Scheda 1

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Accogliere

Cristo risorto nostra speranza

Interroghiamoci

La nostra esperienza non è estranea al cammino di formazione, ne costituisce al contrario un punto di partenza.

Raccogliamo elementi e segnali dal nostro vissuto e apriamo l'incontro di formazione, lasciandoci liberamente coinvolgere da alcune domande sul tema dell’accogliere.

  • Quale significato dai al termine "accogliere"?

  • Chi e che cosa accogli nella tua vita?

  • Quali persone ci hanno accolto? In quale occasione?

  • Con quali gesti la nostra società esprime oggi l'accoglienza?

 

Dialoghiamo col Risorto (ascoltiamo la Parola)

Ci accomuna anche il desiderio, a volte la fatica, di "accogliere" Gesù, che in qualche modo ci ha raggiunti con la sua parola e il suo dono.

Il nostro cammino con lui, però, è tutt'altro che stabile e definito.

  • Sappiamo accoglierlo veramente come speranza per la nostra vita?

 

Lasciamoci interpellare dalla narrazione evangelica.

 

Dal Vangelo secondo Marco (16,1-8)

"Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù.

Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole.

Esse dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà via il masso dall'ingresso del sepolcro?».

Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.

Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura.

Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».

Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento.

E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura".

 

Confrontiamoci

Passato quel sabato - certamente non di festa per i discepoli di Gesù - l'unica speranza che rimane è quella di terminare in modo conveniente la sepoltura del maestro tanto amato, ma tragicamente e ingiustamente tolto di mezzo...

Le donne accolgono nell'animo soltanto questo bisogno, mentre acquistano oli aromatici e di buon mattino si recano al sepolcro.

Ma anche quest'aspettativa ha davanti a sé un ostacolo grande e pesante come quel masso, che chiude l'ingresso alla tomba.

Sorprendentemente, invece, si tratta di accogliere un evento inatteso: se si leva lo sguardo, l'ostacolo - per quanto grande - è rotolato via.

Un inutile peso, che può bloccare soltanto una sterile nostalgia... Occorre aprirsi a una situazione nuova.

Per quanto intimoriti, da allora ci sentiamo ripetere: "Non abbiate paura! Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto...".

Ma noi continuiamo a "fuggire"; "abbiamo paura" di metterci in gioco.

Ci sono "massi" nella nostra esperienza, che tengono sepolta la speranza.

Aspettative andate deluse o, forse, progetti giovanili vanificati.

Perfino l'incomprensione o la grettezza di coloro ai quali vogliamo bene.

Le difficoltà nel lavoro o la precarietà nella professione.

Magari sono le sofferenze in famiglia o le interminabili tragedie dell'umanità del nostro tempo a fiaccare in noi la fiducia.

Le preoccupazioni per il futuro e per la pace, l'apprensione per la tutela anche economica...

Finiamo per "accogliere" soprattutto le nostre paure, i pregiudizi e le insicurezze.

A volte nemmeno il Vangelo ci appare convincente.

Fraintendiamo persino l'evento della sua risurrezione; forse la immaginiamo semplicemente come la rianimazione di un cadavere, il risveglio - sempre a questa vita terrena e precaria - di un corpo morto; una sorta di "miracolo" che non convince.

C'è chi cede persino a certe mode fantasiose, inseguendo teorie di reincarnazione o di fusione cosmica...

Per lasciarci ravvivare nella speranza ci metteremo nuovamente in cammino con Cristo, crocifisso e vivente: potremo riconoscere che cosa significhi sperare nel suo nome.

 

Nel nuovo anno, la Liturgia ci chiede di rileggere il Vangelo di Marco: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio" (Mc 1,1).

Saremo, cioè, guidati a porci nuovamente nella sequela di Gesù che dalla Galilea annuncia il compiersi del tempo in cui si manifesta il regno di Dio.

D'altra parte, il Cammino formativo di quest’anno ci ripropone con forza questa convinzione: Gesù Cristo è il centro vivo della fede, è il cuore della nostra proposta formativa... noi vogliamo ribadire l'esigenza che la formazione ritorni di continuo al nucleo essenziale e dinamico, qual è il mistero della persona di Gesù.

Il Signore, crocifisso risorto, ci precede instancabilmente nella "Galilea" della nostra vita personale e comunitaria: "accoglierlo" significa vivere da risorti in una speranza viva.

