Scheda 4

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CELEBRARE
La Chiesa orante si fa intreccio misterioso
tra Parola di Dio e parola degli uomini
 

DALLA VITA ALLA PAROLA
INTERROGHIAMOCI

o Cosa vuol dire per me "celebrare"? Cosa celebriamo? Gli anniversari? I compleanni? Le scadenze sociali?
o Celebriamo tutto... celebriamo niente...
o È importante che ogni famiglia trovi tempi e luoghi per celebrare la Parola di Dio. Come ci riusciamo nella quotidianità spesso frenetica? Come può oggi la famiglia sperimentare una dimensione orante che, tra l'altro, offra un supplemento d'anima alle relazioni parentali?
o Come corrispondiamo al desiderio di Gesù di "fare Pasqua" con noi? La celebrazione settimanale della Pasqua orienta la nostra vita?
o Di fronte a quanto avviene negli eventi quotidiani, come comunità osiamo ancora dire "Padre Nostro..."

IN ASCOLTO DELLA PAROLA

Celebrando l'eucaristia, siamo costantemente invitati a corrispondere al desiderio ardente di Gesù di fare Pasqua con noi... Non è un invito che condiziona, anzi: Gesù ci affida il dono della sua vita con assoluta gratuità e disponibilità. Accoglierlo significa - per noi - superare la tentazione del tradimento e custodirlo nella preghiera personale e fraterna.

Dal Vangelo secondo Luca:
Quando fu l'ora. Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi». «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò (Lc 22,14-23).

CONFRONTIAMOCI
L'esperienza della celebrazione appartiene alla dimensione più originaria dell'uomo, come ci dimostrano le indagini etnologiche: non esiste popolo che non abbia elaborato un sistema cultuale e celebrativo. Nella celebrazione, infatti, l'uomo cerca l'intimità con Dio, per andare oltre la separazione e il limite dell'esistenza. Questo avviene attraverso il ricordo del momento sorgivo in cui Dio, manifestando la sua potenza, si rivela come il protettore del popolo. Attraverso gesti, simboli e parole, l'uomo cerca di rivivere l'esperienza vissuta un tempo dai padri, e implora Dio, affinché mantenga il favore e la protezione al popolo.
Nell'esperienza di Israele, ciò è visibile con chiarezza nel rituale della Pasqua, che Mosè ordina di celebrare come "rito perenne", come "memoriale", secondo le indicazioni di Esodo 12. A questa celebrazione Gesù si richiama nel momento di vivere la sua pasqua, il passaggio di liberazione dal peccato e dalla morte alla vita. E la pasqua di Gesù ha costituito per i suoi discepoli l'evento mirabile in cui essi hanno riconosciuto "la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni, ma rivelato ora" (Rm 16,25-6). Da allora, come dice la Sacrosanctum Concilium citando Atti 2,41-47, "la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale mediante la lettura di quanto 'nella Scrittura lo riguardava' (Lc 24,27), mediante la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale 'vengono ripresentati la vittoria e il trionfo della sua morte' e mediante l'azione di grazie 'a Dio per il suo dono ineffabile' (2Cor 9,15) nel Cristo Gesù, 'a lode della sua gloria' (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo" (n. 6). Sono qui esplicitate le dimensioni dell'azione liturgica, che la Chiesa da sempre compie.
Su di esse vogliamo fermarci, cominciando da quella relativa al soggetto celebrante.
Chi celebra? L'azione liturgica è anzitutto azione di Cristo sacerdote che, offertosi una volta per tutte al Padre (Eb 9,26), estende i benefici del suo sacrificio all'oggi della comunità celebrante e dell'intera umanità, e insieme è azione della Chiesa, la quale così si realizza e si manifesta "come segno visibile della comunione di Dio e degli uomini per mezzo di Cristo" (CCC 1071).
Il vero celebrante è «tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo» (CCC 1140).
"L'assemblea che celebra, è la comunità dei battezzati" (CCC 1141), «ciascuno secondo la propria funzione ma nell'"unità dello Spirito" che agisce in tutti» (CCC 1144). Perciò l'azione liturgica non è mai evento o fatto privato, individuale, ma sempre azione corale, comunitaria. Chi presiede e tutti i partecipanti sono, pertanto, totalmente e pienamente coinvolti nella celebrazione. In una comunità celebrante non ci sono dunque, spettatori che assistono, distaccati, ad un evento che altri produce!
Il Concilio insegna: "È ardente desiderio della Madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura della stessa liturgia e alla quale il popolo cristiano, "stirpe eletta, regale sacerdozio, nazione santa, popolo di acquisto" (1Pt 2,9; Cfr. 2, 4-5), ha diritto e dovere in forza del Battesimo" (SC n. 14). Ciò diventa ancora più chiaro se ci soffermiamo su quello che potremmo chiamare l'oggetto della celebrazione: il mistero della salvezza, già realizzata e tuttavia ancora in attesa di definitivo compimento. "La liturgia cristiana è essenzialmente celebrazione del mistero pasquale" (CdA, 635). L'incorporazione a Cristo, che i fedeli ottengono nel battesimo in virtù dello Spirito Santo, è così ogni volta espressa e alimentata nella liturgia. Soprattutto nella celebrazione eucaristica i fedeli vengono chiamati a offrire i propri "corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Rm 12,1), e dunque a prender parte al mistero della morte e risurrezione di Cristo, per ricevere poi in dono la salvezza e vivere la comunione del Padre con il Figlio nello Spirito. Si spiega allora per quale motivo la liturgia sia pervasa da una intrinseca e ineliminabile atmosfera di gioia. Lungi dall'essere affermazione astratta e intellettuale dei misteri della fede, la celebrazione liturgica è invece letteralmente azione, opera del popolo credente che, sotto la guida dello Spirito Santo, ricorda, annuncia e attualizza le meraviglie del suo Signore e fa esperienza della sua potenza salvifica. E forse non è un caso che il formalismo ritualistico di certe nostre celebrazioni faccia il paio con la scomparsa o almeno l'attenuazione dei segni che dicono la gioia del popolo credente. Di grande importanza è poi l'armonia di gesti, simboli e parole, che concorrono nell'azione liturgica a celebrare i misteri della salvezza. Essi non vanno giustapposti, quasi disegnassero campi separati, ognuno con i suoi propri moduli di comunicazione, ma devono essere integrati nella totalità dell'unica celebrazione, dove la comunità fa esperienza del mistero del Salvatore. "Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo" (Rm 10,9).
La liturgia è, infine, "il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù... e spinge i fedeli, nutriti dei "sacramenti pasquali", a vivere in "perfetta armonia", e domanda che "esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede" (SC n. 10).
È, pertanto, la celebrazione Liturgica, soprattutto l'Eucaristia, luogo altamente significativo dell'educazione missionaria della comunità cristiana" (Cfr. Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 48).

