Scheda 2

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Confidare

Cristo Risorto nostra speranza

 

Interroghiamoci

Il primo tratto di strada dell'itinerario ha toccato il tema dell'accoglienza di Colui che è la speranza per noi.

Ora si cerca di comprendere come è la risposta da parte di ciascuno, risposta radicata nella vita, provocata dall'oggi.

Il "confidare" non è azione scontata o compiuta una volta per tutte.

  • Cosa significa per te confidare in qualcuno e affidarsi all'altro?

  • Sospettosi, creduloni, fiduciosi. Come riteniamo di essere?

  • In chi confidano e a chi si affidano le persone oggi?

  • Posso dire di fidarmi di Dio? Sono stato a volte deluso?

 

Dialoghiamo col Risorto (ascoltiamo la Parola)

Siamo accomunati dal desiderio di vivere una fede profonda, veramente pilastro dell'esistenza e fondamento della speranza che proprio nella vita del credente prende forma storica.

Non possiamo però capire questo profilo della speranza al di fuori di un cammino di sequela del Signore, al di fuori di una relazione con Lui, come ci mostra la Parola che introduce al tempo ordinario dell’anno liturgico.

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (1,35-51):

"Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare cosi, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbi (che significa maestro) , dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete».

Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo») e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)». Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi». Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Natanaele esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». Gli replicò Natanaele: «Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo»".

 

Confrontiamoci

Tutta la nostra esistenza potrebbe essere riassunta nel suo svolgersi dinamico come un peregrinare da un punto ad un altro, da un'esperienza a un'altra alla ricerca di qualcuno e di qualcosa che meriti veramente la nostra fiducia e di qualcuno che sappia accogliere la nostra fiducia pur nella sua fragilità e nella sua inaffidabilità.

Molteplici rapporti iniziati e poi interrotti, idee condivise e poi mutate, conversioni avvenute nel mezzo del cammin di nostra vita, amicizie profonde e ristoratrici, accanto a rapporti deludenti e solo formali, intessono tutta l'esistenza e stanno a indicare quanto è continua e faticosa questa ricerca il cui approdo non è sicuro.

Siamo fatti per relazioni autentiche e vitali, ma sperimentiamo delusioni cocenti, insieme a scoraggiamenti determinati anche dalla nostra povertà.

Proprio la delicatezza di questa legge profonda della vita spiega la drammaticità del vivere che si esprime in paure, ritrosie, anche aggressività fino all'indifferenza, quali forme di sospetto verso ciò che ci può aver ferito.

Questa dinamica molto umana è la stessa che governa il nostro rapporto con Dio, rispetto al quale o ci fidiamo o sospettiamo: il contrario della "fede" non è, infatti, la "ragione", ma il "sospetto", lo stesso che ha indotto Adamo ed Eva a peccare.

Se il sospetto si acuisce, la vita diviene impossibile, ma se, al contrario, la fede è vissuta come relazione felice con Dio, la vita intera ne viene trasformata.

Forse è questa l'esperienza che hanno fatto i primi discepoli di Gesù, tra i quali Giovanni ricorda anche il dubbioso Natanaele che diviene simbolo di un cammino di fede che apre alla speranza "di vedere i cieli aperti e il Figlio dell'uomo" o alla speranza intesa come "anticipazione dei beni futuri", virtù grazie alla quale "l'oggi si apre all'eternità", "somma di beni finali" promessi e dischiusi da Gesù Cristo con la sua Pasqua.

La fede in Gesù Cristo dona una speranza nuova, offre a ciascuno un principio nuovo di libertà spirituale, che l'orizzonte puramente temporale tenta di restringere e soffocare, un principio che ci fa solleciti a ritrovare anche in questo orizzonte le tracce dell'eterna luce e a farne risaltare la bellezza e la dignità nascoste (Cfr. G. B. Montini, Omelie, 1958).

Sono queste suggestioni significative che esprimono le molteplici forme con le quali la speranza può diventare vita, permettendo alla fede di incarnarsi, di storicizzarsi senza mondanizzarsi, ma al contrario offrendo la massima testimonianza possibile della vita nuova che nasce dalla fede, cioè della vita nell'amore.

Confidare in Gesù ed entrare in relazione con Lui, come ci insegna sempre Giovanni, introduce a una dinamica ecclesiale: i primi discepoli hanno saputo coinvolgere altri.

È questo un richiamo significativo alla dimensione ecclesiale intrinseca all'atto di fede personale, dal quale nasce un'azione condivisa.

È immediato il passaggio al primo articolo dello Statuto dell’Azione Cattolica, che esprime questo senso comunitario intrinseco all'associarsi.

