Vorrei meditare con voi alcuni versetti di questo brano del Salmo.

Comincia così: «In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita. Ricordiamoci della parola di Gesù che continua questa parola del Salmo: «Cieli e terra passeranno, la mia parola non passerà mai». Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà.

Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente così debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E così questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita.

 

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