Beati i pacifici

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Meditazione n. 7

«BEATI GLI OPERATORI DI PACE,

PERCHÉ SARANNO CHIAMATI FIGLI DI DIO»

 1. Chi sono gli operatori di pace

La settima beatitudine suona così: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».

Insieme con quella dei misericordiosi, questa è l’unica beatitudine che non dice tanto come bisogna "essere" (poveri, afflitti, miti, puri di cuore), quanto cosa si deve "fare".

Il termine eirenopoioi significa coloro che lavorano per la pace, che «fanno pace».

Non tanto, però, nel senso che si riconciliano con i propri nemici, quanto nel senso che aiutano i nemici a riconciliarsi.

«Si tratta di persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi».

Operatori di pace non è dunque sinonimo di pacifici, cioè di persone tranquille e calme che evitano il più possibile i contrasti (questi sono proclamati beati da un'altra beatitudine, quella dei miti); non è sinonimo neppure di pacifisti, se per pacifisti si intendono quelli che si schierano contro la guerra (più spesso, contro uno dei contendenti in guerra!), senza fare nulla per riconciliare tra loro i contendenti. Il termine più giusto è pacificatori.

 

Al tempo del Nuovo Testamento, pacificatori erano detti i sovrani, soprattutto l'imperatore romano.

Augusto metteva in cima alle proprie imprese quella di aver stabilito nel mondo la pace, mediante le sue vittorie militari e a Roma fece erigere la famosa Ara pacis, l'altare della pace.

Qualcuno ha pensato che la beatitudine evangelica intenda opporsi a questa pretesa, dicendo chi sono i veri operatori della pace e in che modo essa viene promossa: mediante vittorie, sì, ma vittorie su se stessi, non sui nemici, non distruggendo il nemico, ma distruggendo l'inimicizia, come fece Gesù sulla croce (Ef 2,16).

Oggi prevale però l'opinione che la beatitudine vada letta tenendo conto della Bibbia e delle fonti giudaiche, in cui aiutare persone in discordia a riconciliarsi e a vivere in pace è visto come una delle principali opere di misericordia.

Sulla bocca di Cristo la beatitudine degli operatori di pace discende dal comandamento nuovo dell'amore fraterno, è una modalità in cui si esprime l'amore del prossimo.

Sorprende ascoltare dalla stessa bocca di Cristo un'affermazione che sembra contraddire tutto questo: «Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Lc 12,51).

In Matteo, al posto di divisione c'è addirittura «la spada» (Mt 10,34).

Ma non c'è vera contraddizione.

Si tratta di vedere qual è la pace e l'unità che Gesù è venuto a portare, e qual è la pace e l'unità che è venuto a togliere.

Egli è venuto a portare la pace e l'unità nel bene, quella che conduce alla vita eterna, ed è venuto a togliere quella falsa pace e unità che serve solo ad addormentare le coscienze e a portare alla rovina.

Gesù non è venuto con l'intenzione di portare la divisione e la guerra; tuttavia, dalla sua venuta risulterà inevitabilmente divisione e contrasto, perché egli mette le persone davanti alla decisione e, davanti alla necessità di decidersi, si sa che la libertà umana reagirà in modo diverso e variegato.

La sua parola e la sua stessa persona fanno venire a galla quello che ognuno nasconde nel proprio cuore.

Il vecchio Simeone lo aveva predetto, prendendo in braccio il bambino Gesù: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35).

La prima vittima di questa contraddizione, il primo a soffrire della «spada» che egli è venuto a portare sulla terra, sarà proprio lui, che in questo contrasto ci rimetterà la vita.

2. Il messaggio per la giornata mondiale della pace

Si direbbe che quella degli operatori di pace è per eccellenza la beatitudine della Chiesa di Roma e del suo Vescovo.

Uno dei servizi più preziosi resi alla cristianità dal papato, nei suoi momenti migliori, è stato quello di promuovere la pace tra le diverse chiese e, in certe epoche, anche tra i principi cristiani.

La prima lettera apostolica di un papa, quella di san Clemente I, risalente al 96 circa dopo Cristo (prima ancora, forse, del Quarto Vangelo), fu scritta per riportare la pace nella Chiesa di Corinto dilaniata da discordie.

