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PARTECIPARE
La Chiesa convocata dallo Spirito Santo
rende ciascun battezzato partecipe e responsabile
DALLA VITA ALLA PAROLA
INTERROGHIAMOCI
o Nelle vicende quotidiane, che cosa ci spinge a partecipare? Che cosa ci
frena?
o Avvertiamo la nostra partecipazione alla vita della Chiesa e della società
(lavoro - famiglia) come la risposta a una chiamata?
o Come partecipiamo alle gioie o agli insuccessi dei nostri familiari (genitori,
figli, fratelli)?
o Siamo chiamati dal Signore durante tutto l'arco di una vita: che cosa vuol
dire per un anziano essere partecipe? Forse tenersi aggiornato?
o Che cosa aggiunge l'esperienza ecclesiale al dovere di partecipazione, cui
siamo chiamati nella Chiesa e nel mondo?
IN ASCOLTO DELLA PAROLA
Solo se immersi nel battesimo dello Spirito, dono della Pasqua del
Signore, si può operare quella conversione e quel discernimento, che ci rendono
partecipi del cammino evangelico di Gesù dentro la comunità dei suoi discepoli.
Dal Vangelo secondo Luca:
Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro,
riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti
dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale
io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire
la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con
fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona
novella (Lc 3,15-18).
CONFRONTIAMOCI
Il tempo di Avvento ripropone la predicazione di Giovanni Battista,
che prepara e introduce la missione di Gesù. Essa invita a rileggere lo
svilupparsi del disegno di amore e di salvezza (Regno di Dio) nel cammino della
comunità dei discepoli di Gesù dentro la storia e consente di condividere in
gruppo la necessità di sentirci partecipi e responsabili nella e della vita
della Chiesa, lasciandoci condurre dalla continua azione dello Spirito Santo che
abbiamo ricevuto fin dal Battesimo nel nome di Gesù.
I primi seguaci di Gesù sono convinti di essere il definitivo Israele, che lo
Spirito di Dio ha riunito e santificato, dando compimento alle antiche profezie
e a una lunga preparazione. Non c'è, pertanto, la sostituzione di Israele, ma il
suo perfezionamento: Dio non ricomincia daccapo, ma va avanti. Israele è "la
radice santa", dalla quale si sviluppa il Cristianesimo. E come nella prima
alleanza, Israele ha ricevuto il nome di assemblea di Dio. Così la comunità dei
discepoli di Gesù viene chiamata "Chiesa". "Chiesa" significa precisamente
"assemblea" (convocazione): assemblea convocata dal Padre intorno a Cristo, per
il dono dello Spirito Santo.
Nella Chiesa condividiamo un cammino di santità. Quanti, infatti, con il
Battesimo vengono inseriti in Cristo, formano il popolo dei "santi", "la stirpe
eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è
acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui" (1Pt 2,9). Cristo capo
unisce a sé il suo Corpo, la Chiesa; la vivifica con il dono dello Spirito; la
rigenera incessantemente con la sua parola e i sacramenti; le comunica la forza
della carità nella partecipazione alla vita stessa di Dio; la abilita a
praticare la nuova giustizia, prospettata nel discorso della montagna. Tutti i
battezzati sono chiamati a un cammino di santità. Tuttavia, la Chiesa include
nel suo seno anche i peccatori: "santa insieme e sempre bisognosa di
purificazione" (LG 8). Ancora in cammino nella storia, è soggetta nei suoi
membri alla tentazione di voltare le spalle a Dio, come fece Israele nel
deserto. La Chiesa non è il Regno compiuto; ne è solo il segno, lo strumento, il
germoglio.
Lo Spirito Santo guida attraverso i secoli il cammino della Chiesa. Mentre la
conduce nel far memoria viva del passato, guardando verso Gesù di Nazareth, in
cui la rivelazione e la salvezza si sono compiute una volta per sempre, la
sospinge in avanti verso il Signore risorto, che è il futuro del mondo e la
novità ultima. E proprio l'inesauribile fecondità del vangelo e la prospettiva
escatologica consentono al popolo di Dio di incarnarsi nelle diverse culture
senza identificarsi con nessuna, di contribuire efficacemente alla costruzione
della civiltà terrena, rimanendo proteso verso la vita eterna; mai estraneo al
mondo e mai del tutto integrato. Come dice la Lettera a Diogneto: "I cristiani
non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per
costumi. Non abitano città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono
uno speciale genere di vita... Ogni nazione è loro patria e ogni patria è
nazione straniera... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita
superano le leggi". I cristiani sono partecipi in questo modo all'edificazione
della società umana.
