Orizzonti 2

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Orizzonti/2

«Togliete la pietra! Scioglietelo!»

Giovanni 11,17-40

 

Il testo

[17]Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro. [18]Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia [19]e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. [20]Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. [21]Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! [22]Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». [23]Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». [24]Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». [25]Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; [26]chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». [27]Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».

[28]Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». [29]Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. [30]Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. [31]Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». [32]Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». [33]Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: [34]«Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». [35]Gesù scoppiò in pianto. [36]Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». [37]Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

[38]Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. [39]Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». [40]Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».

 

Per il contrasto marcato tra morte e vita, per il clima di ostilità che cresce attorno a Gesù, per il suo coraggio nell'affrontare questi momenti non facili, il testo è presente nella liturgia della quaresima {quinta domenica A). Lazzaro che viene svegliato dalla «morte» ci annuncia vita e risurrezione e aiuta a entrare nella grande celebrazione pasquale.

Vale la pena cogliere soprattutto alcuni elementi ispirativi dal rapporto d'intensa commozione che hanno fra loro Gesù, Marta, Maria. Attraverso il dialogo ampio, viene spiegato il senso più vero dì quello che poi sarà il "miracolo". Fa confondere il concentrarsi solo sul miracolo in sé, perché c'è il pericolo di perdere il suo vero significato.


Leggere e capire

Attorno a Gesù stanno crescendo le tensioni: è costretto ad allontanarsi da Gerusalemme, perché lo volevano lapidare come bestemmiatore (cf. Gv 10,31.40). Si rifugia a Betania, il villaggio alla foce del Giordano, dove Giovanni battezzava (cf. Gv 1,28). E lì che gli arriva la notizia della malattia dell'amico Lazzaro e l'invocazione delle sorelle Marta e Maria, perché si faccia presente nel momento del dolore. Gesù invece si trattiene altri «due giorni» (Gv 11,6), e poi parte per andarlo a trovare, anche se ormai Lazzaro «si è addormentato» (v. 11). Tra i discepoli però c'è preoccupazione: va a mettersi di nuovo nei guai, perciò cercano di dissuaderlo (v. 8). Tommaso -chiamato «gemello» - più coraggioso, si mostra disposto a rischiare la vita con Gesù (v. 16).

 

Qui inizia il nostro brano: può essere diviso in quattro sezioni, facili da individuare. Si tratta soprattutto di dialoghi che aiutano a capire il senso profondo del miracolo che Gesù sta per fare. Giovanni non è preoccupato di descrivere prima di tutto il miracolo, ma di parlare del mistero di Gesù, di cosa lui è e rappresenta per la comunità cristiana. Più del miracolo, è importante la teologia contenuta nei dialoghi.

- vv. 17-20: ambientazione geografica, i personaggi principali, il loro atteggiamento;

- vv. 21-27: il dialogo fra Gesù e Marta; a Marta che si lamenta dell'assenza, Gesù risponde cercando di portare la sua fede a una visione meno tragica e le fa intravedere una via d'uscita;

- vv. 28-32: l'incontro fra Gesù e Maria, più movimentato rispetto a quello con Marta, perché la seguono anche i giudei venuti a consolarla. Maria ripete la frase di Marta, ma solo nel lamento, senza la prospettiva della fede;

- vv. 33-38: reazione emotiva di Gesù e avvicinamento (commosso) al sepolcro;

- vv. 39-40: nuovo dialogo con Marta: non deve vacillare proprio ora; nonostante le apparenze, la sua fede ancora non è definitiva; ella soffre, non vuole riaprire un rapporto già penoso.

 

Alcune espressioni vanno annotate:

- Betania: ripetuta due volte (ma sono due località differenti). Questa della famiglia di Lazzaro si presenta come una casa ospitale: già Luca (10,38-42) aveva segnalato la presenza delle due sorelle, in atteggiamento diverso (servizio e ascolto), e con qualche tensione fra loro. Qui invece le tensioni appaiono superate, anche se i caratteri restano diversi: Marta va subito incontro al Signore; Maria resta in casa, chiusa nel suo dolore.

- Quattro giorni: (vv. 17 e 39) si pensava che dopo tre giorni cominciasse la corruzione del corpo, e che quindi dal quarto giorno la persona fosse definitivamente affidata alla morte.