La storia della Chiesa è ricca di episodi in cui chiese locali, vescovi o abati in lite tra di loro o con il proprio gregge sono ricorsi al papa come arbitro di pace.

Sono sicuro che questo è tuttora uno dei servizi più frequenti resi alla Chiesa universale, anche se uno dei meno conosciuti.

Anche la diplomazia vaticana e i nunzi apostolici trovano la loro giustificazione nell'essere strumenti a servizio della pace.

È un servizio che non si può rendere senza un qualche potere reale di giurisdizione. Per rendersi conto della sua preziosità basta guardare le difficoltà che sorgono là dove esso è assente.

 

Da qualche tempo il servizio del papa nei confronti della pace si esprime anche attraverso il messaggio per la giornata mondiale della pace diffuso all'inizio di ogni nuovo anno.

Io vorrei partire proprio dal messaggio per l'anno 2007 per una riflessione sulla nostra beatitudine.

Si tratta di un messaggio sulla pace a tutto campo; spazia dall'ambito personale a quelli più vasti della politica, dell'economia, dell'ecologia, degli organismi internazionali. Ambiti diversi, ma unificati dal fatto di avere tutti come oggetto primario la persona umana, da cui il titolo del messaggio: «La persona umana, cuore della pace».

C'è nel messaggio un'affermazione fondamentale, che è come la chiave di lettura di tutto; dice:

«La pace è insieme un dono e un compito. Se è vero che la pace tra gli individui ed i popoli - la capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà - rappresenta un impegno che non conosce sosta, è anche vero, lo è anzi di più, che la pace è dono di Dio. La pace è, infatti, una caratteristica dell'agire divino, che si manifesta sia nella creazione di un universo ordinato e armonioso come anche nella redenzione dell'umanità bisognosa di essere recuperata dal disordine del peccato. Creazione e redenzione offrono dunque la chiave di lettura che introduce alla comprensione del senso della nostra esistenza sulla terra» (Benedetto XVI, «La persona umana, cuore della pace». Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2007).

Queste parole aiutano a capire la beatitudine degli operatori di pace, e questa, a sua volta, getta una luce singolare su queste parole. Mediteremo sulla pace come dono e compito.

 

 

3. La pace come dono

Dio stesso, non un uomo, è il vero e supremo «operatore di pace».

Proprio per questo, quelli che si adoperano per la pace sono chiamati «figli di Dio»: perché somigliano a lui, imitano lui, fanno quello che fa lui.

Il messaggio pontificio dice che la pace è caratteristica dell'agire divino nella creazione e nella redenzione, cioè sia nell'agire di Dio che in quello di Cristo.

La Scrittura parla della «pace di Dio» (Fil 4,7) e più spesso ancora del «Dio della pace» (Rm 15,32).

Pace non indica solo ciò che Dio fa o dà, ma anche ciò che Dio è.

Pace è ciò che regna in Dio.

Quasi tutte le religioni fiorite intorno alla Bibbia conoscono mondi divini in guerra al loro interno.

I miti cosmogonici babilonesi e greci parlano di divinità che si fanno guerra tra loro.

Nella stessa gnosi eretica cristiana non c'è unità e pace tra gli Eoni celesti, e l'esistenza del mondo materiale non è che il risultato di un incidente e di una disarmonia occorsi nel mondo superiore.

Su questo sfondo religioso si può meglio cogliere la novità e l'alterità assoluta della dottrina della Trinità come perfetta unità d'amore nella pluralità delle persone.

In un suo inno, la Chiesa chiama la Trinità «oceano di pace», e non è solo una frase poetica.

Ciò che più colpisce contemplando l'icona della Trinità di Rublèv è il senso di sovrumana pace che emana da essa.

Il pittore è riuscito a tradurre in un'immagine il motto di san Sergio di Radonez, per il cui monastero fu dipinta l'icona: «Contemplando la Santissima Trinità, vincere l'odiosa discordia di questo mondo».

Chi ha meglio celebrato questa Pace divina che viene da oltre la storia è stato lo Pseudo Dionigi Areopagita.

Pace, per lui, è uno dei «nomi di Dio», allo stesso titolo che «amore».

Anche di Cristo è detto che «è» lui stesso la nostra pace (Ef 2,14-17).

Quando dice: «Vi do la mia pace», egli ci trasmette quello che è.