 

Meditiamo e preghiamo

 

1Pt 1,3: "Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva".

 

Ef 1,15-23: "Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati".

 

CONCILIO VATICANO II: Gaudium et Spes, n. 1

1. Intima unione della Chiesa con l'intera famiglia umana

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

 

CONCILIO VATICANO II: Gaudium et Spes, n. 10

10. Gli interrogativi più profondi del genere umano

In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società. Molti, è vero, la cui vita è impregnata di materialismo pratico, sono lungi dall'avere una chiara percezione di questo dramma; oppure, oppressi dalla miseria, non hanno modo di rifletterci. Altri, in gran numero, credono di trovare la loro tranquillità nelle diverse spiegazioni del mondo che sono loro proposte. Alcuni poi dai soli sforzi umani attendono una vera e piena liberazione dell'umanità, e sono persuasi che il futuro regno dell'uomo sulla terra appagherà tutti i desideri del suo cuore. Né manca chi, disperando di dare uno scopo alla vita, loda l'audacia di quanti, stimando l'esistenza umana vuota in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa mediante la loro sola ispirazione. Con tutto ciò, di fronte all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita? Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli. Così nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo.

 

CONCILIO VATICANO II: Gaudium et Spes, n. 45

45. Cristo, l'alfa e l'omega

La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza» che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: «Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: «Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).

Preghiera

Padre,

era una fretta d'amore che hai avuto per noi,

quella fretta che in un giorno e due notti

ha risorto tuo Figlio, vero uomo immortale,

come spiga ricolma di gloria,

vero pane spezzato per tutti.

Nel travaglio del tempo

mostri ancora una fretta d'amore

nel chiamarci a seguire tuo Figlio:

a incontrare quella nuova sorgente

che, scendendo dall'alto,

disseta e raggiunge i deserti del mondo.

E da quello che siamo,

solo gente che muore,

ci sospingi a migrare,

a lasciare il non senso,

per poter abitare fin d'ora

dove abita Lui:

nel tuo cuore di Padre,

nostra origine e meta,

comunione infinita.

            (Maria Grazia, Missionarie secolari scalabriniane - Stuttgart)

In famiglia

Il dono dell'accoglienza

Vivere dentro una famiglia - qualunque sia la nostra collocazione (di genitori, di figli, di coniuge, di nonni, di parenti...) - comporta entrare inevitabilmente dentro il legame vicendevole di accoglienza, che va continuamente evocato oggi che viviamo in una società in cui predomina l'individualismo, il mettere al centro se stessi, ma va anche sorretto e fatto maturare con il reciproco sostegno.

Tutti noi adulti, nelle diverse situazioni familiari, possiamo cogliere le nuove forme della celebrazione del rito del matrimonio che insiste molto sul collegamento fra il "dono accolto" nel Battesimo dagli sposi e l'accogliersi "vicendevolmente come dono" nello scambio del consenso, fino all'accogliere responsabilmente "i figli che Dio vorrà donare".

Ci sarà poi da accogliere anche tutto ciò che non faceva parte dell'iniziale progetto e che potrà capitare: malattie, infermità, difficoltà economiche...

Per gli sposi la prima accoglienza sarà quella del matrimonio vissuto come sacramento di Gesù crocifisso e risorto; per tutti gli adulti "accogliere" costituirà la cifra quotidiana che interpreterà la vita di chi nella sua esperienza familiare, vuole seguire il Vangelo.

È infatti un'esperienza che non riguarda solo la coppia ma, propriamente, la realtà familiare stessa nell'intreccio quotidiano delle sue relazioni nelle varie stagioni della vita.

A questo punto anche chi fosse esterno alla famiglia, o le stesse altre famiglie, sono chiamate a rapportarsi con particolare attenzione ad una famiglia così.

"La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie, e considera la famiglia non solo come destinataria della sua attenzione, ma come vera e propria risorsa..." (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 9).

Una dimensione familiare così impostata, non solo affronta l'affanno del presente, ma si apre al futuro; al suo interno ci si aiuta a maturare nella responsabilità e nell'esperienza di una vera umanità; ci si accompagna anche verso l'età matura e la vecchiaia con la serenità e la fiducia, perché - prima ancora di imparare ad accudire gli anziani - abbiamo bisogno di essere aiutati ad invecchiare, e questo avviene con amore dentro una famiglia accogliente, ricca di affetti, di stima e di gratuità.

