Scheda 3

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OSPITARE
La Chiesa si fa ospitalità gratuita
e segno di misericordia nella storia

 

DALLA VITA ALLA PAROLA

INTERROGHIAMOCI

o Ospitalità data e ricevuta: quando siamo stati autenticamente ospitati e quando siamo stati cordialmente ospitanti?
o Ospitare è "perder tempo" e "fare spazio" per altri...
o In casa, in che modo viviamo il valore dell'ospitalità tra di noi e verso gli altri? Quali gesti esprimono ospitalità e accoglienza?
o Quando la vita diviene più fragile, quando la propria autonomia è messa a dura prova... quale esperienza si fa del significato dell'essere ospitati? Racconta...
o "Non uscirò mai dalla Chiesa, perché solo in essa trovo il perdono". Come reagiamo a questa frase di don Milani?

IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Quali caratteristiche manifesta l'ospitalità secondo il Vangelo? Accogliendo il Cristo, la Chiesa non può vivere senza manifestare concretamente - negli atteggiamenti quotidiani e nella riflessione - un amore accogliente.

Dal Vangelo secondo Luca:
E volgendosi verso la donna. Gesù disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». Poi disse a Lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati» (Lc 7,44-48).

CONFRONTIAMOCI
Perdono, misericordia, benevolenza sono tratti particolarmente ricorrenti nel Vangelo di Luca.
Ricordiamo le pagine del buon Samaritano, del buon ladrone, del figliol prodigo, di Zaccheo, pagine il cui protagonista è Dio Padre ricco di misericordia, rivelato e testimoniato dai gesti di accoglienza e perdono di Gesù.
In particolar modo perdono e misericordia possono essere visti come le due facce della stessa medaglia: è l'amore che "tutto copre, tutto spera, tutto sopporta" (Cfr. 1Cor 13,7), facendosi sempre di nuovo largo nel cuore dell'uomo per liberarlo dal sospetto e dalla paura di un Dio cattivo e nemico dell'uomo, invidioso della sua felicità.
Una modalità molto laica per esprimere questa capacità di accoglienza, come linguaggio universale dell'amore, è l'ospitalità, intesa come disponibilità discreta, gratuita, attenta a far spazio a chi bussa, solo perché bussa, senza altri titoli di merito.
Una comunità cristiana capace di usare il linguaggio dell'ospitalità, assume oggi un volto profetico in un contesto di diffusa diffidenza, di sospetto e di pregiudizio.
Oggi sembra prevalere la paura che rende facilmente inospitali. È il parere, ad esempio, del giornalista Giancarlo Zizola che dice: "La paura segna l'alba del nuovo secolo".
Ma paura di che cosa?
In alcuni casi, si tratta di una paura generata da situazioni di reale difficoltà: si pensi alla crisi economica con le sue conseguenze sul piano lavorativo, al rischio della catastrofe ambientale, al frantumarsi delle relazioni familiari.
Spesso, però, c'è una paura alimentata "ad arte". Un caso su tutti: lo spettro dello scontro di "civiltà". Si giunge a generare paura nei confronti dell'altro perfino in nome della croce, quasi che la nostra fede impedisca di accogliere l'altro e richieda solo di essere difesa da una minaccia esterna. A fronte di ciò riscopriamo le radici di un amore che si rivela poi nell’ospitalità.
Una delle prime immagini della Storia della Salvezza presenta Abramo, il padre nella fede, cui guardano ebrei, cristiani e musulmani, nell'atto di compiere un gesto di grande ospitalità.
Vede tre uomini spuntare in lontananza, si alza, lasciando la sicurezza del riparo d'ombra delle querce di Mamre, corre verso di loro, li prega di restare, offre loro da mangiare e acqua per lavare i piedi stanchi. Abramo, che ha accolto la voce di Dio e si fida di Lui, ha lasciato la sicurezza della sua terra, vive la condizione di ospite e straniero; ora sa accogliere l'Ospite misterioso che lo visita nelle sembianze dei tre messaggeri. "Avendogli Dio confidato il proprio disegno, il cuore di Abramo è in sintonia con la compassione del Signore per gli uomini" (CCC n. 257)