Mentre alimenta nei battezzati il senso della fede, la santità e la fraternità,
lo Spirito Santo infonde in ciascuno capacità particolari per rispondere a
molteplici esigenze, abilitando all'esercizio della corresponsabilità
ecclesiale. In tal modo, l'unica Chiesa, non solo sussiste in molte Chiese
particolari e si esprime in molte culture, ma si edifica e compie la sua
missione con il contributo dei vari doni e carismi, ministeri e servizi, dei
suoi membri. La comunità cristiana si mostra, allora, come un organismo vivo e
operante. In essa, tutti sono abbastanza poveri da dover ricevere; tutti
abbastanza ricchi per poter dare. Nella dinamica di questo scambio, con doni
diversi e comple-mentari, lo Spirito continuamente sostiene e alimenta la vita e
la missione della Chiesa.
La verità vi farà liberi - Catechismo degli adulti
"I credenti sono responsabili gli uni degli altri; tra loro vige la
legge della reciprocità: devono stimarsi a vicenda, accogliersi, edificarsi,
servirsi, sostenersi, correggersi, confortarsi. Nel mutevole intrecciarsi di
tante storie personali, si attua un'incessante comunicazione di carità" (n.
500). Cfr. anche nn. 434-501.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica
"Quali sono le caratteristiche del popolo di Dio?
Questo popolo, di cui si diviene membri mediante la fede in Cristo e il
Battesimo, ha per origine Dio Padre, per capo Gesù Cristo, per condizione la
libertà e la dignità dei figli di Dio, per legge il comandamento nuovo
dell'amore, per missione quella di essere il sale della terra e la luce del
mondo, per fine il regno di Dio, già iniziato in terra" (n. 154).
Documenti conciliari
1. "Con il nome di laici, si intendono qui tutti i fedeli, ad
esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso riconosciuto
nella Chiesa, cioè i fedeli che, in quanto incorporati a Cristo con il
battesimo, costituiti Popolo di Dio e a loro modo fatti partecipi della dignità
sacerdotale, profetica e regale di Cristo, per la loro parte adempiono la
missione di tutto il popolo cristiano nella Chiesa e nel mondo."
2. "Il carattere secolare è proprio ed esclusivo dei laici. Infatti, i membri
dell'ordine sacro, sebbene possano dedicarsi talvolta ad attività secolari anche
esercitando una professione secolare, per la loro speciale vocazione sono
destinati principalmente e propriamente al ministero sacro, mentre i religiosi
con il loro stato danno la luminosa e magnifica testimonianza che il mondo non
può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per
la loro propria vocazione è dei laici cercare il regno di Dio trattando e
ordinando secondo Dio le cose temporali. Vivono nel secolo, cioè in tutti e
singoli i doveri e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita
familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono
chiamati da Dio a contribuire come un fermento alla santificazione del mondo
quasi dall'interno, adempiendo i compiti loro propri guidati da spirito
evangelico, e così, luminosi per fede, speranza e carità, manifestare Cristo
agli altri prima di tutto con la testimonianza della propria vita. A loro,
insomma, spetta in modo particolare illuminare e ordinare tutte le cose
temporali, alle quali sono strettamente vincolati, in modo che siano sempre
trattate secondo Cristo, e crescano e siano in lode del Creatore e Redentore"
(Lumen Gentium 31).
DALLA PAROLA ALLA VITA
LITURGIA
Liturgia della parola
Dio è sempre lo stesso. Ma la storia che viviamo cambia. Come trovare
allora il giusto equilibrio tra la fedeltà alla vocazione ricevuta e le
incessanti sfide che la vita ci pone dinanzi e che ci obbligano a declinare in
termini sempre rinnovati quella fedeltà?