C'è un nesso inscindibile tra la pace dono dall'alto e lo Spirito Santo; non per nulla essi sono rappresentati dallo stesso simbolo della colomba.

La sera di Pasqua Gesù diede ai discepoli, quasi d'un sol fiato, la pace e lo Spirito Santo: «"Pace a voi!"... Detto questo alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"» (Gv 20,21-22).

La pace, dice Paolo, è un «frutto dello Spirito» (Gal 5,22).

Ma cos'è la pace di cui parliamo?

È divenuta classica la definizione datane da sant'Agostino: «La pace è la tranquillità dell'ordine».

Basandosi su di essa, san Tommaso dice che nell'uomo esistono tre tipi di ordine: con se stesso, con Dio, e con il prossimo, ed esistono, di conseguenza, tre forme di pace:

la pace interiore, con la quale l'uomo è in pace con se stesso;

la pace per cui l'uomo sta in pace con Dio, assoggettandosi pienamente alle sue disposizioni,

e la pace relativa al prossimo, per cui si vive in pace con tutti.

Nella Bibbia, però, shalom, pace, dice più che la semplice tranquillità dell'ordine. Indica anche benessere, riposo, sicurezza, successo, gloria.

A volte designa, addirittura, la totalità dei beni messianici ed è sinonimo di salvezza e di bene:

«Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunci che annuncia la pace, messaggero di bene che annuncia la salvezza» (Ts 52,7).

La nuova alleanza è chiamata un'«alleanza di pace» (Ez 37,26), il vangelo «vangelo della pace» (Ef 6,15), come se nella parola pace si riassumesse tutto il contenuto dell'alleanza e del Vangelo.

Nell'Antico Testamento, pace viene spesso accostata a giustizia (Sal 85,11: «Giustizia e pace si baceranno») e nel Nuovo Testamento a grazia.

Quando san Paolo scrive: «Giustificati per mezzo della fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5,1), è chiaro che «in pace con Dio» ha lo stesso significato pregnante che «in grazia di Dio».

 

 

4. La pace come compito: la pace religiosa

Il messaggio del Papa dice che la pace, oltre che dono, è anche compito.

Ed è della pace come compito che ci parla, in primo luogo, la beatitudine degli operatori di pace.

Se Dio e, storicamente, il Cristo risorto, è la sorgente vera della pace cristiana, essere operatore di pace non significa inventare o creare la pace, ma trasmetterla, lasciar passare la pace di Dio e la pace di Cristo «che supera ogni intelligenza».

«Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7): questa è la pace che l'Apostolo trasmette ai cristiani di Roma.

Noi non possiamo essere sorgenti, ma solo canali della pace.

Lo esprime alla perfezione la preghiera attribuita a Francesco d'Assisi: «Signore, fa' di me uno strumento della tua pace».

La condizione per poter essere canali di pace è rimanere uniti alla sua sorgente che è la volontà di Dio: «En la sua voluntade è nostra pace», fa dire Dante a un'anima del Purgatorio.

Il segreto della pace interiore è l'abbandono totale e sempre rinnovato alla volontà di Dio.

Aiuta a conservare o ritrovare questa pace del cuore ripetere spesso a se stessi con santa Teresa d'Avila: «Niente ti turbi, niente ti spaventi. Tutto passa, Dio solo resta. La pazienza tutto vince. Nulla manca a chi ha Dio. Dio solo basta».

La parenesi apostolica è ricca di indicazioni pratiche su ciò che favorisce o che ostacola la pace. Uno dei passi più noti è quello della Lettera di Giacomo:

«Dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace» (Gc 3,16-18).

Da questo ambito personalissimo deve partire ogni sforzo per costruire la pace.

La pace è come la scia di un bel vascello che va allargandosi all'infinito, ma comincia con una punta, e la punta è, in questo caso, il cuore dell'uomo.

 

Uno dei messaggi di Giovanni Paolo II per la giornata della pace, quello del 1984, portava come titolo: «La pace nasce da un cuore nuovo».

Ma non è su questo ambito personale che vorrei dilungarmi.

Oggi si apre davanti agli operatori di pace un campo di lavoro nuovo, difficile e urgente: promuovere la pace tra le religioni e con la religione, cioè sia delle religioni tra di loro, sia dei credenti delle varie religioni con il mondo laico non credente.