Questa disposizione ad accogliere l'altro, così radicata nell'Antico Testamento, è presente anche nel Nuovo.
Pensiamo alla sollecitudine di Maria che si fa ospite della cugina Elisabetta, a Marta e a Maria che accolgono con grande premura il Signore: esempi paradigmatici a cui guardare aldilà di ogni sospetto.
Ospitare è, però, anche qualcosa che va oltre l'atto di accogliere uno in casa: il tempo, i luoghi di vita e di lavoro, le relazioni interpersonali possono diventare spazi incontaminati di ospitalità.
Chi accoglie Cristo, non può che essere in sintonia con Lui che si fa incontro all'uomo con amore accogliente. A proposito, il testo di Luca offre alcune indicazioni per definire gli atteggiamenti quotidiani dell'ospitalità:

1. La sollecitudine di chi va incontro e muove il primo passo. Gesù è stato invitato da Simone, ma è la peccatrice a compiere i gesti dell'ospitalità: è lei che accorre dal Signore e gli lava i piedi con le lacrime. Anche gli errori commessi sono occasione per diventare ospitali e per essere ospitati.

2. Il rispetto della dignità di ogni persona senza pregiudizi. Gesù non ha preclusioni nei confronti della donna: sa accogliere, ascoltare, apprezzare il suo grande amore. E si fa prossimo del suo bisogno di perdono. È solo dal rispetto che può nascere la fiducia.

3. Misericordia e perdono. Sono la cifra e la ricchezza del Cristianesimo. Non è facile ospitare il diverso da noi. Nelle persone ci sono spesso aspettative, desideri, condizioni che non riusciamo a cogliere nella fretta che la vita quotidiana ci impone. Eppure, la diversità va accolta per quella che è, con spirito di carità. Così la Chiesa accoglie e vuole offrire perdono a tutti, anche nelle situazioni estreme, quando sembra che tutto sia perduto o lontano.

La GS al n. 28 ricorda che il rispetto e l'amore devono "estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo".
Ricorda anche che "occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori".

La verità vi farà liberi. Catechismo degli Adulti
"L'unità di Gesù con il Padre è tale che gli si attribuisce perfino il potere divino di rimettere i peccati, sebbene si levi intorno un mormorio di riprovazione e l'accusa di bestemmia", nn. 197-198.

Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
"II Signore risorto ha istituito il Sacramento della Riconciliazione quando la sera di Pasqua si mostrò ai suoi Apostoli e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete saranno non rimessi», (Gv 20, 22-23), n. 298. Cfr. 295–312

Documenti conciliari
"Poiché Gesù, Figlio di Dio, ha manifestato la sua carità dando la sua vita per noi, nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per lui e per i suoi fratelli (Cfr. 1Gv 3,16; Gv 15,13). Alcuni cristiani sono stati chiamati fin dai primi tempi, e sempre saranno chiamati, a dare questa massima testimonianza d'amore davanti a tutti, specialmente ai persecutori. Perciò il martirio, con il quale il discepolo viene reso simile al Maestro, che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a Lui si conforma nello spargimento del sangue, è stimato dalla Chiesa un dono insigne e una suprema prova di carità. Se poi è concesso a pochi, tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce tra le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa." (Lumen Gentium n. 42, 2) Cfr. anche G5 27 e 28.

DALLA PAROLA ALLA VITA
LITURGIA


Riti di comunione
La vita che viviamo ci appartiene in maniera esclusiva. Ognuno di noi vive la sua vita, unica irripetibile e non intercambiabile. E tuttavia, nessuno di noi è un'isola. Viviamo la nostra vita in un contesto di relazioni che ci appartengono.
La medesima dinamica di apertura relazionale all'altro sostanzia la vita di fede.
Dice la Lumen Gentium che "Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità" (n. 9).
Una essenziale dimensione comunitaria pervade tutta l'esperienza credente, dimensione in virtù della quale il singolo non viene annullato, ma ritrova se stesso nella relazione all'altro, che è insieme altro umano e Altro divino; "entrambi", Dio e l'uomo, "restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola", scrive il Papa nell'enciclica Deus Caritas est (n. 10).
Questa è l'esperienza che i riti di comunione ci propongono.
Scoprirsi fratelli perché figli dell'unico Padre, riconoscere la signoria di Dio sul creato e sulla storia, donarsi reciprocamente il perdono e la pace, implorare la misericordia di Dio, contemplare la presenza di Dio nel mistero dell'ostia sono le tappe di un percorso che va vissuto con pienezza per poter ottenere di essere accolti nella comunione divina. E così, ancora di nuovo, si rinnova il piano di Dio, che chiama gli uomini alla salvezza.
 