Il dialogo con Dio - la preghiera è sempre un dialogo, che si avvia a partire
dall'iniziativa di Dio che si da a noi - è la strada giusta. È quello che accade
nella liturgia della parola. Che non è una lettura di tre diversi pezzi di
Bibbia (e poi c'è il salmo responsoriale; ma che ci sta a fare?), ma è il
fecondo dialogo di Dio con il suo popolo, mediante il quale Dio guida ancora
oggi il suo popolo per le vie della storia.
Un solo filo, così, attraversa le letture, che la sapienza ecclesiale propone
alla riflessione della comunità dei fedeli. Un solo filo, con cui Dio manifesta
la sua volontà, anzitutto nella testimonianza offerta dalla vicenda del popolo
santo (1° lettura); che la comunità orante riprende nel salmo (che è
responsoriale non perché la gente risponde al salmista, ma perché con esso la
comunità risponde alla parola di Dio dichiarando la propria adesione ad essa);
di cui l'esperienza apostolica mostra le implicazioni dottrinarie e pastorali
(2° lettura); che la comunità conferma di far sua (acclamazione al Vangelo),
prima che venga pienamente rivelata nei gestì e nelle parole di Gesù Cristo
(Vangelo).
DI-SEGNI DI SPERANZA
IN FAMIGLIA
Partecipi di relazioni solidali
"… la libertà non è star sopra un albero/non è neanche il volo di un moscone,
"... la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione."
È un brano di una canzone di Giorgio Gaber, in voga negli anni Settanta, in un
periodo in cui in diversi modi, anche appunto attraverso la musica, adulti e
giovani, donne e uomini, erano sollecitati, invitati, stimolati a impegnarsi e a
partecipare. Mancavano circa trent’anni alla fine del millennio...
Al di là dei risultati e delle analisi che si possono fare in merito a questo
periodo della nostra storia, rimane il dato di fatto che il tempo che stiamo
vivendo ora, e che è comunque diverso e cambiato rispetto a quello in cui si
cantava "libertà è partecipazione", ha bisogno di uno slancio e di un impegno
rinnovati. In altre parole, come abbiamo avuto modo di riflettere ampiamente in
questo incontro, è necessario dare concretezza alla parola partecipazione. Anche
da parte della famiglia, cioè dal luogo in cui si vivono, seppure a volte con
fatica, relazioni di fiducia, stima, affetto, relazioni che non possono restare
chiuse dentro le mura di casa.
Diventa quindi importante:
a) un'apertura a nuove relazioni in ogni età della vita:
- famiglie aperte, accoglienti, solidali, che costituiscano il tessuto di
rapporti nuovi anche a livello di condominio, quartiere, paese.
Chi abita in un condominio, sa che spesso i vicini di casa sono visti più come
potenziali nemici da cui guardarsi, che come risorse da scoprire attraverso la
relazione. Abbiamo bisogno di maggiore gratuità: non dovrebbe essere difficile
trovare dei modi concreti e semplici con i quali renderci partecipi e attenti a
chi abita nell’appartamento accanto.
- famiglie che dialogano, riflettono, pregano anche con altre famiglie, perché
sanno che non possono bastare a se stesse. In questo possono essere valido
riferimento le famiglie di AC che, consapevoli della bellezza e della ricchezza
dell'essere Associazione, possono farsi promotrici di occasioni di incontro per
far gustare anche ad altri la validità di momenti condivisi in gruppi di
famiglie.
b) scelta di solidarietà:
- esiste un modo di vivere la solidarietà proprio in quanto famiglia. Lasciamoci
interpellare dai bisogni che ci circondano e cerchiamo le possibili soluzioni:
parliamone con i figli o con altri membri della famiglia e scegliamo un impegno
a nostra misura, magari piccolo ma coraggioso e radicale, che richiederà
certamente un cambio di mentalità e di stile di vita. Potrebbe essere la scelta
di aprire la casa, o un appartamento di proprietà, a chi ne ha bisogno o la
scelta di stare più attenti ai beni di consumo, o la scelta di una vacanza
alternativa.
Le occasioni di rinnovare le nostre scelte, secondo l'esperienza di famiglia che
ciascuno vive, sono tante: troviamole insieme con lo sguardo della speranza.