Oggi inoltre un adulto che accoglie nella propria esperienza di vita persone che vivono momenti di fragilità familiare e che chiedono di essere sostenute, le apre alla speranza.

Nel nostro Gruppo dobbiamo sentire forte il desiderio di sostenere chi tra noi è nella sofferenza, vuoi per l'esperienza della separazione, vuoi per la scelta della convivenza da parte del figlio, del fratello, della sorella; o ancora a motivo dei nipoti che vivono magari con altre madri o padri, diversi da quelli che li hanno generati, oppure di noi stessi che viviamo nella nostra famiglia questi momenti.

  • Come potremmo presentarci a un giornalista che volesse "curiosare" nella nostra realtà familiare?

  • Sarebbe una buona notizia o "cronaca nera"... ?

  • Come vengono accolte nella famiglia le diverse età della vita?

  • In che misura accogliamo e accettiamo le caratteristiche di ciascun familiare non come difficoltà, ma come risorse?

  • Dove la nostra famiglia incontra Cristo crocifisso e vivente, e come lo accoglie?

 

In comunità

Allargare lo sguardo

Accogliere: un verbo che trova nella comunità cristiana il luogo privilegiato e il terreno più adatto per coniugarsi soprattutto al presente (accolgo e quindi sto facendo qualcosa) e al futuro (accoglierò e quindi ho qualche progetto per il futuro).

Perciò, dopo aver ragionato ed esserci interrogati sul significato e sul valore dell'accogliere, cerchiamo di dare concretezze alle nostre idee interrogandoci, in modo particolare come gruppo, sul come possiamo veramente assumere l'atteggiamento dell'accoglienza verso gli altri incominciando proprio da chi ci sta vicino, per allargare poi lo sguardo...

 

"Fa parte della tradizione più viva dell'Azione Cattolica il senso vivo della persona, espresso attraverso vigorosi cammini formativi... Crediamo che oggi nella formazione, sia necessario accentuare l'attenzione alla singolarità del cammino di ogni persona" (dall'introduzione del Progetto Formativo dell'Azione Cattolica "Perché sia formato Cristo in voi").

 

  • Ci interessano veramente le aspettative, le speranze, i desideri e quindi i cammini delle persone del nostro Gruppo, anche quelle che vediamo di rado e forse per questo hanno bisogno di maggior cura e attenzione?

 

Confrontiamoci e rivediamo i nostri progetti cercando di essere attenti, di valorizzare e coinvolgere gli altri senza però far pesare le attenzioni che rivolgiamo loro.

 

"Il carisma dell'Azione Cattolica è quello di laici dedicati in modo stabile e organico alla missione della Chiesa nella sua globalità. L'essere dedicati indica una scelta della vita, non episodica ma permanente, un'attenzione rivolta a tutta la comunità e capace di assumere impegni concreti in risposta alle esigenze del luogo e del tempo"

(dall'introduzione del Progetto Formativo...).

 

È indispensabile quindi che ogni membro della Comunità parrocchiale si chieda come stia costruendo la propria Chiesa e si ripensi in questa prospettiva missionaria e decida dei piccoli ma concreti passi verso:

- gli altri membri della Comunità che operano in parrocchia per conoscersi e progettare un lavoro comune superando gli inevitabili pregiudizi e le possibili chiusure. Questo esercizio di comunione e di corresponsabilità darà senza dubbio, un ulteriore slancio alla vita ordinaria della nostra comunità;

- le molte persone che si affacciano alla comunità e conoscono poco il Vangelo o non riescono a coglierne la bellezza: cerchiamo di non lasciarci sfuggire le numerose occasioni nelle quali è possibile accoglierle, dialogare, proporre. Impegniamoci anche se questo ci dovesse chiedere qualche cambiamento di rotta: dobbiamo abituarci a navigare a vista senza perdere l'orientamento;

- i fratelli e le sorelle che vivono nel nostro territorio, nella nostra città, in condizioni disagiate: è vero, spesso ci sentiamo impotenti davanti a tante miserie e a tanti bisogni. Ma come comunità non possiamo rimanere indifferenti e limitarci a compiangere. Con un po' di impegno e coraggio possiamo almeno tentare di guardare in faccia queste realtà e provare a trovare qualche soluzione che renda l'esistenza di queste persone più dignitosa. Solo così nell'Eucaristia che celebreremo, potremo pronunciare con convinzione: "Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell'attesa della Tua venuta".