"L'Azione Cattolica Italiana è un'Associazione di laici che si impegnano liberamente, in forma comunitaria ed organica ed in diretta collaborazione con la gerarchia, per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa".

Questo legame determina il plusvalore dell'essere associati per vivere ciò che è di tutti, comune, eppure mai scontato. Il Progetto Formativo sottolinea che l'esperienza associativa è una scuola di grande valore, da non ridurre a una sola dimensione organizzativa, capace invece di conservare il legame tra le persone in una tensione comune che mira alla corresponsabilità, alla comunione passando per una forma partecipativa (PF, n. 6 p. 16).

 

Meditiamo e preghiamo

2Cor 1,8-11: "Fiducia in Dio che risuscita dai morti".

8 Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. 9 Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. 10 Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, 11 grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinchè per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.

 

2Cor 3,4-6: "La nostra capacità viene da Dio".

4 Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. 5 Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, 6 che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito da vita.

 

CONCILIO VATICANO II

Gaudium et Spes, n. 12: La dignità della persona umana

L'uomo ad immagine di Dio. Credenti e non credenti sono generalmente d'accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all'uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos'è l'uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie ed anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal modo nel dubbio e nell'angoscia. Queste difficoltà la Chiesa le sente profondamente e ad esse può dare una risposta che le viene dall'insegnamento della divina Rivelazione, risposta che descrive la vera condizione dell'uomo, dà una ragione delle sue miserie, ma in cui possono al tempo stesso essere giustamente riconosciute la sua dignità e vocazione. La Bibbia, infatti, insegna che l'uomo è stato creato «ad immagine di Dio» capace di conoscere e di amare il suo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio. «Che cosa è l'uomo, che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo che tu ti prenda cura di lui? L'hai fatto di poco inferiore agli angeli, l'hai coronato di gloria e di onore, e l'hai costituito sopra le opere delle tue mani. Tutto hai sottoposto ai suoi piedi» (Sal 8,5). Ma Dio non creò l'uomo lasciandolo solo: fin da principio «uomo e donna li creò» (Gen 1,27) e la loro unione costituisce la prima forma di comunione di persone. L'uomo, infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti. Perciò Iddio, ancora come si legge nella Bibbia, vide «tutte quante le cose che aveva fatte, ed erano buone assai» (Gen 1,31).

 

CONCILIO VATICANO II

Gaudium et Spes, n. 16: Dignità della coscienza morale

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

 

CONCILIO VATICANO II

Gaudium et Spes, n. 21: Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo

La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato, con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi. Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato. A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile. Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo. Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle. Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri. Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi. Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo e si presentano quale segno di unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto. La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino. Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: «Ci hai fatto per te», o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te».

 

In famiglia

Affidarsi insieme

I legami familiari sono i più profondi e importanti che ciascuno vive e rappresentano il linguaggio base con il quale impariamo ad amare o ad avere paura, quel linguaggio che influisce sul nostro modo di confidare o diffidare nelle relazioni umane.

  • Qual è il legame tra questa intensa realtà umana e la vita di fede?

  • Nei contesti più diversi, nelle situazioni positive così come in quelle difficili, come il cammino di fede può incidere sulla vita familiare?

  • Come la vita familiare influisce sul cammino di fede?

  • Come le relazioni familiari ci hanno introdotto alla dimensione della confidenza?

  • Come la fede ci aiuta continuamente a rinnovare l'esperienza della fiducia e dell'accoglienza dei nostri cari?

Un confronto su questo tema potrebbe mostrare l'importanza della nostra appartenenza alla famiglia che ci ha generato, o di quella che ci siamo formati, nel plasmare l'originalità del nostro cammino spirituale, della nostra ricerca di Dio.

Anzi potrebbe anche emergere la persuasione che il nostro credere è ciò che ci permette di continuare a voler bene, soprattutto a volere "il bene" per i nostri cari, a comprendere il loro amore per noi.

La fede personale potrebbe essere colta come possibilità di relazioni familiari aperte, franche, capaci di attraversare anche le difficoltà, rispetto a cui la fede si fa speranza di vita nuova.

La famiglia è guardata dalla Chiesa sia come primo luogo di accoglienza della vita e di annuncio del Vangelo, sia come realtà bisognosa di attenzioni, di cure in un tempo storico che la espone a forti lacerazioni e tensioni.

Alla base di queste considerazioni che guardano alla famiglia o come soggetto o come oggetto della pastorale sta il convincimento che essa è il luogo originario fondamentale per ciascun individuo.