DI-SEGNI di speranza
IN FAMIGLIA
Stupirsi dell'altro


C'è un'immagine che esprime più di ogni altra il valore e il senso dell'ospitare: è una madre che accoglie il bambino nel suo grembo. Qualcuno la vive, o l'ha vissuta in prima persona, qualcuno condivide negli anni l'esperienza vissuta da familiari o amici, ma per tutti è lo stesso stupore di fronte al mistero della vita.
Ospitare è rendere tutto a disposizione dell'altro: La propria vita, la propria storia, il proprio essere, il proprio tempo, la propria casa... le proprie lacrime e i propri sorrisi, i propri successi e i propri fallimenti.
Ora, invece, nella nostra società complessa e frammentata si impone una cultura secondo la quale l'obiettivo primario di ogni individuo dovrebbe essere l'autorealizzazione.
Ma se tutti gli sforzi sono finalizzati a realizzare i propri personali progetti, il bene dell'altro non esiste o è preso in considerazione solo se funzionale alla propria affermazione. Questo mette in crisi i rapporti interpersonali e, in particolare, interrompe la comunicazione fra le generazioni.
Vengono meno le relazioni autentiche, sostituite sempre più spesso da relazioni virtuali (pensiamo al legame tra anziani e TV, e tra ragazzi e computer).
A essere messo in crisi da questa cultura è il cuore delle relazioni più intime: la vita famigliare.
La scommessa è allora ripartire proprio da quest'ultima per educarsi faticosamente a costruire legami di accoglienza misericordiosa e a ridare dignità a tutte le età della vita.
È pur vero che proprio i ritmi imposti dal lavoro e dalla logica produttiva minacciano i legami famigliari, allontanano l'adulto dal suo compito educativo di trasmettere alle giovani generazioni un patrimonio di esperienze e, anzi, rischiano di togliere dignità a ragazzi e anziani, in quanto non ancora o non più adulti produttivi.
Tuttavia proprio a livello famigliare può avvenire il miracolo che scardina questa logica perversa: la capacità di guardare all'altro con stupore, commozione e compassione, anziché con diffidenza, proprio come Gesù guarda alla donna che gli profuma i piedi o il Samaritano che si fa prossimo al ferito.
Cosa vuol dire guardare con stupore ai nostri familiari?
Apprezzare le loro qualità, incoraggiarli nei loro impegni, gratificarli nei piccoli successi quotidiani, incitarli a far bene il loro compito, ringraziarli, sottolineare le cose buone ricevute.
Questo stile di vita è importante per la promozione della dignità di ogni componente della famiglia e per la costruzione della sua identità.
Aiuta ogni nostro famigliare a ospitare innanzitutto se stesso, premessa indispensabile per ospitare l'altro. Ma questo richiede disposizione e pratica di ascolto, condizione essenziale perché i sentimenti, le preoccupazioni e le aspettative dell'altro (coniuge, figlio, genitore, fratello) arrivino a noi. Ascoltare non significa dare sempre ragione, ma riconoscere il diritto e l'importanza che uno esprima le proprie ragioni; significa non mettersi in primo piano, ma fare spazio, senza pregiudicare.
Dal punto di vista dei genitori questa pratica attiva una modalità educativa implicita: alle troppe parole (consigli, proibizioni, avvertimenti) si sostituisce e si affianca un atteggiamento che dà coerenza anche alle parole. La pratica del raccontarsi è pure importante per condividere anche i propri insuccessi, perdonarsi e aiutarsi a ripartire.
Questo aiuta i più giovani a crescere e gli adulti a invecchiare bene.
Infine non può non seguire la pratica di parlare con rispetto e misericordia, anche con i propri figli, delle fragilità e degli insuccessi familiari che riguardano i nostri congiunti e vicini.
Come accogliamo o "giudichiamo" le situazioni di nostri fratelli o amici che si sono separati, di un figlio o di un nipote che ha scelto la convivenza?
 

