| |
INCONTRARE
La Chiesa è convocata per essere per il mondo... "fino agli estremi confini
della terra"
DALLA VITA ALLA PAROLA
INTERROGHIAMOCI
o Guardare senza vedere... Ci capita di non incontrare il volto dell'altro? Come
viviamo l'incontro?
o La Chiesa nel mondo: muro di difesa o ponte di incontro?
o Dialoghiamo con ogni persona senza pregiudizio e senza paura di perdere la
nostra identità?
o Nella nostra famiglia, siamo più disposti all'incontro o allo scontro?
o Come ci lasciamo interpellare dalle persone nei luoghi della vita quotidiana?
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
L'incontro con il Crocifisso Risorto - allora come oggi - avviene
sedendo a mensa con Lui e ascoltando l'annuncio del regno di Dio nella
spiegazione delle Scritture. I discepoli di sempre - per la forza dello Spirito
Santo - si sentono coinvolti nella straordinaria esperienza della Pasqua di Gesù
e ne diventano testimoni senza pregiudizi, paure o preclusioni.
Dagli Atti degli Apostoli:
Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove,
apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si
trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di
attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella», disse, «che voi avete
udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in
Spirito Santo, fra non molti giorni». Così venutisi a trovare insieme gli
domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui rìcostituirai il regno di
Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che
il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che
scenderà su dì voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la
Samaria e fino agli estremi confini della terra». Detto questo, fu elevato in
alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi
stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche
vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a
guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo,
tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (Atti
1,3-8).
CONFRONTIAMOCI
Le apparizioni del Risorto e il dono dello Spirito Santo conducono i
discepoli a una comprensione più profonda del mistero di Cristo e della loro
straordinaria esperienza di incontro con il Signore e, nello stesso tempo, li
rendono forti nella fede e coraggiosi nella testimonianza.
Lo Spirito del Signore li fa uscire dal cenacolo, sconfigge la paura del mondo
esterno, li spinge a incontrare la gente e ad annunciare il Vangelo. La Chiesa è
nata dal dinamismo dell'amore trinitario, dal desiderio di Dio di farsi incontro
agli uomini perché gli uomini si incontrino nel suo progetto d'amore. Tutta la
vita di Gesù è stata storia di incontri con persone che hanno dialogato con Lui
e hanno dato una svolta alla loro esistenza. L'incontro fondamentale con Cristo
e il dono del suo Spirito cambiano la vita e cambiano i rapporti fra le persone.
La Chiesa nella sua essenza è incontro, comunione d'amore che proviene da Dio e
unisce gli uomini a Lui e fra di loro. Il Concilio Vaticano II descrive la
Chiesa come "sacramento o segno e strumento dell'intima unione fra Dio e gli
uomini e degli uomini fra loro"(Cfr. LG1).
San Giovanni esprime bene il senso della Chiesa con queste parole: "Ciò che era
fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i
nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno
toccato, ossia il Verbo della vita... quello che abbiamo veduto e udito, noi lo
annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi"(1Gv
l,l-14). Pertanto la Chiesa è comunità che va incontro agli uomini sulle strade
del mondo per continuare l'opera di Cristo e per radunare la grande famiglia del
Signore. Siamo Chiesa cattolica non per costruire barriere, ma per abbatterle,
non per scontrarci col mondo, ma per dialogare e dare la vita per il mondo.
L'aggettivo "cattolico" indica universalità e, in quanto tale, la Chiesa è il
popolo che comprende tutte le età e le condizioni di vita, tutte le culture e le
etnie, un popolo che si estende a tutto il mondo e a tutti i secoli e che si
riconosce nell'appartenenza all'unico Padre e Signore. Nella comunità ecclesiale
non c'è spazio per esclusivismo, razzismo, elitarismo e per quanto altro separa
e divide gli uomini. La Chiesa è nata per essere estroversa, per condividere
gioie e dolori, tristezze e speranze, attese e angosce della gente, per avere a
cuore il destino del mondo. Spesso Chiesa e mondo sono stati visti come realtà
contrapposte, ma la comunità cristiana esiste nel mondo e per la vita del mondo,
come vuole Gesù Cristo.
