Ritiro Avvento

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GRUPPI FAMIGLIA

RITIRO D’AVVENTO

venerdì 8 dicembre 2006

 

IL MISTERO DELLA CHIESA UNA

 

PROGRAMMA

 

ore   8.45     Accoglienza - Caffè (Salone comunitario)

ore   9.15     Lodi Mattutine (Auditorium)

ore   9.45     Lectio: Spunti di Riflessione (Auditorium)

ore 11.00    Santo Rosario (Chiesa)

ore 11.30    Santa Messa (Chiesa)

ore 12.30    Meditatio: Meditazione personale (Locali Parrocchiali)

ore 13.30    Pranzo (Salone Comunitario)

ore 14.30    Ora Sesta (Auditorium)

ore 14.45    Collatio: Verifica comunitaria (Auditorium)

ore 16.00    Oratio: Adorazione Eucaristica (Chiesa)

ore 16.30    Vespri Solenni con Benedizione Eucaristica (Chiesa)

ore 17.15    Conclusione

 

IL MISTERO DELLA CHIESA

 

«Quale gioia quando mi dissero: andremo alla casa del Signore» (Sal 122,1).

È davvero una gioia grande trovarci insieme per intrattenerci sui misteri di Dio, di Cristo e della Chiesa.

«Signore, aprici il cuore e le orecchie, affinché possiamo vedere e comprendere la profondità del mistero della tua Chiesa, Chiesa che siamo noi per tua grazia e per il dono del tuo Spirito».

La nostra Diocesi sta vivendo in questi anni il Sinodo, che è una esperienza speciale di Chiesa, e la nostra Parrocchia, in questo periodo, sta vivendo un momento di tensione con il Vescovo ed alcuni sacerdoti, proprio per questo vogliamo domandarci chi siamo noi come Chiesa.

Sono assai numerose le immagini della Chiesa richiamate dal Concilio Vaticano II nella Lumen Gentium: ovile, gregge, campo, podere di Dio, edificio di Dio tempio santo, città santa, casa di Dio, nuova Gerusalemme, Gerusalemme celeste, madre nostra, sposa dell'Agnello, corpo di Cristo, corpo mistico, popolo di Dio.

È un mare, un oceano così vasto la Chiesa, che non potremo mai esaurire le riflessioni su di essa.

Ho quindi pensato di spiegare, in parole molto semplici, due definizioni: il mistero della Chiesa; la Chiesa è una.

 

La Chiesa è mistero perché è insieme visibile e invisibile

1. La Chiesa è mistero anzitutto perché è insieme visibile e invisibile.

Proviamo ad avvicinarci gradualmente a tale risposta cominciando col chiederci: a che cosa penso quando sento il termine "Chiesa"?

A che cosa pensa la gente quando sente questa parola?

Qualcuno pensa probabilmente all'edificio in cui ci si reca per la messa domenicale.

L'opinione pubblica, invece, intende spesso, con "Chiesa", la gerarchia - papa, vescovi, preti -; infatti, quanto i giornali o la televisione esprimono che cosa dice la Chiesa, la gente traduce subito così: che cosa ha detto il papa, che cosa hanno detto i vescovi, i preti.

Dunque si confonde la Chiesa con l'autorità ecclesiastica.

C'è dì più. Quando ci chiediamo: "che cosa vuole la Chiesa, che cosa fa la Chiesa?" dobbiamo ammettere di alludere a che cosa fa il Vaticano o la Chiesa come istituzione, organizzazione, struttura.

E riteniamo di essere nel giusto pensandola come una struttura culturale, sociale, finanziaria, magari con interferenze politiche. Da qui nascono poi le critiche, le repulsioni, le ribellioni, le insofferenze, i disagi verso la Chiesa, i suoi ritardi e i suoi difetti, al punto che qualcuno giunge ad affermare: sì a Cristo, no alla Chiesa.

Come mai nascono tanti sentimenti negativi e tante confusioni?

Nascono dalla misconoscenza di che cosa è veramente la Chiesa, per cui - ahimè - la parola "Chiesa", sulla bocca della gente e dell'opinione pubblica, non corrisponde quasi mai a ciò che è: l'insieme dei credenti in Gesù Cristo, l'assemblea di coloro che credono, sperano, amano.

