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OSPITARE
La Chiesa si fa ospitalità gratuita
e segno di misericordia nella storia
DALLA VITA ALLA PAROLA
INTERROGHIAMOCI
o Ospitalità data e ricevuta: quando siamo stati autenticamente ospitati e
quando siamo stati cordialmente ospitanti?
o Ospitare è "perder tempo" e "fare spazio" per altri...
o In casa, in che modo viviamo il valore dell'ospitalità tra di noi e verso gli
altri? Quali gesti esprimono ospitalità e accoglienza?
o Quando la vita diviene più fragile, quando la propria autonomia è messa a dura
prova... quale esperienza si fa del significato dell'essere ospitati?
Racconta...
o "Non uscirò mai dalla Chiesa, perché solo in essa trovo il perdono". Come
reagiamo a questa frase di don Milani?
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Quali caratteristiche manifesta l'ospitalità secondo il Vangelo?
Accogliendo il Cristo, la Chiesa non può vivere senza manifestare concretamente
- negli atteggiamenti quotidiani e nella riflessione - un amore accogliente.
Dal Vangelo secondo Luca:
E volgendosi verso la donna. Gesù disse a Simone: «Vedi questa donna?
Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece
mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu
non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato, non ha cessato di
baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha
cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: Le sono perdonati i suoi molti
peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco».
Poi disse a Lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 7,44-48).
CONFRONTIAMOCI
Perdono, misericordia, benevolenza sono tratti particolarmente
ricorrenti nel Vangelo di Luca.
Ricordiamo le pagine del buon Samaritano, del buon ladrone, del figliol prodigo,
di Zaccheo, pagine il cui protagonista è Dio Padre ricco di misericordia,
rivelato e testimoniato dai gesti di accoglienza e perdono di Gesù.
In particolar modo perdono e misericordia possono essere visti come le due facce
della stessa medaglia: è l'amore che "tutto copre, tutto spera, tutto sopporta"
(Cfr. 1Cor 13,7), facendosi sempre di nuovo largo nel cuore dell'uomo per
liberarlo dal sospetto e dalla paura di un Dio cattivo e nemico dell'uomo,
invidioso della sua felicità.
Una modalità molto laica per esprimere questa capacità di accoglienza, come
linguaggio universale dell'amore, è l'ospitalità, intesa come disponibilità
discreta, gratuita, attenta a far spazio a chi bussa, solo perché bussa, senza
altri titoli di merito.
Una comunità cristiana capace di usare il linguaggio dell'ospitalità, assume
oggi un volto profetico in un contesto di diffusa diffidenza, di sospetto e di
pregiudizio.
Oggi sembra prevalere la paura che rende facilmente inospitali. È il parere, ad
esempio, del giornalista Giancarlo Zizola che dice: "La paura segna l'alba del
nuovo secolo".
Ma paura di che cosa?
In alcuni casi, si tratta di una paura generata da situazioni di reale
difficoltà: si pensi alla crisi economica con le sue conseguenze sul piano
lavorativo, al rischio della catastrofe ambientale, al frantumarsi delle
relazioni familiari.
Spesso, però, c'è una paura alimentata "ad arte". Un caso su tutti: lo spettro
dello scontro di "civiltà". Si giunge a generare paura nei confronti dell'altro
perfino in nome della croce, quasi che la nostra fede impedisca di accogliere
l'altro e richieda solo di essere difesa da una minaccia esterna. A fronte di
ciò riscopriamo le radici di un amore che si rivela poi nell’ospitalità.
Una delle prime immagini della Storia della Salvezza presenta Abramo, il padre
nella fede, cui guardano ebrei, cristiani e musulmani, nell'atto di compiere un
gesto di grande ospitalità.
Vede tre uomini spuntare in lontananza, si alza, lasciando la sicurezza del
riparo d'ombra delle querce di Mamre, corre verso di loro, li prega di restare,
offre loro da mangiare e acqua per lavare i piedi stanchi. Abramo, che ha
accolto la voce di Dio e si fida di Lui, ha lasciato la sicurezza della sua
terra, vive la condizione di ospite e straniero; ora sa accogliere l'Ospite
misterioso che lo visita nelle sembianze dei tre messaggeri. "Avendogli Dio
confidato il proprio disegno, il cuore di Abramo è in sintonia con la
compassione del Signore per gli uomini" (CCC n. 257)
Questa disposizione ad accogliere l'altro, così radicata nell'Antico Testamento,
è presente anche nel Nuovo.