È pur vero che la Chiesa non si conforma alla mentalità del mondo e per questo
accade che i cristiani, quando svolgono il compito profetico di annunciare il
Vangelo e i valori che da esso discendono, diventano alternativi ad altre
visioni del mondo e della vita. L'annuncio del Vangelo porta a essere segno di
contraddizione, può provocare fastidio e disturbo perché contrasta il male e il
relativismo diffuso, può costare al testimone l'emarginazione e il rischio della
perdita della vita.
L'incontro può trasformarsi, a volte, in scontro, ma la comunità cristiana si
scontra con il male e si incontra invece con gli uomini per liberarli dal male.
L'atteggiamento della Chiesa non è di condanna degli uomini, ma di dialogo con
essi per sconfiggere il peccato e innescare un processo di liberazione. La
Chiesa non è una cittadella arroccata in posizione di difesa di fronte ai
pericoli del mondo, né deve farsi vincere dalla tentazione di conquista per
imporre il suo messaggio.
L'incontro è fatto di accoglienza, di dialogo, di ascolto, di attenzione, di
denuncia, di condanna, di correzione, di perdono. La Chiesa diventa "incontro"
quando assume la causa dei più indifesi e dei più poveri, quando accoglie le
diversità, quando difende i diritti di ciascuno, quando sa coniugare giustizia
con carità, quando annuncia il perdono e la riconciliazione. La Chiesa
universale sparsa nel mondo acquista una particolare dimensione storica e umana,
quando si incarna in un determinato territorio e si incontra concretamente con
le persone: si costituisce in tal modo in Chiesa particolare, nella quale "è
presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica" (CD n.
11). Alla luce di tutto ciò, i discepoli di Cristo non possono restare con lo
sguardo rivolto al cielo, come riferito nel brano degli Atti su riportato, ma
con il cuore di Cristo vanno verso ogni sorella e ogni fratello, per farsi tutto
a tutti.
La verità vi farà liberi, Catechismo degli Adulti
"La Chiesa è una e universale. Tutti i cristiani, per quanto diversi
tra loro, diventano "uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28) in virtù dello Spirito
Santo. Questa moltitudine unificata è immagine visibile della Santa Trinità e
costituisce una potente forza di pace tra le nazioni della terra e un segno
efficace del disegno divino di riconciliare tutte le cose in Cristo" (n. 454).
Cfr. anche nn. 450- 455.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
"Chi appartiene alla Chiesa cattolica?
Tutti gli uomini in vario modo appartengono o sono ordinati alla cattolica unità
del popolo di Dio. È pienamente incorporato alla Chiesa cattolica chi, avendo lo
Spirito di Cristo, è unito ad essa dai vincoli della professione di fede, dei
sacramenti, del governo ecclesiastico e della comunione. I battezzati, che non
realizzano pienamente tale cattolica unità, sono in una certa comunione, sebbene
imperfetta, con la Chiesa cattolica" (n. 168). Cfr. anche nn. 166-167
Documenti conciliari
"La forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana
contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in
una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. Inoltre,
siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna
particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la
Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le
diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le
riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione. Per
questo motivo la Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a
superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso
tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le legittime associazioni
umane. Il Concilio, dunque, considera con grande rispetto tutto ciò che di vero,
di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così diverse, che la
umanità si è creata e continua a crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole
aiutare e promuovere tutte queste istituzioni, per quanto ciò dipende da Lei ed
è compatibile con La sua missione. Niente le sta più a cuore che di servire al
bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che
rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le
esigenze del bene comune (Gaudium et Spes n. 42). Cfr. anche G5 78 e LG 13.
DALLA PAROLA ALLA VITA
LITURGIA
Congedo finale
"Andate! La messa è finita!" Sembra spesso solo un invito a
sciogliere le righe, una liberazione. Finalmente! E via di fretta verso l'aria.