Questa è, anzitutto, la Chiesa.

Inoltre, anche quando consideriamo la Chiesa in senso giusto - assemblea di tutti i credenti - rimaniamo probabilmente bloccati in un'immagine puramente visibile: la Chiesa come qualcosa di fotografabile, di riproducibile in televisione, di filmabile (per esempio, se la televisione trasmette una messa del papa in piazza San Pietro, diciamo subito: ecco la Chiesa visibile, l'assemblea dei fedeli rappresentata al massimo grado, col papa, i cardinali, i vescovi, i preti, i diaconi, i religiosi e le religiose, i laici a centinaia di migliaia).

In realtà, la Chiesa non è ancora, in tal modo, descritta bene, perché nella sua pienezza non si può fotografare né registrare né filmare, se non in parte.

La Chiesa è mistero, un mistero che non appare del tutto agli occhi del corpo, un mistero profondo: essa è nella storia, ma al tempo stesso la trascende, è al di là, è fuori.

Soltanto con gli occhi della fede la si può scorgere nella sua dimensione visibile e contemporaneamente nella sua dimensione spirituale.

Essa è nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibile, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina.

Si tratta, apparentemente, di caratteristiche contrastanti, che però mostrano come il mistero della Chiesa non può essere indicato con il dito o colto con gli occhi, bensì va penetrato con gli occhi della fede, proprio perché è più grande del mondo e di tutte le cose visibili.

Tutto quello che nella Chiesa è umano, è ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile.

Nella Chiesa è quindi più importante ciò che non si vede di ciò che si vede e, d'altra parte, ciò che si vede è ordinato e subordinato a ciò che non si vede.

2. Trovo conferma a quanto ho espresso in un brano del Vangelo secondo Matteo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).

La Chiesa è invincibile, afferma Gesù. Dal momento però che nessuna realtà umana è indistruttibile, vuol dire che la Chiesa non è semplicemente una società e una realtà umana.

Continua Gesù: «Ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 19).

C'è una corrispondenza misteriosa tra l'umano e il divino; quanto avviene sulla terra ha ripercussione presso Dio, c'è una simbiosi, un'unità di vita tra umano e divino, tra terreno e celeste, che forma il mistero della Chiesa.

Concludendo: la Chiesa ha sempre un duplice aspetto: uno esterno e uno interno, uno visibile e uno invisibile; per questo è molto difficile coglierla nella sua vera essenza.

 

La Chiesa è mistero perché è corpo di Cristo

In una seconda riflessione mi fermo su un'immagine di Chiesa particolarmente sottolineata dal Concilio (Lumen gentium, 1): la Chiesa è corpo di Cristo, la Chiesa è corpo mistico, cioè corpo misterioso.

Che cosa significa che la Chiesa è corpo di Cristo, che noi siamo corpo di Cristo?

Possiamo facilmente verificarlo: basta pensare a ciò che avviene quando facciamo la comunione.

Ci nutriamo del corpo glorioso di Cristo: il corpo di Gesù nella pienezza della sua potenza di gloria, della forza dello Spirito santo, viene in noi trasformandoci in sé, così che diventiamo un solo corpo in lui. «il pane che noi spezziamo nell'eucaristia non è forse comunione con il corpo di Cristo?» - quindi fa di noi una cosa sola con il suo corpo - «Poiché c'è un solo pane [pane - corpo di Cristo], noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10, 16-17).

Tutti noi diventiamo parte viva di Gesù e questo "noi" è, appunto, la Chiesa, il mistero della Chiesa: il Cristo glorioso che ci fa una cosa sola con e in lui. «Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (ICor 12, 12). Il nostro contatto con Cristo, che ha la sua pienezza nella eucaristia, comincia già fin dal battesimo mediante il quale diventiamo Chiesa, entriamo nel corpo di Cristo.

 

Suggerimenti per un esame di coscienza

In un terzo momento ci domandiamo: che cosa dice il fatto che la Chiesa è mistero (perché è insieme visibile e invisibile, perché è corpo di Cristo e noi siamo corpo di Cristo) al nostro modo di vedere e di vivere la Chiesa?