IN SOCIETà
Nuovi scenari e progetti condivisi
Nella società postindustriale e globalizzata, il lavoro sta mutando radicalmente
fisionomia e pone nuovi problemi di impiego, di inserimento delle nuove
generazioni, di competenza, di concorrenza e distribuzione mondiale. Alcuni
tratti di questo nuovo scenario sono i seguenti:
* Siamo nell'era dell'accesso (J. Rifkin), come una porta che si apre su uno
scenario in cui idee e conoscenze saranno i generatori della ricchezza.
* Sorgono nuove opportunità, nuovi lavori, buoni e cattivi.
* Cresce l'orario di lavoro, di fatto, e questo ci obbliga ad affrontare
situazioni difficili, ad essere un po' degli acrobati: l'uso del tempo diventa
una sfida. Ci si sente invogliati a spendere energie, sottraendo tempo prezioso
alla famiglia, al lavoro di cura, al tempo libero.
* Sale la disuguaglianza tra ricchi e poveri, tra competenti e non competenti,
tra occupati e disoccupati, tra giovani e anziani. Il fenomeno riguarda le
persone e le nazioni: aumentano anche gli squilibri tra paesi industrializzati
(che rappresentano il 15% della popolazione del pianeta) e gli altri che, non
avendo accesso alle nuove tecnologie, sono condannati a rimanere indietro,
almeno per ora.
* Aumentano tra noi il disagio e l'insicurezza, l'ansia e la paura: sul futuro,
sul lavoro, sulla convivenza, sulla possibilità d'incidere positivamente sulla
società, sulla speranza, sulle povertà e le disuguaglianze, sulle nuove
generazioni.
Questi nuovi tratti del mondo della produzione da un lato compromettono la
qualità della vita dei lavoratori, tanto da chiedere nuove risposte a tutela
degli stessi, dall'altro però, in alcuni casi, possono prefigurare forme di
lavoro più rispettose delle persone, che ne sviluppino creatività e
coinvolgimento. Perciò oggi è possibile, e non solo auspicabile, la promozione
della piena e buona occupazione, che non umili la persona, ma le consenta nel
contempo di realizzarsi dignitosamente e di partecipare attivamente alla
costruzione del bene comune.
Ci chiediamo allora quali parole nuove il Signore ci può far pronunciare, quali
immagini di cammini ci suggerisce, quali speranze immettere nel mondo del
lavoro.
Ritorniamo a coniugare antiche parole che, nell'attuale situazione di new
economy, avrebbero un'enorme potenza rinnovatrice:
o ogni impegno a superare le solitudini e a ricercare un cammino comune è
speranza;
o ogni tentativo di proporre soluzioni che tolgono dall'emarginazione è vita;
o ogni sforzo per insegnare a utilizzare le nuove tecnologie è prospettiva
operosa;
o ogni accordo che sostiene e fa trovare un lavoro crea sicurezza;
o ogni sollecitazione che fa uscire dalla rassegnazione costruisce dignità;
o ogni accompagnamento che incoraggia le persone in difficoltà apre
all'autonomia;
o ogni solidarietà che non abbandona le persone al proprio destino, ma le
inserisce in un'attenzione comune di scelte e di soluzioni, porta fiducia.
Una condizione per raggiungere questi obiettivi è un'adeguata preparazione delle
persone all'apprendimento continuo, che consenta flessibilità di adattamento e
acquisizione di nuove competenze professionali e relazionali. Flessibilità,
tuttavia, non deve condurre a una perenne precarietà, perché questa minerebbe
alla base la dignità della persona, la sua autostima, il suo desiderio di
realizzazione. Oltre a questi aspetti è opportuno tenere presente anche il
livello politico della partecipazione, che tocca sia l'organizzazione del mondo
del lavoro, sia il vivere sociale e civile. Oggi si parla della "partecipazione
attiva", antitetica alla tentazione di un efficientismo antidemocratico frutto
di processi decisionali solitari, a favore invece di processi condivisi, dove il
singolo cittadino, i cittadini associati si mettono in campo. Le esperienze
fatte in questa direzione sono diventate spesso dei laboratori di confronto
importanti per fare scelte che vanno dal "governo" del territorio,
all'urbanistica, alla difesa dell'ambiente, ecc. Addirittura molte direttive
della Comunità Europea impongono la logica del coinvolgimento e della
concertazione per raggiungere l'obiettivo di decisioni concrete. Attraverso il
"bilancio partecipativo", proposto già a Porto Alegre nel 2001, strumento di
partecipazione diretta dei cittadini e di gruppi di cittadini, nelle scelte
amministrative di Circoscrizioni e Comuni, e attraverso la comunicazione a
misura di cittadino, lo sportello informativo dei servizi, ecc. si possono
elaborare forme nuove per una partecipazione all'altezza dei tempi.