Ma è questo il significato? La formula della liturgia Latina recita: "Ite, missa
est"; letteralmente dovremmo tradurla così: andate, è stata mandata.
La frase è incompleta. Chi o cosa, infatti, è stata mandata? E dove? E se ad
essere inviata fosse la comunità celebrante che si è appena nutrita della parola
e del pane di vita? E se essa fosse inviata a testimoniare alle persone che
verranno incontrate negli ambienti quotidiani di vita, come il luogo di lavoro,
il supermercato, la discoteca o lo stadio, la piazza (senza dimenticare
ovviamente la famiglia e la stessa comunità ecclesiale) La gioia e la novità di
vita, che vengono dall'incontro con il Risorto?
Riattraversiamo allora, verso l'esterno, la stessa soglia superata al momento
dell'ingresso. È cambiata però la direzione del percorso. Adesso siamo invitati
a tornare alle nostre occupazioni quotidiane, carichi dei benefici del banchetto
eucaristico e consapevoli che i doni ricevuti, doni di pace e di gioia, non
possiamo tenerceli stretti per noi. Sono un bene per il mondo intero. Affidato a
ciascuno di noi.
DI-SEGNI DI SPERANZA
IN FAMIGLIA
A porte aperte
L'esperienza famigliare è fatta di incontro tra diverse generazioni che si
aiutano vicendevolmente a raggiungere una comunione e una migliore qualità della
vita. Questo a volte manca nelle nostre esperienze famigliari perché non ci sono
incontri ma scontri, non c'è stabilità di rapporti ma fragilità, non c'è dialogo
e ascolto ma indifferenza e convivenza come da separati in casa. Come tante
situazioni di cronache ci presentano, nella famiglia spesso attecchisce la
violenza e la sopraffazione. Le diverse esperienze di vita famigliare e le
attuali famiglie cristiane, allora, devono sentirsi coinvolte in un'opera
educativa al loro interno e all'esterno per spingere a uscire da una visione
individualistica ed emotiva dei rapporti famigliari! In una famiglia c'è
circolarità di amore, azione educativa vicendevole: i figli anche loro possono
contribuire a migliorare i genitori e a farli rivedere negli orientamenti e
nella coerenza di vita. È una cosa bella che i figli discutano con i genitori
delle questioni famigliari, che siano resi partecipi delle problematiche
economiche della famiglia e che prendano parte alle decisioni. La testimonianza
della fede come l'educazione alla vita devono essere costruite secondo un'ottica
intergenerazionale. "La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui
il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. I genitori non soltanto
comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da Loro lo stesso Vangelo
profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte
altre famiglie e dell'ambiente nel quale è inserita"(EN 71).
L'esperienza famigliare non si esaurisce nell'incontro tra i suoi componenti, ma
si apre al mondo. Le nostre case non dovrebbero avere porte, non dovrebbero
essere chiuse alle difficoltà e alle necessità altrui. Concretamente questo si
traduce, ad esempio, in accompagnamento di coppie in crisi per sostenerle e
aiutarle; nell'accoglienza di famiglie povere sia materialmente, sia
spiritualmente; nel coraggio di prendere in adozione o in affido bambini
abbandonati; nell'incontrare altre famiglie per coltivare relazioni benefiche,
nell'accogliere o nel dare aiuto a persone vicine non autosufficienti. La
psicologia moderna ci fa riflette sul fatto che oggi tante situazioni di vuoto
affettivo e di deficit di salute mentale e di felicità provengono dalla mancanza
di relazioni significative, dalla presenza di fragilità famigliari. Oggi
prevalgono i rapporti corti ed emotivi, perché si ha paura di investire se
stessi in rapporti duraturi e altruistici e si risponde alla necessità di
bisogni immediati che soddisfano sul momento. Nonostante un certo pessimismo che
circola sull'esperienza famigliare, la comunità cristiana deve scommettere su di
essa come comunità che produce beni relazionali, come sorgente di circolarità di
relazioni d'amore. Anche se ci sono scontri e difficoltà, noi cristiani crediamo
che si possano sempre ricostruire i rapporti, praticando il perdono e confidando
nell'amore del Signore.