IN SOCIETÀ
Luoghi di convivenza pacifica

L'ospitalità è la dimensione che costruisce la convivenza pacifica.
L'essere aperti e ospitali all'altro, nella prospettiva della convivenza civile, rappresenta il segno più forte per abbattere qualsiasi muro, qualsiasi barriera.
Ci sono dei luoghi che più di altri richiedono lo sforzo di declinare l'ospitalità nell'impegno quotidiano.
La "fabbrica" ovvero "l'ufficio", "l'azienda", il "luogo di lavoro" e la città, il paese, il quartiere, ovvero "la politica" e l'impegno sociale e politico, nelle dimensioni più ampie e variegate del vivere sociale, sono i luoghi della concretezza dell'essere e vivere l'ospitalità.
L'ambiente di lavoro, la vita in ufficio, l'attività d'impresa, la logica aziendale spesso mettono a nudo aspetti di inospitalità che a prima vista non vengono colti nemmeno da chi è chiamato a coordinare gli sforzi per raggiungere il cosiddetto "budget" (l'obiettivo di crescita del fatturato e degli utili aziendali, un lavoro di équipe in campo scolastico e sanitario, il servizio reso dalla pubblica amministrazione, ecc). Si nascondono spesso nel lavoro (insieme) egoismi che trovano (solo) applicazione nel desiderio di fare da sé, senza gli altri, senza il contributo e l'aiuto degli altri.
La grande trasformazione avvenuta nel mondo del lavoro è quella che da sempre più importanza alle risorse umane nella partecipazione e nell'organizzazione all'attività lavorativa. E tuttavia il lavoro che un tempo rappresentava lo strumento concreto di identità sociale, di fatto oggi è sempre più condizionato dall'aumentata incertezza creata dalla globalizzazione e dalla interdipendenza, dai mercati finanziari.
Di fatto, il nostro modo di vivere il lavoro è fortemente condizionato, al punto che si è spostato il baricentro del lavoro dal ruolo e dall'importanza della persona alla logica del prodotto, sia esso quello da collocare nei mercati, sia quello di una maggiore efficienza e qualità nella propria attività.
Ed è per questo che la solidarietà è diventata la cartina al tornasole per dare un senso nuovo al lavoro, alla concreta necessità di superare la logica dell'egoismo e di guardare sempre più al bene costruito da tutti, per tutti.
Interessanti risultano essere le nuove forme di organizzazione del lavoro "no profit".

A questa del lavoro si aggiunge un'altra grande realtà: la città, luogo di rifugio e di nascondimento, luogo di relazioni e di festa. La città è una realtà che può proteggere e dare sicurezza, ma d'altro canto può essere anche luogo chiuso, dove le solidarietà sono solo funzionali alle proprie necessità e non ai bisogni che interpellano. La città è una realtà in sé che presenta alcune fragilità, alle quali si può far fronte con l'esperienza della fraternità e della solidarietà con l'altro. Questa esperienza dà significato all'ospitare, cioè a fare in modo che l'apertura consenta relazioni di accoglienza, attraverso le quali la città diventa luogo dove poter abitare e far abitare gli altri.
Nella complessità della convivenza all'interno delle nostre città, una strada positiva e produttiva è quella di usare la volontà del conoscere l'altro, specie lo straniero, di accoglierlo riconoscendone prima di tutto l'umanità. La sua storia, la sua tradizione, il suo cammino e, nel contempo, di mettere tutto questo come patrimonio della comune convivenza insieme alla nostra umanità, alla nostra storia, alle nostre tradizioni, al nostro cammino.
La prima forma che misura la dimensione di ospitalità delle nostre città è quella di creare reti di conoscenza reciproca, attraverso il variegato mondo dell'associazionismo, del volontariato, della vita delle nostre parrocchie, dei luoghi di scambio ordinario, come la scuola, lo sport, il divertimento, la vita di quartiere, le feste di quartiere. Per conoscere l'altro bisogna invitare l'altro a partecipare a iniziative comuni nei luoghi della vita ordinaria, creando quegli strumenti fondamentali per una convivenza ospitale dove ciascuno, nella propria città, si senta come a casa propria.
 