- La commozione profonda di Gesù: vv. 33 e 38. Il verbo usato non indica solo la commozione d'affetto, ma anche una specie di reazione contro qualcosa che da fastidio. Il fastidio sarebbe la sceneggiata dei giudei che mentre compiangono, ancora criticano e stanno tramando a danno di Gesù (cf. v. 37).

- La presenza del verbo greco agapao: amare (vv. 5.38; diverso da philèo: vv. 3.11): è un verbo forte, indica un legame affettuoso molto intenso che unisce i personaggi. Tutto fa pensare che Giovanni voglia presentare come una comunità cristiana debba vivere e affrontare il dolore e la morte.

- La frasi centrale è probabilmente: «Io sono la risurrezione e la vita...» ( vv. 25-26). Ma potrebbe essere anche la risposta di Marta: "Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio...» (v. 27), che viene ripetuta come sintesi finale di tutto il vangelo (Gv 20,31).

 

Meditare la Parola

Sono tante le possibili riflessioni di approfondimento.

I temi che scegliamo, per quanto suggestivi, certamente non esauriscono la ricchezza del testo, ma anzi stimolano a cercare ancora in profondità.

 

1. C'è un clima di paura e tensione: attorno a Gesù già si stanno delineando i propositi omicidi. Ormai si ripetono vari tentativi di prenderlo, di lapidarlo, di ucciderlo. La prudenza suggerisce di tirarsi fuori, di allontanarsi, di non farsi vedere. Gesù di fatto sparisce e torna al luogo dove aveva preso coscienza della sua missione: nella zona del battesimo, Betanìa, al di là del Giordano (cf. Gv 1,28). Ma anche lì lo raggiunge la notizia della malattia dell'amico Lazzaro. Ora si tratta di scegliere, fra la propria sicurezza che esige di stare nascosto e il legame d'affetto che esige di accettare il rischio di avvicinarsi a Gerusalemme per aiutare chi ha bisogno.

Il ritorno alla radice della propria missione gli dà la forza di affrontare il rischio, non si chiude nel brutto ricordo della prima esperienza. Anzi, rende tale esperienza più matura con una nuova scelta: andrà in mezzo al pericolo. Perché è una circostanza adatta a far maturare la fede autentica: non va per fare miracoli, ma per portare la fede (delle amiche) fuori dalla paura della morte e dall'angoscia del dolore. Giovanni costruisce tutto in modo da far capire come deve vivere una comunità cristiana: in fraternità, superando gli schemi giudaici chiusi e disperati (non c'è consolazione), affidandosi a Colui che è la vita e la libertà.

Maria nel suo isolamento, rappresenta questa paralisi mentale e fisica. Marta è più reattiva e intraprendente e accerta un dialogo illuminatore.

 

2. Vediamo il comportamento dei personaggi: è molto ben costruito.

Gesù si avvicina agli amici che soffrono e non trovano consolazione: e lo fa con grande rischio personale. Tutti gli riconoscono un legame di amicizia intensa: sia nell'annuncio, sia nel suo modo di parlarne, sia nella reazione emotiva quando vuole visitare il sepolcro. Una «commozione profonda», dice il testo, che manifesta una umanità che si lascia coinvolgere. Da questa emozione Gesù non si lascia travolgere o paralizzare, invece Maria sì. Gesù è costretto ad affrontare sia il ricatto affettivo delle sorelle («Se tu fossi stato qui...»: vv. 21.32), sia l'ironia di coloro che avevano visto altri miracoli («non poteva anche far sì che costui non morisse?»: v. 37). Egli gestisce la situazione con grande sicurezza, non si lascia travolgere, ma neppure è indifferente: ha chiara coscienza di sé.

Marta: appare capace di reazione e d'intraprendenza. Tiene testa alle parole di consolazione di Gesù. Ripete alcune formule che erano tipiche della sua predicazione, ma non vede nelle sue parole un segno di vita nuova qui e ora. Il «qui» (vv. 21.32) si riferisce a quando Lazzaro moriva e sono passati ormai «quattro giorni». Gesù la porta sulla soglia di un altro qui e ora, che Marta non sa ancora affrontare da sola. Per questo desidera coinvolgere la sorella Maria nello stesso itinerario alla verità.