In particolare l'Azione Cattolica, avendo sempre a cuore la famiglia, si spende
per la nascita e la formazione di gruppi famigliari che coltivino l'amore
cristiano e si incontrino con le altre famiglie del territorio, anche le più
lontane dall'esperienza religiosa, traducendo il progetto Nazareth in percorsi
di sostegno, di vicinanza e di compagnia a tutte le famiglie.
IN SOCIETÀ
Un sano pluralismo per il bene comune
Questioni importanti ci interpellano quotidianamente: il valore e la dignità
della vita, il valore della famiglia, le situazioni di ingiustizia e di povertà,
la guerra, l'immigrazione e La convivenza tra culture e religioni, i grandi
problemi dell'esistenza. Su tali questioni dobbiamo incontrarci con la gente,
aiutando a formare coscienze cristiane, affinché ciascuno sappia valutare,
discernere e agire secondo La fede. Nella nostra società caratterizzata da
rapporti corti e fragili, da divisioni e conflitti, dal pericolo di scontri di
civiltà e di religioni. La comunità cristiana sente il dovere imprescindibile di
tessere rapporti di amicizia, di favorire relazioni fraterne improntate al
perdono e alla pace. Le nostre comunità sono cattoliche nella misura in cui
diventano case accoglienti, luoghi d'incontro e di valorizzazione di ogni
persona; se sentono la continua tensione a "fermentare" il mondo, a spingersi
fino agli "estremi confini" della terra, da non considerare soltanto come luoghi
sempre Lontani, ma anche vicini alla nostra vita quotidiana.
Come cristiani, siamo chiamati a integrarci e a collaborare con gli altri nel
lavoro per rispondere alla chiamata dell'uomo alla vita sociale. A questo
proposito, troviamo nel Compendio della Dottrina Sociale che "la persona è
costitutivamente un essere sodale, perché così l'ha voluta Dio che l'ha creata.
La natura dell'uomo si manifesta, infatti... alla maniera di un essere libero e
responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare coi
propri simili ed è capace di comunione con loro nell'ordine della conoscenza e
dell'amore". Ma "a causa della superbia e dell'egoismo, l'uomo scopre in se
stesso germi di asocialità, di chiusura individualistica e di sopraffazione
dell'altro (...) È per amore del proprio e altrui bene che ci si unisce in
gruppi stabili, aventi come fine il raggiungimento di un bene comune (...) Il
bene comune dipende, infatti, da un sano pluralismo sociale" (Cfr. nn. 149-151).
Proprio per realizzare queste modalità di "pluralismo sociale", la Dottrina
Sociale della Chiesa invita a riscoprire anche il ruolo fondamentale del
sindacato, a cui "oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia
una rappresentanza finalizzata a "organizzare nel giusto ordine la vita
economica" sia "l'educazione della coscienza sociale dei lavoratori" (Compendio
DSC nn. 307 ss). Tale impegno chiede capacità di elaborare nuove forme di
solidarietà e un orientamento ad assumere una maggiore responsabilità da parte
di tutti i soggetti in gioco.