Offro una constatazione e poi do tre raccomandazioni.

 

1. La Chiesa, così come l'abbiamo evocata, è qualcosa di straordinario, di splendido, di sublime.

Essere nella Chiesa equivale a essere in contatto personale, strettissimo, unificante, con Gesù e con tutti coloro, in terra e in cielo, a cominciare da Maria e dai santi, che sono in Gesù; quindi è già l'inizio della Gerusalemme celeste.

Per questo essere nella Chiesa ci riempie di gioia, di entusiasmo, di fiducia, ci fa sentire a casa, in famiglia, in patria, nella pienezza di Dio.

 

2. Prima raccomandazione o primo imperativo. Si tratta di un imperativo negativo: non dobbiamo più guardare la Chiesa con occhi miopi, ma con gli occhi della fede; ciascuno di noi deve guardare a sé e agli altri con gli occhi della fede, per vedere in sé e negli altri la gloria di Cristo - che in noi già risplende - con gratitudine e con gioia.

Così san Paolo leggeva la Chiesa, così la leggeva il Nuovo Testamento; e ciò spiega il grande entusiasmo, il grande ottimismo della prima comunità dei credenti in un mondo pagano e ateo: vedevano in se stessi e in coloro che giungevano alla fede lo straordinario miracolo del corpo di Cristo, che si allarga a misura della storia, nella pienezza della gloria del Risorto comunicata fin da ora a ciascuna creatura.

 

3. Secondo imperativo: dobbiamo dunque superare la lamentosità, cioè quell'atteggiamento che coglie solo l'istituzione esteriore della Chiesa, con tutte le sue pesantezze, le sue incoerenze, i suoi peccati (i peccati delle sue membra che siamo noi), le sue lentezze.

Scriveva Paolo VI nel Testamento spirituale: «Vorrei comprendere la Chiesa nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità, corpo mistico di Cristo».

La zavorra della Chiesa non è la nave: la nave è quella gloriosa, nella quale lo Spirito santo soffia potentemente per portare coloro che credono verso la Gerusalemme celeste, verso la gloria del regno di Dio.

Non dobbiamo guardare con occhi miopi soltanto i fenomeni negativi (che sono tanti, e tutti li conosciamo e potremmo anzi farne un elenco), non dobbiamo guardare soltanto i fenomeni negativi del mare in tempesta che circonda questa nave gloriosa e talora ci spaventa (l'avanzare del secolarismo, la perdita di prestigio della Chiesa nella società e così via): è molto più vero e molto più grande ciò che è glorioso nella Chiesa come corpo di Cristo e come presenza di Dio indistruttibile e invincibile nella storia degli uomini.

Quindi superare la lamentosità, la grettezza, la piccineria.

 

4. Se dobbiamo superare la lamentosità, non dobbiamo però distaccarci dalla sofferenza e dal retto giudizio sulle cose che, nella Chiesa, non vanno. Proprio perché contempliamo con gli occhi della fede la gloria di Cristo nel suo corpo, ci accorgiamo, con dolore, di quanto l'aspetto visibile della Chiesa lasci risplendere solo in parte tale gloria e quindi, giustamente, soffriamo e gemiamo. E dobbiamo pregare: «Signore, venga il tuo regno, sia santificato il tuo nome!».

Ma, insieme alla preghiera, siamo chiamati a impegnarci affinché, nella nostra vita personale e nei nostri atteggiamenti, risplenda qualcosa del fulgore della gloria di Gesù.

È giusto soffrire per la Chiesa, e tuttavia tale sofferenza {che non è rassegnazione, vergogna, frustrazione) genera la verità della Chiesa, genera quell'apertura di cuore nella quale si rivela la potenza dello Spirito santo.

 

Conclusione

Termino facendo mie alcune altre parole del Testamento spirituale di Paolo VI, sulla Chiesa: «Vorrei abbracciarla questa Chiesa, salutarla, amarla in ogni essere che la compone».