Pensiamo alla sollecitudine di Maria che si fa ospite della cugina Elisabetta, a
Marta e a Maria che accolgono con grande premura il Signore: esempi
paradigmatici a cui guardare aldilà di ogni sospetto.
Ospitare è, però, anche qualcosa che va oltre l'atto di accogliere uno in casa:
il tempo, i luoghi di vita e di lavoro, le relazioni interpersonali possono
diventare spazi incontaminati di ospitalità.
Chi accoglie Cristo, non può che essere in sintonia con Lui che si fa incontro
all'uomo con amore accogliente. A proposito, il testo di Luca offre alcune
indicazioni per definire gli atteggiamenti quotidiani dell'ospitalità:
1. La sollecitudine di chi va incontro e muove il primo passo. Gesù è stato
invitato da Simone, ma è la peccatrice a compiere i gesti dell'ospitalità: è lei
che accorre dal Signore e gli lava i piedi con le lacrime. Anche gli errori
commessi sono occasione per diventare ospitali e per essere ospitati.
2. Il rispetto della dignità di ogni persona senza pregiudizi. Gesù non ha
preclusioni nei confronti della donna: sa accogliere, ascoltare, apprezzare il
suo grande amore. E si fa prossimo del suo bisogno di perdono. È solo dal
rispetto che può nascere la fiducia.
3. Misericordia e perdono. Sono la cifra e la ricchezza del Cristianesimo. Non è
facile ospitare il diverso da noi. Nelle persone ci sono spesso aspettative,
desideri, condizioni che non riusciamo a cogliere nella fretta che la vita
quotidiana ci impone. Eppure, la diversità va accolta per quella che è, con
spirito di carità. Così la Chiesa accoglie e vuole offrire perdono a tutti,
anche nelle situazioni estreme, quando sembra che tutto sia perduto o lontano.
La GS al n. 28 ricorda che il rispetto e l'amore devono "estendersi pure a
coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche
e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei
loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo".
Ricorda anche che "occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed
errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da
false o insufficienti nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei
cuori".
La verità vi farà liberi. Catechismo degli Adulti
"L'unità di Gesù con il Padre è tale che gli si attribuisce perfino
il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di
riprovazione e l'accusa di bestemmia", nn. 197-198.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
"II Signore risorto ha istituito il Sacramento della Riconciliazione
quando la sera di Pasqua si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro: «Ricevete lo
Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li
rimetterete saranno non rimessi», (Gv 20, 22-23), n. 298. Cfr. 295–312
Documenti conciliari
"Poiché Gesù, Figlio di Dio, ha manifestato la sua carità dando la
sua vita per noi, nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per lui
e per i suoi fratelli (Cfr. 1Gv 3,16; Gv 15,13). Alcuni cristiani sono stati
chiamati fin dai primi tempi, e sempre saranno chiamati, a dare questa massima
testimonianza d'amore davanti a tutti, specialmente ai persecutori. Perciò il
martirio, con il quale il discepolo viene reso simile al Maestro, che
liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a Lui si conforma
nello spargimento del sangue, è stimato dalla Chiesa un dono insigne e una
suprema prova di carità. Se poi è concesso a pochi, tutti però devono essere
pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della
croce tra le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa." (Lumen Gentium n.
42, 2) Cfr. anche G5 27 e 28.
DALLA PAROLA ALLA VITA
LITURGIA
Riti di comunione
La vita che viviamo ci appartiene in maniera esclusiva. Ognuno di noi
vive la sua vita, unica irripetibile e non intercambiabile. E tuttavia, nessuno
di noi è un'isola. Viviamo la nostra vita in un contesto di relazioni che ci
appartengono.
La medesima dinamica di apertura relazionale all'altro sostanzia la vita di
fede.
Dice la Lumen Gentium che "Dio volle santificare e salvare gli uomini non
individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un
popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità" (n.
9).
Una essenziale dimensione comunitaria pervade tutta l'esperienza credente,
dimensione in virtù della quale il singolo non viene annullato, ma ritrova se
stesso nella relazione all'altro, che è insieme altro umano e Altro divino;
"entrambi", Dio e l'uomo, "restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una
cosa sola", scrive il Papa nell'enciclica Deus Caritas est (n. 10).
Questa è l'esperienza che i riti di comunione ci propongono.