Questo invito della Dottrina Sociale scaturisce dalla constatazione di
difficoltà presenti nei processi partecipativi e di responsabilità. Diverse sono
le cause da affrontare. Ne analizziamo alcune. Stare in società, nel mondo del
lavoro, rispettando gli avversali, pone in primo luogo il problema di misurarsi
con persone che hanno idee diverse, appartengono a progetti e modi di intendere
la vita e la società a volte assai diversi e contrastanti con le proprie idee,
valori ed esperienze. Ma questa difficoltà, in fondo, è nel conto. Un po' di
buon senso e di autocontrollo, di conoscenza dell'incompiutezza di ogni idea
umana (compresa la nostra), di consapevolezza dei propri limiti a capire e a
elaborare, aiutano ad abbassare il "grado di tensione", specie se si riesce a
tener ben presente e a distinguere tra il rispetto per la persona e la critica -
anche serrata - alte sue idee e atteggiamenti. Il rispetto è qualcosa di più
profondo del "bon ton". Fa bene anzitutto a chi lo esercita, come a chi lo
riceve. Ma è un caso tipico in cui il suo valore e la sua applicabilità non
dipendono dalla reciprocità (che oggi sovente si cita quando si parla di
rapporti, non solo interpersonali).
Incontrare L'altro, però, non sì risolve qui; ci vuole un supplemento a "fare
come se...", a salutare con sincerità chi si giudica male, a provare egualmente
a mettersi dal suo punto di vista, a considerare se l'altro sta facendo passi
diversi (senza chiuderlo in un giudizio definitivo), a provare a valutare se sta
egualmente facendo qualcosa di buono, a parlare con schiettezza quando il
linguaggio corrente è quello dei "discorsi coperti", delle tattiche complicate
(che sovente finiscono per complicare le questioni, ma anche questa è una
tecnica), quando l'altro "tira a fare il furbo".
Ci vuole un supplemento "a fare come se...", a vincere l'idea del nemico, senza
smarrire il motivo per cui si sta facendo quel lavoro, senza cedere alla
tentazione di "farsi comprare" (le occasioni sono molteplici) e senza perdere la
lucidità della distinzione dei ruoli e di quanto sta accadendo. Ci vuole un
supplemento per pregare per l'altro ed anche per se stessi, per non farsi
trascinare via da un meccanismo che diventa totalizzante, che offre il miraggio
della carriera e te ne allunga sottobanco qualche assaggio. Ci vuote un
supplemento per prendere decisioni e assumersi responsabilità scomode, per non
essere compiacenti e neppure intolleranti.
IN COMUNITÀ
Essere "ponte" tra gli uomini
Declinare il verbo "incontrare" per i cristiani che si sentono inseriti in una
comunità, dovrebbe essere relativamente semplice. La parrocchia, il gruppo,
l'Associazione sono luoghi privilegiati di incontro tra persone che portano
storie diverse e che stimolano un esercizio di ascolto e di accoglienza
dell'altro. Ma questo esercizio si è fatto, negli ultimi tempi, sempre più
complesso perché più complesso è diventato il contorno e diversificate le
esperienze con cui veniamo in contatto: non solo perché appartenenti a culture
diverse, ma anche per una molteplicità di percorsi personali. Proprio questa
complessità ci induce a parlare di missionarietà, che significa comunità che
rivolgono la loro attenzione non tanto - e non solo - a conservare la fede di
chi vi appartiene, ma comunità che annuncino di nuovo il Vangelo, che sostengono
la trasmissione della fede tra Le generazioni, che incontrano gli uomini e le
donne di oggi, facendo loro sentire che è ancora possibile, bello e giusto
vivere una vita conforme al Vangelo e, nel nome del Vangelo, dare il proprio
contributo al rinnovamento dell'intera comunità sociale (Cfr. Il Volto
missionario della parrocchia, n. 1).
Se c'è una caratteristica che identifica la missionarietà - e la persona che la
incarna - è quella del saper incontrare. Andare incontro alle persone nei Loro
ambienti che sono intrisi detta vita, degli interessi e anche delle inquietudini
e delle domande esistenziali delle perso ne. Andare incontro significa avere
simpatia di quello che ci circonda: delle persone, del territorio in cui ci
troviamo inseriti, di tutto il mondo, della società, con quella visione delle
cose che vuole illuminare la realtà con lo sguardo della fede.
Una comunità - parrocchia o gruppo - che vuole essere missionaria è una comunità
ospitale, capace di fare spazio a tutti, anche a chi è o si sente estraneo, o
straniero, alla comunità e alla Chiesa. E questa ospitalità può esprimersi in
una rete di relazioni che supera il semplice incontro e la semplice
conversazione, ma intesse rapporti significativi e stabili.