IN COMUNITà
Portatori di una "vocazione sinodale"
"Nessun uomo è un'isola", ci ricordano i famosi versi del poeta John Donne.
Questo vale a maggior ragione nella Chiesa a cui Gesù ha lasciato come
imperativo quell’"amatevi gli uni gli altri", quel portare i pesi gli uni degli
altri, quell'essere "uno" come Lui e il Padre. Il sapersi legati da tale forza è
il motore che ci spinge a partecipare in prima persona, a sentirci cioè parte
viva, operante in e per una comunità il cui mistero ci trascende.
I laici del post-Concilio hanno imparato in questi decenni a chiamare questo
tipo di partecipazione "corresponsabilità": è una parola carica di senso, perché
sottolinea come l'essere membra vive della comunità cristiana non sia una
concessione che qualcuno può fare dall'alto a qualcun altro, ma è invece
un'esigenza del credente per mettere a frutto i propri talenti e i propri
carismi, pena il non rispondere pienamente alla propria vocazione battesimale.
Purtroppo, però, talvolta sembra si sia affievolito lo slancio conciliare e la
tensione della Chiesa a essere parte e a essere a servizio del mondo. Altre
volte può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato,
poco ascoltato o compreso. Oppure, all'opposto, può sembrare che anche la
ripetuta convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pronta e
adeguata risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un larvato
disimpegno. Dobbiamo superare questa situazione. Una cosa è certa: il Signore ci
chiama; chiama ognuno di noi per nome.
Non dobbiamo stancarci di educare ed educarci a sentire la comunità ecclesiale
come "casa nostra", condividendone le gioie, le prove, le lotte: non restando
indifferenti o insensibili a tutto ciò che la riguarda.
Tradurre tutto questo nella concreta vita delle nostre comunità può avere
diversi risvolti e significati: innanzitutto deve essere stimolo
all'Associazione perché assuma un ruolo nuovo e propositivo dentro un contesto
che va verso le unità pastorali, pastorale integrata e altre modalità, volte a
garantire la cura di tutti in relazione a un mutato scenario sociale ed
ecclesiale.
I laici di AC possono aiutare a interpretare in senso propositivo i nuovi
percorsi di "parrocchie in rete".
Un secondo aspetto è quello di una collaborazione generosa e creativa del gruppo
di AC per la promozione della pastorale ordinaria. In questo caso - specie se la
parrocchia offre tante occasioni di formazione, di esperienze di carità,
missione, catechesi - il gruppo di AC è bene che punti di più sullo "stile" che
non sull'aggiunta di nuove iniziative: uno stile, una pratica di vita tutta
fondata sulla promozione di vere relazioni di comunione all'interno della
comunità, di vera assunzione di ministeri in cui sentirsi pienamente
responsabili, di vera apertura al confronto cordiale e fiducioso con tutti.
Infine il terzo modo attraverso il quale i laici di AC esprimono la
corresponsabilità nell'edificare la Chiesa e nel concorrere alla sua tensione
apostolica è quello che da vita a nuovi cammini di prossimità verso nuovi
bisogni e nuove esigenze.
Ogni gruppo può cercare di comprendere quali siano le proprie modalità di
esercizio della corresponsabilità a favore del contesto ecclesiale di
appartenenza per poter vivere appieno quella particolare "vocazione alla
sinodalità" dei laici di AC - definita dal teologo F. G. Brambilla a Verona - a
servizio della pastorale d'insieme entro cui essere portatori di corrente viva.
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