Scoprirsi fratelli perché figli dell'unico Padre, riconoscere la signoria di Dio
sul creato e sulla storia, donarsi reciprocamente il perdono e la pace,
implorare la misericordia di Dio, contemplare la presenza di Dio nel mistero
dell'ostia sono le tappe di un percorso che va vissuto con pienezza per poter
ottenere di essere accolti nella comunione divina. E così, ancora di nuovo, si
rinnova il piano di Dio, che chiama gli uomini alla salvezza.
DI-SEGNI di speranza
IN FAMIGLIA
Stupirsi dell'altro
C'è un'immagine che esprime più di ogni altra il valore e il senso
dell'ospitare: è una madre che accoglie il bambino nel suo grembo. Qualcuno la
vive, o l'ha vissuta in prima persona, qualcuno condivide negli anni
l'esperienza vissuta da familiari o amici, ma per tutti è lo stesso stupore di
fronte al mistero della vita.
Ospitare è rendere tutto a disposizione dell'altro: La propria vita, la propria
storia, il proprio essere, il proprio tempo, la propria casa... le proprie
lacrime e i propri sorrisi, i propri successi e i propri fallimenti.
Ora, invece, nella nostra società complessa e frammentata si impone una cultura
secondo la quale l'obiettivo primario di ogni individuo dovrebbe essere l'autorealizzazione.
Ma se tutti gli sforzi sono finalizzati a realizzare i propri personali
progetti, il bene dell'altro non esiste o è preso in considerazione solo se
funzionale alla propria affermazione. Questo mette in crisi i rapporti
interpersonali e, in particolare, interrompe la comunicazione fra le
generazioni.
Vengono meno le relazioni autentiche, sostituite sempre più spesso da relazioni
virtuali (pensiamo al legame tra anziani e TV, e tra ragazzi e computer).
A essere messo in crisi da questa cultura è il cuore delle relazioni più intime:
la vita famigliare.
La scommessa è allora ripartire proprio da quest'ultima per educarsi
faticosamente a costruire legami di accoglienza misericordiosa e a ridare
dignità a tutte le età della vita.
È pur vero che proprio i ritmi imposti dal lavoro e dalla logica produttiva
minacciano i legami famigliari, allontanano l'adulto dal suo compito educativo
di trasmettere alle giovani generazioni un patrimonio di esperienze e, anzi,
rischiano di togliere dignità a ragazzi e anziani, in quanto non ancora o non
più adulti produttivi.
Tuttavia proprio a livello famigliare può avvenire il miracolo che scardina
questa logica perversa: la capacità di guardare all'altro con stupore,
commozione e compassione, anziché con diffidenza, proprio come Gesù guarda alla
donna che gli profuma i piedi o il Samaritano che si fa prossimo al ferito.
Cosa vuol dire guardare con stupore ai nostri familiari?
Apprezzare le loro qualità, incoraggiarli nei loro impegni, gratificarli nei
piccoli successi quotidiani, incitarli a far bene il loro compito, ringraziarli,
sottolineare le cose buone ricevute.
Questo stile di vita è importante per la promozione della dignità di ogni
componente della famiglia e per la costruzione della sua identità.
Aiuta ogni nostro famigliare a ospitare innanzitutto se stesso, premessa
indispensabile per ospitare l'altro. Ma questo richiede disposizione e pratica
di ascolto, condizione essenziale perché i sentimenti, le preoccupazioni e le
aspettative dell'altro (coniuge, figlio, genitore, fratello) arrivino a noi.
Ascoltare non significa dare sempre ragione, ma riconoscere il diritto e
l'importanza che uno esprima le proprie ragioni; significa non mettersi in primo
piano, ma fare spazio, senza pregiudicare.
Dal punto di vista dei genitori questa pratica attiva una modalità educativa
implicita: alle troppe parole (consigli, proibizioni, avvertimenti) si
sostituisce e si affianca un atteggiamento che dà coerenza anche alle parole. La
pratica del raccontarsi è pure importante per condividere anche i propri
insuccessi, perdonarsi e aiutarsi a ripartire.
Questo aiuta i più giovani a crescere e gli adulti a invecchiare bene.
Infine non può non seguire la pratica di parlare con rispetto e misericordia,
anche con i propri figli, delle fragilità e degli insuccessi familiari che
riguardano i nostri congiunti e vicini.