La verità vi farà liberi, Catechismo degli Adulti
"«Fate questo in memoria di me»; nella liturgia della Chiesa viene attualizzato mediante azioni simboliche il mistero pasquale, fulcro di tutta la storia della salvezza, perché i credenti siano inseriti in esso e vengano santificati" (n. 642).

"Con un insieme armonioso di segni, la comunità cristiana celebra il mistero pasquale inserendolo nel ciclo annuale e giornaliero del tempo, perché si ridesti nella memoria, riviva nel cuore, sia testimoniato nelle opere" (n. 662).

Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
"In che modo la Chiesa in terra celebra la liturgia? La Chiesa in terra celebra la liturgia come popolo sacerdotale, nel quale ciascuno opera secondo la propria funzione, nell'unità dello Spirito Santo: i battezzati si offrono in sacrificio spirituale; i ministri ordinati celebrano secondo l'ordine ricevuto per il servizio di tutti i membri della Chiesa; i Vescovi e i presbiteri operano nella persona di Cristo Capo" (n. 235).
"Come viene celebrata La liturgia?
La celebrazione liturgica è intessuta di segni e simboli, il cui significato, radicato nella creazione e nelle culture umane, si precisa negli eventi dell'Antica Alleanza e si rivela pienamente nella Persona e nell'opera di Cristo" (n. 236).

Documenti Conciliari
"Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con Lui, imparino a offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (Sacrosanctum Concilium n. 48).
Cfr. anche Sacrosanctum Condlium n. 2, Lumen Gentium n. 50.