Più propriamente potremmo, con Paolo VI, definire la famiglia come il nostro primo "luogo teologico", cioè luogo di rivelazione di Dio e di possibile testimonianza della sua misericordia per tutti i suoi componenti: figli, genitori, coniugi, nonni.

In questa direzione l'esperienza del pregare in famiglia o anche pregare per i nostri familiari o l'insegnare a pregare ai più piccoli da parte dei nonni, può assumere le caratteristiche di un affidamento profondo e quotidiano, vera scuola di crescita nella relazione con Dio che, se invocato con tutto il cuore, risponde.

Sarebbe utile approfondire in un confronto aperto il significato della propria testimonianza di fede nella vita familiare, con l'intenzione di prendere coscienza delle tante possibilità di bene che il nostro credere può avere per i nostri cari, anche per quelli che non condividono la fede.

Pure il dialogo sul credere a partire dall'esperienza familiare può essere un modo per aiutare la famiglia.

Nelle famiglie dove sono presenti uno o più nonni, grande significato assumerà il “racconto" che essi faranno della loro fede, insieme a quell'atteggiamento, tipico di molti anziani, di concreto affidamento a Dio della loro vita e dei loro giorni.

Inoltre può essere questo un modo per vivere alcuni aspetti dell'itinerario che l'AC offre per le famiglie, il Progetto Nazareth, come la possibilità di vivere alcuni momenti di condivisione tra famiglie al fine di aiutarsi.

 

In comunità

Contemplativi itineranti

Ogni mattino la speranza si alza prima del sole: questo aforisma nella sua brevità e semplicità ci fa capire quanto sia bello e importante vivere in compagnia della speranza, cioè poter confidare in qualcuno o in qualcosa che dia senso alla nostra vita.

Oggi è più facile incontrare donne e uomini che vivono in compagnia di ansia, angoscia, tristezza.

Un cristiano però sa di avere una grande speranza, una speranza che non delude, sa di poter confidare in Dio, un Dio che ci offre continuamente e costantemente la grazia del perdono, che ci permette di continuare, rigenerati, il nostro cammino nonostante le inevitabili difficoltà e gli errori.

Chiediamoci se la nostra comunità è un luogo in cui si respira quest'aria.

In fondo, il cuore dei nostri discorsi è proprio questo.

Leggiamo nel Progetto Formativo dell'AC: “Una vita convertita è una vita radicalmente fedele al Vangelo nella varietà delle ordinarie situazioni dell'esistenza… L'incontro con Cristo cambia la vita. Nessuno di noi però ha raggiunto il Cristo da solo... L'incontro vero col Signore si rende possibile attraverso la mediazione della Chiesa: la sua liturgia, le sue molte vocazioni, la sua tradizione. ... Allora è da e con queste premesse che ci mettiamo in gioco”.

Probabilmente è necessario anzi indispensabile che il gruppo adulti di AC si faccia carico di essere lievito capace di far fermentare la pasta.

Si tratta di curare la formazione spirituale non solo degli aderenti, ma anche degli altri, offrendo occasioni qualificate di spiritualità a tutta la comunità proponendo momenti comunitari di preghiera, di ascolto della Parola di Dio, giornate di spiritualità, celebrazioni comunitarie del sacramento della riconciliazione.

Quali iniziative parrocchiali nell'ambito spirituale potrebbero essere meglio curate e offerte a chi ne avesse bisogno?

È una scommessa tanto importante quanto irrinunciabile: dobbiamo ripartire da Dio recuperando la dimensione contemplativa della vita.

Fede, speranza e carità, le tre virtù teologali sono doni della grazia che ci permettono di partecipare alla vita trinitaria e di vivere la figliolanza per adozione e risultano tra loro fortemente collegate.

Ciò che manca oggi alle donne e agli uomini è l'orizzonte: la fede e la speranza alimentate da un serio cammino spirituale aiutano a ritrovarlo.

Ma non è facile, e soprattutto le proposte serie non si improvvisano.

Bisogna avere molta pazienza, costanza e coraggio.

A volte - ed anche nella nostra comunità - possono essere proposte iniziative anche belle che però spesso lasciano il tempo che trovano perché sono fine a se stesse e non sono rivolte all'essenziale, non aiutano a ritrovare speranza e ad avere confidenza con Gesù risorto.

Basterebbe pensare alle Eucaristie domenicali: ci sentiamo veramente convocati dal Signore per celebrare la Pasqua?

Forse dobbiamo ricominciare da questo appuntamento fondamentale per riscoprire che la fede e la vita camminano insieme.

Andiamo a Messa per rendere grazie a Dio e usciamo dalla chiesa pronti a servire i fratelli?