 

In società

Persone non individui

Se oscuriamo un grande orizzonte che illumini la vita e la morte, il rischio è che ogni vita sia percepita come una mera comparsa, per la quale non vale la pena spendersi.

Così non varrà la pena spendersi né per la mia né per l'altrui vita, per una città fatta di uomini sempre più "individui", cioè "isole", e sempre meno "persone", cioè "esseri capaci di relazione".

 

Non è difficile elencare ciò che oggi non va nel nostro convivere civico:

- una cultura del sospetto, che ci porta spesso a diffidare, a vedere nel prossimo più un concorrente che un compagno di strada;

- un'esaltazione dell'apparire, del fermarsi "alla superficie" (è più desiderabile chi ha cose belle e costose, un lavoro che fa arricchire, un corpo sempre giovane e attraente, una personalità che sa imporsi più che proporsi...) a discapito della coltivazione paziente e faticosa dell'essere sapienti;

- una paura del "diverso" che ci fa sentire legittimati a pensarci migliori, "più" rispetto agli altri (più ricchi di cultura, più puliti, più colti, più onesti lavoratori, più tolleranti, più religiosi...);

- uno spregio verso ciò che è la vita altrui, che si esprime sia nel non rispetto delle cose (vandalismo, insensibilità ecologica, illegalità diffuse) che delle persone (sprezzo per il codice stradale, imbarbarimento nella qualità delle relazioni sia durevoli sia occasionali, inosservanza nel commercio e nelle industrie della normativa che tutela la salute pubblica...).

 

Una cultura dell'accoglienza porta invece a giocarci su alcuni fronti, cambiando lo stile di presenza nella società:

- da una cultura del sospetto a una mentalità che crede nella comunione possibile tra le persone, disposti anche a rimetterci del proprio, a finire in perdita;

- da un'esaltazione dell'apparire al coltivare in noi, e in coloro che educhiamo, il gusto del trovare il bello, il buono, il giusto, il vero che c'è nelle persone;

- dalla paura del diverso al creare condizioni di incontro e di esperienze comuni con i vari "diversi" del proprio quartiere, della propria città;

- dal disprezzo o dall'indifferenza verso la vita altrui al prendere in seria considerazione di poter dedicare tempo, intelligenza, affetto, competenze a chi vive situazioni di disagio nella nostra comunità civile, e a far bene il nostro lavoro, con onestà e passione.

 

Provare ad assumere questo nuovo stile è il segno che noi crediamo davvero che le città hanno un'anima, un'anima che ciascuno di noi contribuisce a modellare, come ricordava La Pira:

 

"Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo, hanno un loro volto: hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino, non sono cumuli occasionali di pietra, sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio".

 

E perché abbiano sempre più un'anima:

 

“Non basta disprezzare la guerra, la tecnica, la febbre del denaro, il nazionalismo. Bisogna sostituire agli idoli del nostro tempo un credo" (Hermann Hesse, Krisis).

 

A questo siamo chiamati:

contro i facili idoli, avere un credo;

avere uno stile, quello dell'accoglienza;

avere una meta: l'attesa di quella "città che viene dall'alto" che l'uomo non sa generare da se, ma che Dio ha promesso di donargli.

 

  • Come la nostra vita esprime uno stile di accoglienza?

  • Quali le pressioni sociali, le fatiche che impediscono o attenuano una possibile testimonianza più limpida in questa direzione?

 

Il nostro Gruppo di Formazione può vivere una sorta di discernimento su alcune urgenze del territorio e ideare modalità varie di comunicazione (convegno, rubrica sul Giornale Dialogo, volantino, proposta di discussione nei Gruppi di Formazione) per poter affrontare il tema individuato con uno stile di accoglienza del problema e di ascolto delle emergenze, rispetto a cui porsi a fianco offrendo attenzione prima ancora che soluzioni.

Può essere questo esercizio di ascolto un ulteriore passo a cui far seguire il potenziamento delle iniziative del Progetto Arcobaleno entro cui, da anni, spendiamo la vivacità della nostra Parrocchia in un'azione di tipo culturale e socio-politico.

 

Per saperne di più

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