DALLA PAROLA ALLA VITA
LITURGIA
Preghiera eucaristica
"La Liturgia è memoriale (anamnesi), in quanto attualizza nell'azione simbolica il mistero pasquale; è invocazione (epiclesi), in quanto comunica il dono pasquale dello Spirito con molteplici doni particolari; è lode e glorificazione (dossologia) di Dio, in quanto riconosce in lui il primo riferimento dell'intera esistenza e di tutta la storia".
Queste dimensioni della liturgia, che il Catechismo degli Adulti così efficacemente tratteggia al n. 647, raggiungono il loro vertice espressivo nella preghiera eucaristica. Qui, come attraverso gradini successivi di una scala che conduce in cielo, la comunità celebrante è chiamata a innestarsi nel mistero della salvezza che il Padre ha preparato da sempre. Attraverso le parole del celebrante, essa rende dapprima grazie al Padre per l'opera di salvezza (Prefazio) e si unisce alle lodi dell'assemblea celeste (Santo); quindi, invoca lo Spirito (epiclesi) perché questi consacri i doni offerti; col racconto della Cena e la memoria di Gesù (anamnesi) richiama la memoria del sacrificio di Cristo che viene nuovamente attualizzato; offre quindi al Padre nello Spirito la Vittima immacolata (offerta); chiede il dono della comunione con tutta la Chiesa celeste e terrena (intercessioni); alza, infine, il canto di lode al Padre, per mezzo e con il Figlio, nello Spirito (dossologia).
 

DI-SEGNI di speranza
IN FAMIGLIA
Ritrovarsi come piccola chiesa

Se uno degli aspetti essenziali e costitutivi della Chiesa è la celebrazione, con il rendimento di grazie e il canto di lode al Signore per i benefici di cui ha riempito la terra, ecco che nella vita familiare si apre uno spazio di grande impegno e di profondo spessore ecclesiale per celebrare.
Le occasioni e i suoi contenuti non sono altro che le opportunità che la vita offre: i momenti di festa, di svago, come pure i periodi meno felici di sofferenza o di difficoltà; le occasioni ordinarie in cui la famiglia si raduna, così come le circostanze impreviste di incontro.
Una di queste occasioni ci sembra particolarmente importante: il momento dei pasti.
Sebbene le circostanze di vita rendano sempre più difficile in generale per la famiglia ritrovarsi a tavola insieme, creare e custodire queste opportunità, nelle quali la famiglia ritrova uno spazio di unità, è un'esigenza importante per la vita famigliare, nonché occasione propizia per il rendimento di grazie a Dio per quanto ha fatto.
Per chi vive da solo recarsi o invitare un proprio familiare al momento dei pasti (il nonno, il nipote, il figlio, il fratello) è occasione per rinforzare, o recuperare legami, per gustare la familiarità delle relazioni. Ritrovarsi a tavola, condividere insieme al pasto anche la fatica della giornata, o del momento della vita, presentare a Dio ciò che si è stati capaci di fare insieme a quanto non si è riusciti a raggiungere, sono elementi tutti di una celebrazione famigliare di cui la famiglia è soggetto offerente e al tempo stesso offerta.
Piccole e semplici preghiere, lette su qualcuno dei numerosi libretti che propongono temi di riflessione a tavola o sorgenti spontaneamente dal cuore, in ogni caso condivise dai membri della famiglia ed eventualmente anche dagli ospiti presenti, oltre a costituire un fattore efficace di unità familiare sono in grado di dare sostanza e concretezza al culto spirituale che la famiglia, "piccola chiesa" (LG 11), è chiamata a prestare.
Stupenda definizione, su cui conviene ritornare, questa volta dalla prospettiva del celebrare, per coglierne appieno il significato. La comunione d'amore che costituisce la famiglia non può prescindere dalla consapevolezza che l'amore è anzitutto dono e che il dono d'amore che i membri della famiglia si offrono l'un l'altro, si innesta ed anche si nutre dell'Amore che ha origine dal Padre. Come ci ha ricordato Benedetto XVI con la sua enciclica, Dio è Amore. Allora il motivo del ringraziamento, della lode a Dio per il dono dell'amore, non può non essere presente nella vita della famiglia cristiana.
 

IN SOCIETÀ
Rendere sacro il mondo

Proporre il celebrare in società ha tutta l'apparenza di una provocazione.
Cosa si intende fare: sacralizzare il mondo riempiendo gli spazi e i tempi della vita sociale e lavorativa di simboli del Cristianesimo?
E quali opportunità offre ancora una società sempre più opportunista, secolarizzata e multireligiosa?