Confidare in Gesù Risorto è fondamento della speranza che a sua volta si esprime nella carità operosa di chi ama senza paura, fino alla fine, lasciandosi conformare a Gesù crocifisso per noi e risorto, "per morire con Lui e risorgere con Lui".

 

In società

La riscoperta della militanza

Gesù nei discorsi di addio raccolti dall'evangelista Giovanni (Gv 17), indica ai suoi discepoli la condizione paradossale di chi è "nel" mondo, ma non "del" mondo.

Uno dei significati di questo monito evangelico è quello di ricordarci quanto importante sia vivere pienamente immersi nelle realtà che fanno la nostra vita, senza però mai elevarle ad "assoluto".

È il caso dell'esperienza politica: siamo chiamati a darle tutta l'importanza che merita, perché è attraverso di essa che è davvero possibile realizzare il bene comune, e tuttavia occorre che ci ricordiamo anche la sua parzialità, la sua radicale incapacità a rispondere alle domande di senso e di felicità di noi uomini.

In quest'ottica - per esempio - la storia passata e recente ci mostra quanto sia pericoloso confidare in un "salvatore", in un "uomo della Provvidenza", in un liberatore.

Già Mazzini ricordava, a proposito di comportamenti di politici: "Più della servitù, temo la libertà recata in dono".

 

Oggi più che mai è tempo di capire che la libertà, la giustizia, la democrazia richiedono un'azione collettiva, richiedono d'essere frutto di percorsi di partecipazione, grazie ai quali le coscienze dei singoli, dei gruppi, delle comunità possono maturare verso una pienezza di responsabilità.

 

Quanta fatica, purtroppo, facciamo nel cogliere la bellezza di una "militanza" che andrebbe invece generosamente recuperata nei nostri ambiti di vita:

  • nelle organizzazioni sindacali, perché i diritti e i doveri di chi lavora siano difesi;

  • nella scuola, perché crediamo fondamentale educare ed istruire i nostri giovani;

  • nel volontariato, perché non ci dimentichiamo che "i poveri li avremo sempre con noi";

  • nelle attività culturali, perché crediamo nella forza del pensiero e del confronto per far crescere una comunità civile;

  • nel prepolitico e nel sociale, perché sono la strada per sperimentare forme nuove di convivenza in una collettività;

  • nelle amministrazioni comunali, perché il bene della città passa direttamente dal modo in cui si gestisce questo potere.

 

In vari articoli la nostra Costituzione (17-19.21.49) sottolinea l'importanza di associarsi liberamente in tutti i campi dell'esperienza umana.

 

Ancora oggi quello di “fare gruppo" è un valido modo per vivere la solidarietà e per mostrare con i fatti - non solo a parole - fiducia nelle potenzialità che gli uomini hanno di costruirsi con libertà la propria Storia.

Come ci ricordava un autore, non culliamoci nell'alibi del “tanto non serve a niente": "Voi dite che non serve, perché nulla cambierà, e sempre l'ingiustizia nel mondo rimarrà. Ma noi diciamo: si deve marciare. Senza paura e nella carità (Bertold Brecht, Santa Giovanna dei Macelli).

Senza timori, perché Gesù ha detto: "Io ho vinto il mondo" (Gv 16,33b), e nella carità, perché "tutte le volte che avrete fatto ciò a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me" (Mt 25,40).

Questa fede e questa carità divengono segno concreto di speranza dentro i luoghi dove decidiamo di impegnarci.

L'esperienza di fede in Parrocchia in che modo è stata "palestra" per ciascuno di noi per imparare ad agire insieme?

Don Milani diceva rispetto a un problema che "sortirne insieme" è risolverlo politicamente.

Siamo d'accordo in teoria e anche nella pratica, oppure no?

Proprio alla luce dell'importanza dell'essere Comunità, della riscoperta della "militanza" come occasione per un servizio più ampio, più condiviso, come occasione di esercizio di democrazia, il gruppo di formazione può ideare un'iniziativa di confronto e dialogo con altre realtà associative del territorio (realtà ecclesiali, realtà sindacali, associazioni di volontariato) aperte al servizio al bene comune, per poter insieme confrontarsi sull'importanza dell'appartenenza associativa da rilanciare e da far conoscere anche ai più giovani come scommessa per una cittadinanza nuova.

Se il gruppo di formazione ha vissuto quanto indicato nella parte "in società" della scheda precedente, può chiamare a raccolta le persone più sensibili per sottoporre i problemi precedentemente individuati e per vivere insieme qualche ulteriore attenzione.

 

Per saperne di più

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