Maria: appare silenziosa, avvolta nel suo dolore, come paralizzata. Forse c'è anche un senso di puntiglio: Gesù poteva venire prima, ora non serve più. Il fatto che sia circondata da giudei, può significare la sua fede giudaica: con la morte tutto si conclude, non c'è altro da attendere. Per questo i giudei presenti interpretano la sua corsa verso fuori, come un andare a «piangere al sepolcro» (v. 31). Marta la invita invece a uscire dalla sua prostrazione, ad ascoltare direttamente la parola di vita e speranza, a essere di nuovo «discepola del Maestro», come le piaceva fare (cf. Lc 10,39). Alla fiducia nel «Maestro», a cui fa cenno Marta, si sostituisce il titolo di «Signore», un titolo presente in tutte le frasi. Ciò è significativo perché si tratta del «Signore della vita». In Maria prevale il rispetto adorante, perché si butta ai piedi, profondamente afflitta.

 

3. Proprio il clima di dialogo intenso, di fatica a capirsi e ad accettarsi, è importante: tutto resta come sospeso fra un sentimento di frustrazione e l'attesa di qualcosa di strano e misterioso. In ogni elemento si può avere un'importanza da sottolineare. Gesù si ferma fuori del villaggio: prima Marta e poi Maria gli vanno incontro. Cioè, tutti devono uscire dalla loro casa del dolore, senza luce né speranza, e confrontarsi con lui. Dapprima mostrando anche la propria reazione un po' dura, poi facendosi condurre dal «Maestro» verso i nuovi significati di quella tragedia.

Il dialogo e la commozione reciproca lentamente si sciolgono: le due sorelle si preparano all'avvenimento, con altri sentimenti e altre interpretazioni. Gesù non entra nella casa del dolore: costringe le sorelle a uscire, a prendere le distanze. Per vedere la propria sofferenza da un luogo meno chiuso, da una posizione di più ampia prospettiva, Questo consente di non essere sopraffatti emotivamente da tutti i segni che richiamano il morto. Questi segni in casa erano ricordi di «vita» strappata, ma già vissuta e chiusa. Fuori casa, e poi al sepolcro, sono i segni «shockanti» della morte; non si voleva vederli e neppure avvicinarli di nuovo. Eppure bisognava affrontarli senza paura (cf. il timore di Marta, v. 39): solo così si sciolgono bende e sudario che avvolgono mani, piedi e volto.

 

4. Il richiamo alla vita di Lazzaro è per Gesù anche la firma della propria condanna: mentre è un dono fatto a una famiglia amica, è insieme anche l'occasione per provocare l'ira omicida dei capi. Infatti fra gli spettatori «giudei» presenti, alcuni sono pronti a informare i propri capi: «Alcuni andarono dai farisei e riferirono quello che Gesù aveva fatto» (v. 46). E Giovanni annota: «Da quel giorno i capi decisero di ucciderlo» (v. 53). Gesù non solo ha varcato la frontiera della morte facendo uscire Lazzaro dal sepolcro e liberandolo dagli impedimenti, ma ha anche siglato la propria condanna. Perché così, con un simile «potere», avrebbe attirato tutti a sé. Il timore è esplicito: «Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui» (v. 48), e perderanno credibilità gli altri capi. E questo non poteva essere ammesso.

La scusa sembra politica: «Verranno i romani, e distruggeranno il nostro luogo santo» (v. 48). Ma di fatto è una questione di autorevolezza e autenticità. Per i giudei (i farisei soprattutto e il sinedrio), Gesù aveva sorpassato il limite. Oltre alla troppa libertà di agire e di interpretare la legge, e la troppa confidenza con Dio («Tu che sei un uomo, ti fai Dio»: 10,33), ora non rispetta neppure la morte fisica. Egli fa uscire i cadaveri dai sepolcri, mettendo così a rischio il precetto di non toccare i morti e mostrandosi dominatore anche oltre questa vita. E per far questo proclama di essere il Signore della vita, di voler dare vita e libertà, «a chiunque si affida a lui» (v. 25). La risurrezione del «fratello Lazzaro» è al servizio di questa verità, per la vittoria di tutti sulla morte (cf. Gv 11,4).

 

5. Possiamo tentare un'interpretazione legata alla psicologia del profondo. Se noi teniamo presenti i testi che nei Vangeli ci parlano di questa famiglia, troviamo tre episodi.