Come accogliamo o "giudichiamo" le situazioni di nostri fratelli o amici che si
sono separati, di un figlio o di un nipote che ha scelto la convivenza?
IN SOCIETÀ
Luoghi di convivenza pacifica
L'ospitalità è la dimensione che costruisce la convivenza pacifica.
L'essere aperti e ospitali all'altro, nella prospettiva della convivenza civile,
rappresenta il segno più forte per abbattere qualsiasi muro, qualsiasi barriera.
Ci sono dei luoghi che più di altri richiedono lo sforzo di declinare
l'ospitalità nell'impegno quotidiano.
La "fabbrica" ovvero "l'ufficio", "l'azienda", il "luogo di lavoro" e la città,
il paese, il quartiere, ovvero "la politica" e l'impegno sociale e politico,
nelle dimensioni più ampie e variegate del vivere sociale, sono i luoghi della
concretezza dell'essere e vivere l'ospitalità.
L'ambiente di lavoro, la vita in ufficio, l'attività d'impresa, la logica
aziendale spesso mettono a nudo aspetti di inospitalità che a prima vista non
vengono colti nemmeno da chi è chiamato a coordinare gli sforzi per raggiungere
il cosiddetto "budget" (l'obiettivo di crescita del fatturato e degli utili
aziendali, un lavoro di équipe in campo scolastico e sanitario, il servizio reso
dalla pubblica amministrazione, ecc). Si nascondono spesso nel lavoro (insieme)
egoismi che trovano (solo) applicazione nel desiderio di fare da sé, senza gli
altri, senza il contributo e l'aiuto degli altri.
La grande trasformazione avvenuta nel mondo del lavoro è quella che da sempre
più importanza alle risorse umane nella partecipazione e nell'organizzazione
all'attività lavorativa. E tuttavia il lavoro che un tempo rappresentava lo
strumento concreto di identità sociale, di fatto oggi è sempre più condizionato
dall'aumentata incertezza creata dalla globalizzazione e dalla interdipendenza,
dai mercati finanziari.
Di fatto, il nostro modo di vivere il lavoro è fortemente condizionato, al punto
che si è spostato il baricentro del lavoro dal ruolo e dall'importanza della
persona alla logica del prodotto, sia esso quello da collocare nei mercati, sia
quello di una maggiore efficienza e qualità nella propria attività.
Ed è per questo che la solidarietà è diventata la cartina al tornasole per dare
un senso nuovo al lavoro, alla concreta necessità di superare la logica
dell'egoismo e di guardare sempre più al bene costruito da tutti, per tutti.
Interessanti risultano essere le nuove forme di organizzazione del lavoro "no
profit".
A questa del lavoro si aggiunge un'altra grande realtà: la città, luogo di
rifugio e di nascondimento, luogo di relazioni e di festa. La città è una realtà
che può proteggere e dare sicurezza, ma d'altro canto può essere anche luogo
chiuso, dove le solidarietà sono solo funzionali alle proprie necessità e non ai
bisogni che interpellano. La città è una realtà in sé che presenta alcune
fragilità, alle quali si può far fronte con l'esperienza della fraternità e
della solidarietà con l'altro. Questa esperienza dà significato all'ospitare,
cioè a fare in modo che l'apertura consenta relazioni di accoglienza, attraverso
le quali la città diventa luogo dove poter abitare e far abitare gli altri.
Nella complessità della convivenza all'interno delle nostre città, una strada
positiva e produttiva è quella di usare la volontà del conoscere l'altro, specie
lo straniero, di accoglierlo riconoscendone prima di tutto l'umanità. La sua
storia, la sua tradizione, il suo cammino e, nel contempo, di mettere tutto
questo come patrimonio della comune convivenza insieme alla nostra umanità, alla
nostra storia, alle nostre tradizioni, al nostro cammino.
La prima forma che misura la dimensione di ospitalità delle nostre città è
quella di creare reti di conoscenza reciproca, attraverso il variegato mondo
dell'associazionismo, del volontariato, della vita delle nostre parrocchie, dei
luoghi di scambio ordinario, come la scuola, lo sport, il divertimento, la vita
di quartiere, le feste di quartiere. Per conoscere l'altro bisogna invitare
l'altro a partecipare a iniziative comuni nei luoghi della vita ordinaria,
creando quegli strumenti fondamentali per una convivenza ospitale dove ciascuno,
nella propria città, si senta come a casa propria.