Questa comunità missionaria si trova a fare i conti con diverse proposte
culturali, con le quali è necessario incontrarsi, mettersi in relazione. Un
autentico dialogo culturale presuppone alcune attenzioni:
• la consapevolezza della propria identità, che non significa rigidità e
autosufficienza, ma sentirsi parte di un cammino di crescita e di maturazione;
• la virtù del discernimento, che rende capaci di distinguere la forma dal
contenuto, il bene dal male, l'essenziale dal contingente... una virtù che
necessita una continua opera di formazione;
• la capacità di ascolto, di rispetto, di apprezzamento per ciò che l'altro è in
se stesso e davanti a Dio;
• la pazienza e insieme la fortezza con le quali perseguire il consenso sui
valori essenziali e segnalare gli errori a seconda della loro gravita e del loro
opporsi a una reale fraternità;
• il riconoscimento di alcune verità essenziali, pur nella disponibilità a
cercare forme migliori che le esprimano e che le sappiano incarnare storicamente
(es. il valore della vita, del matrimonio, della famiglia, della democrazia,
della dignità della donna...).
Queste attenzioni e note di stile sono oggi ancor più necessaire per contrastare
la tendenza strisciante a emarginare la Chiesa dal dibattito pubblico. Ciò
accade tutte le volte che si vuole una Chiesa "in silenzio", chiusa nelle sue
liturgie, ripiegata nel privato non presente nelle questioni pubbliche. Tutto
ciò porterebbe a un tradimento della natura della Chiesa. Un malinteso senso di
laicità dello Stato porta a intendere la fede come scelta privata, che non deve
incidere nelle scelte di vita di una nazione o di una società, mentre per sua
natura la fede trasforma la vita e opera per il cambiamento della società.
L'incontro della Chiesa con la gente deve allora essere caratterizzato da un
dialogo che sia porta aperta alle ragioni degli altri e mai rinuncia
all'identità di se stessi o al tradimento del Vangelo, cercando facili
compromessi. Questo comporta per noi cattolici la capacità di andare incontro
agli altri, di cercare soluzioni condivisibili con coloro che pensano
diversamente, di non rinunciare alla convinta affermazione dei valori
evangelici. Non possiamo accettare che la Chiesa venga apprezzata come agenzia
sociale che va incontro ai bisogni dell'umanità e che, nello stesso tempo, sia
contrastata nella sua opera di evangelizzazione, ritenuta intrusiva e
interferente nella vita della società.
I due progetti che l'Azione Cattolica promuove: il progetto "Nicodemo" per una
AC missionaria, e il progetto "Dialoghi" per la cultura e la comunicazione in
parrocchia, vanno proprio nella direzione di un incontro attivo e proficuo per
aiutare l'intera comunità cristiana ad acquisire una laicità dello sguardo,
capace di penetrare nelle pieghe più sottili e nascoste del vissuto, mantenendo
sempre fisso lo sguardo sul Risorto.
Atteggiamenti, progetti, azioni vanno ricondotte, infine, al centro unificante
la comunità:
"Ricordando come Gesù, nell'intimità del dialogo e nello spezzare il pane
eucaristico, svelò il suo volto ai due discepoli di Emmaus, indicando
l'Eucaristia come sorgente e paradigma della costitutiva unità di fede e di
amore della Chiesa, sproniamo tutti i fedeli laici a trovare in quel Mistero la
ragione e la forma di una profonda comunione da realizzare quotidianamente e
testimoniare al mondo: un'autentica regola di vita; una loro precisa identità;
una sola supplica, un solo Spirito, una sola speranza nella carità, nella gioia
pura e santa. Tutti riuniti in un solo tempio di Dio, attorno a un solo altare,
nell'unico Gesù Cristo" (Lettera ai fedeli Laici II, 10).
Per saperne di
più
|