Durante la meditazione personale e l’adorazione, mettiamo a fuoco il volto delle persone con cui abbiamo delle difficoltà e delle controversie, e nel mistero della Chiesa animata dallo Spirito Santo, preghiamo intensamente per queste persone, sciogliendo le difficoltà che attanagliano il nostro cuore.

Sentiamoci dunque tutti in comunione con tutta la Chiesa, con l’unica Chiesa, mistero e corpo del Signore Gesù.

 

LA CHIESA È UNA

 

Una domanda iniziale

Volendo riflettere sul fatto che la Chiesa è una, ci chiediamo: quando siamo stati colpiti o scandalizzati da una Chiesa che è poco "una"?

Forse ci vengono alla mente circostanze più o meno dolorose, più o meno sofferte.

In ogni litigio, in ogni dissenso che avviene nella comunità cristiana, in ogni tensione e in ogni divisione siamo rimasti turbati perché non abbiamo incontrato quel volto della Chiesa che desidereremmo contemplare.

Il turbamento cresce se allarghiamo lo sguardo a tutte le Chiese che oggi chiamiamo sorelle separate, cioè le Chiese ortodosse e protestanti. Sono oltre duecento le confessioni cristiane che appartengono al Consiglio ecumenico delle Chiese (con sede a Ginevra), e professano che la Chiesa è una!

Che la Chiesa sia poco una è un vero dramma, fortemente avvertito dal Concilio Vaticano II.

E il Decreto conciliare Unitatis Redintegratio (Il ristabilimento dell'unità) comincia proprio con questa sofferta constatazione:

 «Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo; tutte invero asseriscono di essere discepole del Signore, ma hanno diverse sentenze e camminano per vie diverse, come se Cristo fosse diviso».

Parole durissime, che causano una ferita al cuore quando ci pensiamo. E continua:

«Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del vangelo ad ogni creatura» (n. 1).

Perché, dunque, tante divisioni?

Soprattutto, che cosa siamo chiamati a fare?

Posto così il problema angoscioso, cerchiamo di chiarirlo con pazienza e con calma attraverso tre successivi momenti:

- Qual è l'origine della designazione "la Chiesa è una"?

- Quali sono i fondamenti biblici e teologici dell'unità della Chiesa?

- Qual è il compito che deriva per noi?

 

1. L'origine della designazione: la Chiesa è una

• Le formule più antiche della fede non facevano specifico riferimento alla connotazione dell'unità.

Per esempio, il Credo del Concilio di Nicea, del 325, dice semplicemente: «Credo nello Spirito santo», e con tale dizione abbraccia tutta l'opera dello Spirito, compresa la Chiesa.

• D'altra parte, la designazione di "santa Chiesa" ricorre nei testi assai prima di quella di una.

• A partire dal Concilio di Costantinopoli, del 381, viene codificata l'espressione quadruplice che è giunta fino a noi: Credo in una santa cattolica e apostolica Chiesa.

Quindi la determinazione una è entrata nel Simbolo (Il Credo) nel IV secolo.

Ci domandiamo: come mai così tardi?

Probabilmente perché all'inizio era ovvia, non si riteneva necessario sottolinearla.

Ma allorché si sono profilate all'orizzonte scissioni e divisioni, quando gruppi diversi pretendevano di essere ciascuno la Chiesa di Cristo, è nato il bisogno di proclamare che la Chiesa di Cristo è una sola.

Fin dall'antichità, perciò, le divisioni affliggevano la Chiesa.

 

2. I fondamenti biblici e teologici dell'unità della Chiesa

 a. Fondamenti biblici

È importante affrontare il problema scrutando i testi della Bibbia.

Il brano più ampio in proposito lo troviamo nella Lettera di san Paolo agli Efesini:

 «Vi esorto io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace.

Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.

Ma che cosa significa la parola "ascese", se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?

Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.

È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore.

Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef4, 1-16).

• Questa densa pagina dell'apostolo contiene anzitutto un'esortazione; prima di essere un'esposizione teologica, è un'accorata preghiera di Paolo alle sue comunità.

«Vi esorto io, il prigioniero nel Signore»: io che sono in catene vi esorto con le lacrime agli occhi a comportarvi da discepoli di Gesù.