Il teologo Hans Kung ha lanciato il seguente slogan ripreso in sede internazionale dal Parlamento delle religioni di Chicago nel 1993: «Non c'è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni e non c'è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni».

Il motivo che permette un dialogo serio tra le religioni - fondato non solo sulle ragioni di opportunità che conosciamo bene, ma su un solido fondamento teologico - è che «abbiamo tutti un unico Dio», come ricordava Benedetto XVI in occasione della sua visita alla Moschea Blu di Istanbul.

È la verità da cui anche san Paolo partì nel suo discorso all'areopago di Atene (cfr. At 17,28).

Abbiamo, soggettivamente, idee diverse su di Lui.

Per noi cristiani Dio è «il Padre del Signore nostro Gesù Cristo» che non si conosce pienamente se non «per mezzo suo», ma oggettivamente sappiamo bene che di Dio non ce ne può essere che uno.

C'è «un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6).

Ogni popolo e lingua ha il suo nome per indicare il sole, ma di sole ce n'è uno solo!

Fondamento teologico del dialogo è anche la nostra fede nello Spirito Santo.

Come Spirito della redenzione e Spirito della grazia, egli è il vincolo della pace tra i battezzati delle diverse confessioni cristiane, ma come Spirito della creazione, Spiritus creator, egli è un vincolo di pace tra i credenti di tutte le religioni e anzi tra tutti gli uomini di buona volontà.

«Ogni verità, da chiunque venga detta - ha scritto san Tommaso d'Aquino -, viene dallo Spirito Santo».

Come però questo Spirito creatore guidava verso Cristo i profeti dell'Antico Testamento (lPt 1,11), così noi cristiani crediamo che, in modo noto solo a Dio, esso guida a Cristo e al suo mistero pasquale nella sua azione fuori della Chiesa.

Come il Figlio non fa nulla senza il Padre, così lo Spirito Santo non fa nulla senza il Figlio.

 

 

5. Una pace senza religioni?

L'occidente secolarizzato auspica, a dire il vero, un diverso tipo di pace religiosa, quello che risulta dalla scomparsa di ogni religione.

«Immagina che non esista paradiso, / è facile se provi./ Nessun inferno sotto di noi, / nient'altro che il cielo su di noi... / Immagina non ci siano più patrie... nulla per cui uccidere o morire / e nessuna religione più. / Immagina tutta la gente / vivere la vita in pace... Immagina un mondo senza possedimenti...».

Questa canzone, scritta da uno dei grandi idoli della musica leggera moderna, John Lennon, su una melodia suadente, ha qualcosa che fa sognare e spiega l'immensa popolarità che si è acquistata. Ma pochi si rendono conto della sua natura tutt'altro che pacifista, perché, a detta dello stesso autore, l'intento «antireligioso, antinazionalista e anticonvenzionale è ricoperto di zucchero».

È davvero auspicabile un mondo in cui non ci siano più «né religione, né patrie, né proprietà privata»? Non era esattamente quello che si erano proposti di realizzare i regimi comunisti totalitari, sappiamo con che risultato? Tutti saremmo felici se non ci fosse più al mondo «nulla per cui uccidere»; ma che dire di un mondo in cui non c'è più «nulla per cui morire»?

Se un tale "sogno" si dovesse realizzare, quello auspicato sarebbe il mondo più povero e più squallido che si possa immaginare; un mondo piatto, in cui sono abolite tutte le differenze, dove la gente è destinata a sbranarsi, non a «vivere in pace», perché - come ha messo in luce Rene Girard -, laddove tutti vogliono le stesse cose, il "desiderio mimetico" si scatena, e con esso la rivalità e la guerra.

Un altro aveva in precedenza lanciato il programma: «Non più cielo. Non più inferno! Nient'altro che la terra» (ed è forse da lui che l'autore della canzone lo raccoglie); ma lo stesso aveva dovuto poi constatare che «l'inferno sono gli altri». L'inferno da "sotto di noi" si sposta "tra noi".

 

Il messaggio del papa dedica un paragrafo alle difficoltà che si incontrano oggi nel rapporto tra la religione e il mondo secolarizzato. Dice:

«Per quanto riguarda poi la libera espressione della propria fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le proprie convinzioni religiose... Vi sono regimi che impongono a tutti un'unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica» (n. 3).