IN COMUNITÀ
Nel cuore di ogni relazione
La
Chiesa nasce dall'ospitalità di Cristo che ci ha così tanto amati da farci
diventare membra del suo Corpo. Incorporati a Cristo (ospitati in Lui) non
possiamo che rendere gli altri parte della nostra vita. I vescovi, nella Lettera
ai fedeli laici, Fare di Cristo il cuore del mondo, ci ricordano che "il mistero
di comunione dentro il quale il laico cristiano si trova vivamente inserito, in
forza del proprio Battesimo, lo porta a trasfigurare l'intera esistenza umana,
in tutte le sue dimensioni di vita", sicché la sequela di Cristo e la vita nel
mondo "non sono due strade separate", ma "l'espressione di una medesima chiamata
alta santità". Essi ci invitano a ritrovare il senso del nostro incontro con Dio
in Cristo "nel cuore stesso di ogni apertura relazionale, a cominciare da quella
relazione riflessiva, dell'io con se stesso, dalla quale dipende la nostra
identità personale, per arrivare alla relazione con gli altri nella fraternità
universale e a quella con il creato affidato alle nostre mani."
Questo richiamo alla fraternità dovrebbe essere la bussola che orienta le scelte
delle nostre comunità cristiane. Anziché restare disorientate di fronte alla
difficoltà di individuare nella nostra società, almeno a livello superficiale,
una sensibilità etica e spirituale e degli stili di vita condivisi, possono
accompagnare i fedeli a incontrare il Signore nella loro interiorità, in quel
viaggio interiore nella fede, che li rende liberi e ospitali.
Si legge al n. 9 della Nota pastorale II volto missionario delle parrocchie in
un mondo che cambia: "L'adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di
formazione soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che
toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il
riposo. Dagli affetti la persona viene rigenerata nella sua identità e
attraverso le relazioni costruisce l'ambiente sociale... L'esperienza degli
affetti è soprattutto quella dell'amore tra uomo e donna e tra genitori e figli.
La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua
azione, e considera la famiglia non solo come destinatala della sua attenzione,
ma come vera e propria risorsa...".
Se è così davvero occorre rimodellare sensibilmente i ritmi di vita delle
parrocchie, renderli accessibili alle famiglie e agli adulti e, soprattutto,
proporre modelli formativi che favoriscano le relazioni e il dialogo tra
generazioni.
Come affermato dal Presidente Nazionale dell'Azione Cattolica Italiana, Luigi
Alici, all'incontro nazionale di Verona, nell'aprile del 2006, la stessa vita
associativa non può non lasciarsi "dilatare" dalla speranza cristiana per vivere
con illimitata apertura la nostra vocazione relazionale, "che è la cifra stessa
della vita associativa: il "noi" non è mai autentico, se la relazione tra l'io e
il tu si fonda sul presupposto di un "terzo escluso". Ci aiuterà in questo
cammino un'attenzione crescente alla famiglia, che potrà esprimersi, a livello
nazionale, in un'area specifica dedicata a "Fa miglia & Vita" e, a livello
diffuso, nella capacità di dare sempre maggiore consistenza al progetto
"Nazareth". In quanto società naturale fondata sul matrimonio, originariamente
iscritta nell'economia della creazione e innalzata a dignità sacramentale
dall'azione redentrice di Cristo, la famiglia incarna, in un intreccio fecondo
di coniugalità e genitorialità, una rete di legami orizzontali e verticali che
possono essere assunti come esperienza umanamente esemplare di speranza e
crocevia di vita associativa."
L'Associazione, con le sue risorse di consolidati cammini formativi attenti alle
diverse età della vita, può offrire un prezioso contributo anche attraverso le
settimane associative, che mettono in dialogo le diverse generazioni, può
testimoniare la possibilità di stabilire relazioni nuove e autentiche che non si
esauriscono nel vivere bene la dinamica associativa, ma da essa traggono vigore
per aprirsi alla comunità, al territorio, al mondo.
Proprio la proposta delle "Settimane" è divenuta ormai una consuetudine
all'interno della nostra vita associativa. L'intento è sempre quello di creare
una concreta e significativa sintesi che favorisca uno più stretto collegamento
tra la dimensione della formazione e la dimensione della missione. È proprio
nella proposta delle "Settimane" che i cammini specifici e il programma unitario
trovano un fecondo punto di incontro, capace di offrire la possibilità di una
più vivace e creativa traduzione dell'esperienza associativa.
Per saperne di
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