Il primo incontro in casa, con Marta indaffarata che si dà da fare e Maria che sta tranquilla ai piedi di Gesù ad ascoltare. Tra le due sorelle c'è tensione: Marta invita Gesù a rimproverare la sorella che sta comoda senza darle una mano (Lc 10,38-42). Si notano i caratteri differenti: per Marta davanti all'ospite si deve fare bella figura, dandogli il meglio che si ha; per Maria davanti all'ospite si deve stare in ascolto, accettando quello che lui ha da offrire. Lazzaro non esiste in questa prima scena.

Nella seconda scena - che è la nostra pagina - Marta appare ancora la prima ad accorrere, e tiene testa al discorso di Gesù, mostrando che le parole di consolazione sono belle, ma valgono solo al futuro. Maria appare ancora introversa, accasciata nel suo dolore. Sarà Marta stessa questa volta a invitarla ad accogliere «il Maestro» che la vuole vedere; essa accetta che per Maria sia questo il «rapporto» più adatto. Anzi, aggiunge che è Gesù stesso che la chiama («ti chiama»). Possiamo vedere però anche qui che Lazzaro è come soffocato dal protagonismo delle sorelle. Lo hanno bendato, gli hanno tolto la libertà, una pietra chiude la sua esistenza. La guarigione del fratello passa attraverso la riconciliazione fra le sorelle e il pianto che le unisce in profondità. Gesù le costringe a prendere una nuova posizione davanti al fratello, a lasciarlo andare libero. Gesù chiama in vita il «Lazzaro» bloccato, legato, puzzolente. Esse stesse devono dargli un nuovo spazio e un nuovo ruolo nella loro vita, liberarlo perché sia se stesso, in libertà...

La terza scena è quella di Giovanni 12,1-11. In questo caso Lazzaro siede a mensa con Gesù, Marta serve e Maria unge con un profumo prezioso i piedi di Gesù. L'armonia reciproca è ricostruita grazie alla mediazione di Gesù. Le tre personalità appaiono ben distinte e insieme ben armonizzate. E quel profumo che riempie la casa con la sua fragranza è segno di una nuova esperienza comune: dalla tensione, alla separazione, alla nuova nascita per la vita. Mentre dietro si trama l'opposto; proprio per questo miracolo i capi decidono la morte di Gesù (Gv 11,53). Colui che ha ridato vita e speranza, viene destinato alla morte...

 

La Parola sapienza di vita

• Tutto sembra che si svolga come a! rallentatore: Gesù aspetta prima di mettersi in viaggio. Arrivando si ferma fuori del villaggio ed è lì che dialoga con Marta e poi con Maria. Di fronte alla reazione emotiva di Marta si spiega ancora; e poi alla fine «chiama fuori» Lazzaro e impone di «scioglierlo e lasciarlo andare». È evidente che si tratta di un segno da interpretare e capire. I prodigi, i miracoli, le grazie, sono «segni» che indicano modi di vivere e non puri fatti di cronaca. Non è l'essere miracolati che salva, ma l'adesione sincera, seria a Gesù, Signore della vita. La «guarigione» è quella profonda, interiore che rompe con gli schemi di morte e disperazione. Vengono tolte le bende e sciolti i lacci che imprigionano nella tristezza. È questa «guarigione» profonda che noi invochiamo?

• II testo dà particolare rilievo alla «commozione profonda» di Gesù. Si insiste anche sul legame «affettuoso» fra Gesù e i tre della famiglia, specialmente con Lazzaro. È segnale di una umanità piena, capace di empatia, persino di pianto. Ma non va dimenticata anche la reazione disgustata di Gesù di fronte alla falsa commozione di alcuni presenti che conservano nascosto un atteggiamento di ostilità (e andranno subito a informare i capi). Può capitare che a volte ci vergogniamo delle nostre emozioni, umane e religiose. Comprendiamo il nostro pianto come un percorso di autenticità umana? Nascondiamo i nostri sentimenti, come se fossero debolezze nella fede?

• Gesù si attarda a dialogare, risponde alla visione di Marta che rimanda alla fine dei tempi («l'ultimo giorno») con un richiamo a una speranza nuova qui e ora. Sollecita Marta a credere in lui, sorgente di vita. Si lascia coinvolgere nella fatica di capire: insiste con domande personali. Per tutti la fede è un «cammino» a volte oscuro, a volte misterioso, che ha bisogno di dialogo e tempo. Non può essere solo una questione di formule astratte, che rimandano all'«ultimo giorno». È dialogo e studio, domande e risposte, non solo formule, tanto meno solo riti e gesti ripetuti.