L'esperienza storica di Israele forse ci può aiutare.
In esilio a Babilonia, il pio israelita non rinuncia a chiedersi: «Come cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Sal 136)
Egli sa che chi lo ha deportato proprio questo si attende da lui. E allora non rinuncia a lodare il suo Signore e a cantare le sue lodi.
Ecco, il tempo che viviamo non è troppo differente da quello.
E le stesse invocazioni ci vengono dai nostri contemporanei: «Cantateci i canti di Sion».
Il richiamo vivente della grandezza delle opere del Signore e non l'occupazione di spazi mondani è il modo, un modo decisamente e peculiarmente laicale, di celebrare il Signore negli interstizi della società.
Ce lo ricorda con forza la Gaudium et Spes.
«Redento da Cristo e fatto nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo può e deve amare le cose create da Dio. Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e le rispetta. Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto» (GS 37).
L'impegno dei credenti per l'edificazione di una società più giusta e a misura dell'uomo - la civiltà dell'amore - è la grande celebrazione di lode che il popolo dei redenti innalza al suo Dio e creatore.
 

IN COMUNITÀ
Custodire la domenica

La comunità ecclesiale è il luogo proprio dove la celebrazione raggiunge il suo culmine.
Eppure!
Quanta fretta nelle celebrazioni ordinarie delle nostre comunità!
Quanto ritualismo esteriore di tipo spettacolare e quanta poca interiorità!
Quale disattenzione e fraintendimenti dei segni liturgici!

È forse giunto il momento di prestare maggiore cura alle celebrazioni liturgiche. E non perché debbano filare lisce come spettacoli bene organizzati, ma perché esse costituiscono il momento centrale e come la sorgente della vita di fede.
Si tratterà perciò di rivitalizzare le stanche liturgie facendo sì che in esse circoli la vera vita dei fedeli (la "preghiera dei fedeli", ad esempio, deve tornare ad essere veramente preghiera dei fedeli, momento in cui la comunità rivolge al Signore le suppliche per i bisogni e le necessità concrete di persone e situazioni concrete), di renderle partecipate (che non significa automaticamente gestire in proprio alcuni momenti della liturgia, ma creare le condizioni per cui i fedeli prendano parte all'unico sacrificio di Cristo), di farle diventare veramente esperienze di incontro col Signore, per poter essere fino in fondo testimoni del suo amore per l'uomo.

La celebrazione eucaristica domenicale, allora, tornerà a essere sentita e vissuta come l'inizio della settimana, come l'evento che dà forma all'impegno dei credenti nella vita.
Come scrivono i Vescovi nella Nota pastorale II volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: «dobbiamo "custodire" la domenica, e la domenica "custodirà" noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita».
In tal modo sarà meno forte la tentazione di andare a cercarsi momenti forti alternativi o di surroga spirituale al di fuori della comunità che si raduna settimanalmente; il che non significa ovviamente rinunciare ad irrobustire la propria fede con le occasioni di spiritualità che l'Associazione offre, ma solo evitare di ridurre la propria crescita spirituale a questi momenti, nell'indifferenza o abbandono a se stesso del convivio settimanale, in cui la comunità tutta si raduna per ascoltare e celebrare il suo Signore.
La tradizione associativa, col suo forte radicamento ecclesiale, offre in proposito un serbatoio di grandi contributi ed esperienze; si tratta solo di attingervi, curando con gli opportuni adattamenti che la proposta sia commisurata al contesto ecclesiale e sociale locale.
Come affermato dal Presidente Nazionale Luigi Alici a Verona all'incontro "Di-segni di speranza": il cammino che abbiamo davanti per riconciliare in una rete di pratiche di vita buona la contemplazione incessante di ciò che è ultimo con una capacità, tipicamente laicale, di abitare positivamente il penultimo, "è quello tracciato dal progetto 'Osea' per la formazione spirituale: implementare, condividere e rilanciare una sintesi sempre nuova fra contemplazione e impegno, in cui si riassume 'lo stile proprio del testimone', 'rendendo possibile una trasmissione della fede incarnata nella vita di un popolo' (n. 12).
In un'epoca che appare tentata dalla grande dicotomia pagana tra sacro e profano, occorre ritrovare nella testimonianza il punto di congiunzione fra l'altezza dell'infinito e l'umiltà del quotidiano. Dunque non contemplazione fuori del mondo, ma contemplazione nel mondo, se è vero che il mondo è la grazia diventata storia" (Y. Congar).
 

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