Vi chiedo di superare le vostre divisioni mediante la mansuetudine, la pazienza, l'umiltà: virtù che permettono, appunto, di stare uniti, di non litigare, di sopportarvi «cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace».

In altre parole: non tradite l'unità che lo Spirito santo ha fatto in voi.

• Passa quindi a esprimere teologicamente le radici dell'unità, le sette realtà che fanno la Chiesa una:

un solo corpo (il corpo di Cristo che riceviamo nell'eucaristia e che ci fa una cosa sola, ci rende il corpo della Chiesa che è una sola cosa con Gesù);

un solo Spirito (lo Spirito santo che è l'anima della Chiesa, l'ha generata e continuamente la ricrea);

una sola speranza (tutti abbiamo come meta la vita eterna);

un solo Signore, Cristo Gesù;

una sola fede (la professione che Cristo crocifisso è risorto);

un solo battesimo nel quale tutti sono battezzati;

un solo Dio, Padre di tutti.

Queste sette realtà sono le radici, i fondamenti dell'unità della Chiesa.

Paolo conclude la pericope con le parole «Dio Padre di tutti», quasi a dire: non custodire l'unità della Chiesa equivale a vanificare la fede nel Dio unico.

b. Fondamenti teologici

1. Se volessimo cogliere il fondamento teologico ultimo di tale unità, dovremmo contemplare il mistero della Trinità.

Infatti, parlare della Chiesa significa parlare della Trinità di Dio, come afferma il Vaticano II citando i Padri della Chiesa: «La Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo"» (Lumen Gentium, 4).

È dunque l'unità della Trinità che fa la Chiesa una.

Questa affermazione ha un'importanza pratica rilevante.

La nostra unità non viene dal consenso umano, dal nostro sforzo di andare d'accordo, dalle nostre tecniche psicologiche o manageriali per vivere bene i nostri rapporti.

La nostra unità è antecedente al consenso umano, perché viene dall'alto: da Dio, dallo Spirito, dalla fede, dal battesimo.

Noi siamo unità grazie a Dio e lo siamo malgrado tanti problemi e tante divisioni; le divisioni e le tensioni dipendono dalle nostre colpe, e tuttavia dobbiamo continuamente ritornare a Dio Padre per gustare la gioia dell'unità.

D'altra parte, tale unità che viene dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito santo, non si fonda sull'uniformità, ma è un'unità che vivifica e accoglie le molteplicità linguistiche, disciplinari, liturgiche, dando loro l'unico riferimento: Cristo Gesù, la fede, il battesimo, l'eucaristia, la successione apostolica.

È dunque un'unità che si esprime nella molteplicità, proprio in analogia con la Trinità.

La caratteristica dell'unità, che dobbiamo custodire gelosamente perché è delicata e fragile, corrisponde a quella caratteristica della cattolicità.

Essendo per tutti i popoli (cattolica), la Chiesa è una sola per tutti: non c'è una Chiesa per gli europei, una per i cinesi, una per gli australiani, ma è la stessa ovunque.

Non ci sono Chiese nazionali, autocefale, indipendenti: tutte sono diverse, ma tutte sono in comunione profonda di fede e di amore tra loro e nella visibile unità del Papa.

C'è dunque un mistero nella Chiesa una, c'è una ricchezza, una vita multiforme che non esclude le diversità, bensì le riconcilia affinché si accettino, si conoscano, si arricchiscano mutuamente.

 

2. Un'altra icona fondamentale, che ci permette di comprendere l'unità della Chiesa, è l'eucaristia.

E noi ci siamo riuniti qui nel Complesso Parrocchiale del Sacro Cuore che ha il suo centro (o cuore) nella Chiesa, proprio perché ci troviamo attorno all'unico altare dove si celebra l'eucaristia, che è il nostro vincolo concreto di unità.

Come l'ostia consacrata, presente in luoghi molteplici, è sempre lo stesso Signore, così la Chiesa, presente ovunque si fa eucaristia, è una, santa, cattolica, apostolica.

Noi, nella Chiesa Parrocchiale, in comunione con il Vescovo, professiamo di essere una particola della Chiesa una, della Chiesa particolare, della Chiesa salernitana, in comunione con il papa e con tutte le Chiese del mondo, in unità; però con le nostre caratteristiche di storia, dì tradizione religiosa.