• Per riprendere l'interpretazione data dalla psicologia del profondo: quale parte di noi è come Lazzaro bendato e occultato? C'è sempre qualche parte che è come rimossa, nascosta, si sta deteriorando e puzza. Bisogna impegnarsi a ricomporre l'unità e le relazioni con gli altri e noi stessi, tirando fuori dalla rimozione questa realtà. Si tratta di una situazione familiare deteriorata, di una amicizia non positiva, di una esperienza non integrata e accettata, di un conflitto o rancore che ci rode dentro, o altro ancora. Come non aver paura di affrontare questa «puzza», e come sciogliere ogni legaccio paralizzante?

• Possiamo vedere, in questa famiglia di amici di Gesù, il simbolo della comunità dei credenti. C'è una serie di passaggi. Si comincia da alcuni atteggiamenti fondamentali: ascoltare, ospitare, servire, senza un equilibrio fra le parti (cf. Lc 10,38-42). Poi la relazione è attraversata dalla sofferenza e dalla morte che fa crescere in una nuova comprensione della fede in Gesù Cristo. Gesù va capito non come il «distributore di miracoli», ma la sorgente della vita, il guaritore di malesseri profondi e nascosti. Infine, nel momento più maturo (Gv 12,1-9) si realizza una comunità conviviale, tutti sono a mensa insieme con Gesù. Viene servito da Marta e viene onorato il suo mistero (di morte/risurrezione) da Maria con il profumo prezioso. Le nostre comunità sanno percorrere insieme nella fede un cammino nuovo, per una nuova convivialità?

 

PER LA RIFLESSIONE

«II gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce» (K. Gibran).

Si sente il sapore della morte nella desolazione di chi si lascia morire perché le ostilità hanno vinto. Il suo cattivo odore non è forse, anche, in quei sepolcri vestiti d'oro, che ospitano il potere, il mercato, le idolatrie postmoderne? Eppure, sembra che solo il pensiero della morte fisica raggeli la voglia di vivere. Per questo non osiamo pensarci e mascheriamo la paura con rumori ed eccitanti emozioni. Strano paradosso! Fuggiamo dal pensiero della morte fisica, ma viviamo lì dove gli schemi mortali di qualcuno ci conducono.

«Voi vorreste conoscere il segreto della morte. Ma come lo scoprirete se non cercando nel cuore della vita?» (K. Gibran).

Il dialogo attorno al sepolcro di Lazzaro rivela molte cose nascoste dietro le pietre e scioglie bende e paure.

 

Tracce di contemplazione

Indifesi e nel panico di fronte al dramma della morte. Senza parole, senza strumenti, come statue, induriti accompagniamo alla tomba chi abbiamo amato. Grida a squarciagola il nostro cuore.

Chi ci ha chiamati a vivere la morte?

Ci lasciamo morire da vivi.

Abbiamo perso Lazzaro, nostro fratello,

forse una parte di noi che è morta,

o tentiamo di far sparire a tutti i costi.

È il buio della tristezza,

dell'angoscia per un vuoto che non si sa come riempire.

E quella la ferita che abbiamo bendato senza curarla,

troppo dolore lasciarla all'aria aperta.

Tu piangi Signore,

ciò che abita nell'animo umano non ti è estraneo.

Sei commosso,

per questa morte che sembra prendere il sopravvento.

Morte per siccità,

per ingiusta povertà,

per indifferenza,

per idee e convinzioni violente,

per sopraffazione mascherata da amore.

Signore tu non acclami la morte,

tu non invochi alla rassegnazione.

Ti vedo correre. Dove vai?

Verso i nostri sepolcri!

Ecco, interroghi anche noi,

disarmato e commosso ci chiedi:

«Dove l'avete posto?».

E ci inviti a togliere la pietra,

ad accettare di ridare un senso nuovo

a ciò che tentiamo di seppellire.

«Se davvero volete vedere lo spirito della morte,

spalancate il cuore al corpo della vita» (K. Gìbran).

 

Dammi la mano, Signore, voglio correre con te!

 

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