Di questo tentativo di emarginazione delle credenze religiose, abbiamo un segno nella campagna messa in atto in vari paesi e città d'Europa e d'America contro i simboli religiosi del Natale.

Si adduce come motivo la volontà di non offendere le persone di altre religioni che sono tra noi, specie i musulmani.

Ma è un pretesto.

In realtà è un certo mondo laicista che non vuole questi simboli, non i musulmani.

Essi non hanno nulla contro il Natale cristiano, che anzi onorano.

Nel Corano c'è una Sura dedicata alla nascita di Gesù che vale la pena di conoscere, anche per favorire il dialogo e l'amicizia tra le religioni. Dice:

«Gli angeli dissero: "O Maria, Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù figlio di Maria. Sarà illustre in questo mondo e nell'altro... Parlerà agli uomini dalla culla e da uomo maturo, e sarà dei Santi". Disse Maria: "Signore mio, come potrò avere un figlio, quando nessun uomo mi ha toccata?". Rispose: "Proprio così: Iddio crea ciò che Egli vuole, e quando ha deciso una cosa, le dice soltanto 'sii', ed essa è».

Siamo giunti all'assurdo che alcuni musulmani celebrano la nascita di Gesù e arrivano a dire che «non è musulmano chi non crede nella nascita miracolosa di Gesù», mentre altri che si dicono cristiani vogliono fare del Natale una festa invernale popolata solo di renne e di orsacchiotti.

Noi credenti non possiamo, però, lasciarci andare a risentimenti e polemiche neanche contro il mondo secolarizzato.

Accanto al dialogo e alla pace tra le religioni, si pone già un altro traguardo agli operatori di pace: quello della pace tra i credenti e i non credenti, tra le persone religiose e il mondo secolare, indifferente o ostile alla religione.

Dobbiamo dare ragione, anche con fermezza, della speranza che è in noi, ma farlo - come esorta la Lettera di Pietro - «con dolcezza e rispetto» (1Pt 2,15-16).

Rispetto non significa in questo caso «rispetto umano», un tener nascosto Gesù per non suscitare reazioni.

È rispetto di un'interiorità che è nota solo a Dio e che nessuno può violare o costringere a cambiare.

Non è un mettere tra parentesi Gesù, ma un mostrare Gesù e il Vangelo con la vita.

Ci auguriamo soltanto che un uguale rispetto sia mostrato dagli altri nei confronti dei cristiani, ciò che finora, purtroppo, è spesso mancato.

Dal momento che siamo nell'imminenza del Natale, terminiamo con un pensiero su questa festa.

Nella notte di Natale ascolteremo le parole dell'inno angelico: «Pace in terra agli uomini amati dal Signore», il cui senso non è: Sia pace, ma è pace; non un augurio, ma una notizia. «Il Natale del Signore - diceva san Leone Magno - è il natale della pace».

Come ricambiare il dono infinito che il Padre fa al mondo, dando per esso il suo Figlio Unigenito?

Se c'è una gaffe da non fare a Natale è quella di riciclare un regalo offrendolo, per errore, alla persona stessa da cui si è ricevuto.

Ebbene, con Dio non possiamo che fare tutto il tempo questa gaffe!

L'unico ringraziamento possibile è offrirgli Gesù che è suo Figlio, ma anche nostro fratello.

L'unico dono degno di Dio è l'Eucaristia.

E a Gesù che dono faremo?

Un testo della liturgia orientale di Natale dice: «Cosa possiamo offrirti, o Cristo, per esserti fatto uomo sulla terra? Ogni creatura ti reca il segno della sua riconoscenza: gli angeli i loro canti, i cieli la loro stella, la terra una grotta, il deserto un presepio. Ma noi ti offriamo una Madre vergine!».

 

 

 

 

 

PER UN ESAME DI COSCIENZA BASATO SULLE BEATITUDINI

 

«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».

Io sono un operatore di pace?

Metto pace tra le parti?

Come mi comporto nei conflitti di opinioni, di interessi?

Mi sforzo di riferire sempre e solo il bene, le parole positive lasciando cadere nel vuoto il male, il pettegolezzo, quello che può seminare discordia?

C'è la pace di Dio nel mio cuore, e se no perché?

 

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