La Chiesa (come la Cattedrale per la Diocesi) è il simbolo concreto dell'unità della nostra Comunità; e noi, che ci nutriamo di questo corpo del Signore, siamo chiamati ad amarci, ad aiutarci, a essere una sola famiglia nella realtà della nostra Parrocchia e della nostra diocesi.

Siamo chiamati a vivere e a esprimere l'unità, in particolare, nel Sinodo diocesano dal quale deve trapelare, trasparire, risplendere l'unità della nostra Chiesa nella molteplicità delle persone e delle realtà che la compongono.

 

3. Il nostro compito per l'unità

Dal momento che l'unità esiste, ma insieme è un'unità minacciata, sofferente, rotta, quali sono i passi che dobbiamo compiere per camminare, sempre e comunque, verso l'unità?

Propongo quattro passi che ciascuno di noi, davanti a Gesù, dovrebbe voler fare propri per servire la Chiesa una.

1. In un primo passo guardiamo a tutti i fratelli e le sorelle delle Chiese ortodosse, protestanti, anglicane, evangeliche, cattoliche.

Guardiamo a tutti e riconosciamo che il nostro compito è anzitutto di sottolineare ciò che ci unisce, non ciò che ci divide.

E sono davvero molte le cose che ci uniscono e fanno di noi una certa unità, pur se imperfetta:

ci unisce l'adorazione all'unico Dio Trinità d'Amore;

ci unisce la fede in Cristo Gesù morto e risorto;

ci unisce il battesimo;

ci unisce la Parola della Sacra Scrittura.

Quanto più profondamente coltiviamo queste realtà, tanto più viviamo l'unione con tutti i cristiani sparsi nel mondo e affrettiamo il tempo di un'unione perfetta e completa.

2. Un secondo passo, che ci tocca da vicino: dobbiamo tendere, in ogni piccolo gesto o atteggiamento, all'unità, a partire dalla famiglia, dalla parrocchia, dalla nostra forania, dal nostro gruppo.

Tendere a trovare il motivo che ci fa lavorare insieme, non le ragioni per separarci, contrapporci, ritirarci.

Per questo sono virtù molto importanti quelle raccomandate da Paolo nella Lettera agli Efesini: l'umiltà, la mansuetudine, la pazienza, la sopportazione.

Dobbiamo essere pronti a compiere dei sacrifici per l'unità.

Essa è sì un dono dall'alto, però viene da noi ricevuta nella misura in cui sacrifichiamo qualcosa del nostro puntiglio, del nostro punto di vista, del nostro orgoglio, della nostra etichetta, della nostra banderuola, del nostro piccolo programma.

Ciò che conta è convergere, comunicare, mettersi insieme, rispettando le diversità di ciascuno e facendo in modo che esse contribuiscano al bene dell'unica famiglia, dell'unica comunità, dell'unica diocesi.

3. Il terzo gradino, direi indispensabile, è di pregare per l'unità, perché l'unità, dono di Dio, è un vaso fragile che noi continuamente rompiamo.

Imploriamo dunque il Signore di custodirlo in noi, di ridonarcelo ogni giorno, ogni momento.

L'unità non è frutto di compromessi o di patteggiamenti umani: è un dono dello Spirito che ci riempie il cuore e ci spinge, ci sollecita a metterci gli uni insieme agli altri, mano nella mano.

4. Un quarto passo che vi suggerisco di compiere per essere servitori dell'unità nella Chiesa è quello di scrutare, meditare, contemplare a fondo il vangelo, da cui nascono sempre stimoli di unità.

Siamo disuniti perché poco cristiani, perché non conosciamo abbastanza il vangelo; ma se ci lasciamo convertire da questi testi sacri, ritroveremo tutte le forze, la gioia e il gusto dell'unità.

Conclusione

Desidero riassumere tutto quanto ho cercato di esprimere in un impegno finale:

sentiamoci chiamati alla grande missione di fare unità in ogni ambito della nostra Chiesa particolare, così da mostrare, nella molteplicità dei doni e dei servizi, la nostra unità nella fede e nella carità.

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