IN COMUNITÀ
Nel cuore di ogni relazione
 

La Chiesa nasce dall'ospitalità di Cristo che ci ha così tanto amati da farci diventare membra del suo Corpo. Incorporati a Cristo (ospitati in Lui) non possiamo che rendere gli altri parte della nostra vita. I vescovi, nella Lettera ai fedeli laici, Fare di Cristo il cuore del mondo, ci ricordano che "il mistero di comunione dentro il quale il laico cristiano si trova vivamente inserito, in forza del proprio Battesimo, lo porta a trasfigurare l'intera esistenza umana, in tutte le sue dimensioni di vita", sicché la sequela di Cristo e la vita nel mondo "non sono due strade separate", ma "l'espressione di una medesima chiamata alta santità". Essi ci invitano a ritrovare il senso del nostro incontro con Dio in Cristo "nel cuore stesso di ogni apertura relazionale, a cominciare da quella relazione riflessiva, dell'io con se stesso, dalla quale dipende la nostra identità personale, per arrivare alla relazione con gli altri nella fraternità universale e a quella con il creato affidato alle nostre mani."
Questo richiamo alla fraternità dovrebbe essere la bussola che orienta le scelte delle nostre comunità cristiane. Anziché restare disorientate di fronte alla difficoltà di individuare nella nostra società, almeno a livello superficiale, una sensibilità etica e spirituale e degli stili di vita condivisi, possono accompagnare i fedeli a incontrare il Signore nella loro interiorità, in quel viaggio interiore nella fede, che li rende liberi e ospitali.
Si legge al n. 9 della Nota pastorale II volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia: "L'adulto oggi si lascia coinvolgere in un processo di formazione soltanto dove si sente accolto e ascoltato negli interrogativi che toccano le strutture portanti della sua esistenza: gli affetti, il lavoro, il riposo. Dagli affetti la persona viene rigenerata nella sua identità e attraverso le relazioni costruisce l'ambiente sociale... L'esperienza degli affetti è soprattutto quella dell'amore tra uomo e donna e tra genitori e figli. La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, e considera la famiglia non solo come destinatala della sua attenzione, ma come vera e propria risorsa...".
Se è così davvero occorre rimodellare sensibilmente i ritmi di vita delle parrocchie, renderli accessibili alle famiglie e agli adulti e, soprattutto, proporre modelli formativi che favoriscano le relazioni e il dialogo tra generazioni.
Come affermato dal Presidente Nazionale dell'Azione Cattolica Italiana, Luigi Alici, all'incontro nazionale di Verona, nell'aprile del 2006, la stessa vita associativa non può non lasciarsi "dilatare" dalla speranza cristiana per vivere con illimitata apertura la nostra vocazione relazionale, "che è la cifra stessa della vita associativa: il "noi" non è mai autentico, se la relazione tra l'io e il tu si fonda sul presupposto di un "terzo escluso". Ci aiuterà in questo cammino un'attenzione crescente alla famiglia, che potrà esprimersi, a livello nazionale, in un'area specifica dedicata a "Fa miglia & Vita" e, a livello diffuso, nella capacità di dare sempre maggiore consistenza al progetto "Nazareth". In quanto società naturale fondata sul matrimonio, originariamente iscritta nell'economia della creazione e innalzata a dignità sacramentale dall'azione redentrice di Cristo, la famiglia incarna, in un intreccio fecondo di coniugalità e genitorialità, una rete di legami orizzontali e verticali che possono essere assunti come esperienza umanamente esemplare di speranza e crocevia di vita associativa."
L'Associazione, con le sue risorse di consolidati cammini formativi attenti alle diverse età della vita, può offrire un prezioso contributo anche attraverso le settimane associative, che mettono in dialogo le diverse generazioni, può testimoniare la possibilità di stabilire relazioni nuove e autentiche che non si esauriscono nel vivere bene la dinamica associativa, ma da essa traggono vigore per aprirsi alla comunità, al territorio, al mondo.
Proprio la proposta delle "Settimane" è divenuta ormai una consuetudine all'interno della nostra vita associativa. L'intento è sempre quello di creare una concreta e significativa sintesi che favorisca uno più stretto collegamento tra la dimensione della formazione e la dimensione della missione. È proprio nella proposta delle "Settimane" che i cammini specifici e il programma unitario trovano un fecondo punto di incontro, capace di offrire la possibilità di una più vivace e creativa traduzione dell'esperienza associativa.

 

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