Lacerazioni 2

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Lacerazioni/2

«La tua ferita si rimarginerà presto»

Isaia 58,1-12

 

Il testo

[1]Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce; dichiara al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati. [2]Mi ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che pratichi la giustizia e non abbia abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la vicinanza di Dio: [3]«Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?». Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. [4]Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. [5]E' forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? [6]Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? [7]Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? [8]Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. [9]Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, [10]se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. [11]Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. [12]La tua gente riedificherà le antiche rovine, ricostruirai le fondamenta di epoche lontane. Ti chiameranno riparatore di brecce, restauratore di case in rovina per abitarvi.

 

I testi di Isaia sono sempre stati molto suggestivi, non solo per il richiamo alla purificazione interiore e sociale, ma anche per la forza evocativa dei suoi richiami alle tradizioni, alla fedeltà di Dio, alle esigenze dell'alleanza, alla grazia che sempre si rinnova, pur nelle oscurità di certi periodi difficili.

Questo testo di Isaia è un classico per la verifica dell'autentico culto gradito a Dio. Ma è anche una pagina molto pungente per una autentica solidarietà con i deboli e per un nuovo patto di fraternità, che permetta di ricostruire davvero la convivenza su basi di giustizia e di attenzione reciproca.

In effetti le vicende storiche avevano introdotto dei cambiamenti profondi, perfino irreversibili, per la storia e la coscienza religiosa e sociale del popolo. Ma negli strati più profondi della coscienza religiosa e dell'agire, molto era rimasto come prima. Tornavano ad apparire proprio i vecchi vizi, le ipocrisie religiose, perfino le imposture che cinquant’anni di esilio doloroso non avevano mai del tutto sradicato.

 

Leggere e capire

Ampio e il brano, ricco d'immagini concrete. Possia­mo individuare alcuni blocchi nello sviluppo dei pensieri. Cerchiamo di scoprirli con delle suddivisioni:

Presentiamo due proposte. Una prima divisione può essere fatta in tre blocchi:

- vv. 1-5: un'introduzione generale, con l'atto d'accusa, sia sotto forma di ipocrisia nel cercare Dio (vv. 2-3a); sia sotto forma di contraddizione palese, e rifiuto di una ritualità solo formale (vv. 3h-5);

- vv. 6-7: il vero digiuno che Dio desidera è quello che esprime fraternità e libertà;

- vv. 8-12: conseguenze positive, salvifiche, restauratrici della nuova e autentica religiosità.

 

Ma possiamo trovare altre suddivisioni:

Per esempio i vv. 1-7 sono costruiti secondo il tipico schema del giudizio profetico (cf. Am 4,6-12; 5,21-27; Is 12,1-3.10-17), accuratamente elaborato: una convocazione formale (v. 1), un'accusa (vv. 2-4a), un verdetto di libertà condizionata (v. 4b), un'altra accusa (v. 5), e infi­ne un avvertimento in forma interrogativa (vv. 6-7).

I vv. 8-12 annunciano gli esiti positivi della nuova autenticità: soprattutto in una prospettiva che richiama alcune espressioni dell'esodo (cf Es 14,19-20): come luce, acqua, gloria, presenza del Signore. E si concludono con il riferimento concreto al presente: la fase di ricostruzione materiale della città. Il pezzetto 9b-10 assomiglia ai versetti 6-7, e sembra inserito casualmente qui.

Da notare che tutto il brano è intrecciato dal ripetersi di alcune parole chiave, come: invocare (1.5.9); oppressi (6.9); pane (7.10); afflitti (3.7-10); piacere (2.3.13); giorno (3.5.10). Ciò sta a indicare che il risultato finale è di per se già nel cuore dei peccatori. È già iniziato per loro il nuovo giorno, una condotta migliore.

 

Alcune espressioni meritano attenzione:

- bramare, desiderare, ricercare (v. 2): Israele ha il desiderio dì un rito e di un digiuno esteriori, mentre Dio desidera la compassione per i poveri;

- affliggersi (mortificarsi: v- 3) con il digiuno, ma anche indifferenti verso gli afflitti e i bisognosi che li circondano (v. 7);

- ricercano (v. 2) è espressione tecnica per dire «andare dal Signore, al santuario»: e invece di fatto vanno dalla parte opposta, agendo in modo contrario a quello che vorrebbe Dio.

 

Importanza del contesto: l'autore è il trito-Isaia, cioè uno scrittore-profeta che sta in mezzo alla gente rientrata dall'esilio. Alla grande utopia della restaurazione subentra presto un'amara delusione: ci troviamo in una fase molto delicata, perché alla lentezza della ricostruzione della città e dei simboli religiosi, si accompagna già l'apparire veloce dì vecchie ingiustizie, di emarginazioni e oppressioni, il sogno di una nuova stagione dì fraternità e alleanza con Dio vissuta in autenticità si scontra con la realtà di un ritualismo vuoto, di conversioni ipocrite, di interessi che dominano i rapporti, di sfruttamento e rissosità che intristiscono le relazioni sociali.

Tutta la terza parte (cc. 56-66) di Isaia ritorna su questo tasto: la delusione della realtà; l'accusa di una mistificazione della speranza dei semplici; il ritorno alle ingiustizie sociali, le divisioni causate dall'egoismo, dalla mancanza di giustizia. I piccoli e i poveri soffrono ancora, oppressi dai propri fratelli; non resta a questi che il grido al cielo. Tutto dimostra che non si è imparato nulla dalla sofferenza: gli egoismi riappaiono, l'infedeltà domina, la religiosità puramente formale da il tono a tutto. Al profeta non rimane che un'ultima risorsa: rimettere alla venuta definitiva del servo del Signore - il misterioso personaggio del capitolo 61 - l'instaurazione di una nuova storia di libertà e santità.

 

Meditare la Parola

Vediamo di entrare più in profondità nel testo, per scoprire - dietro le parole del profeta - le intenzioni profonde di Dio. Il testo nella sua concretezza pratica potrebbe favorire una lettura immediatamente moralistica, perfino un esame di coscienza. Bisogna evitare questa scorciatoia moralistica, e piuttosto arrivare alla sostanza vitale di questa pagina profetica.

 

1. Il profeta parla di fronte a un'assemblea liturgica, in un contesto religioso, rituale e formale molto evidente. La sua funzione in questo momento è quella di mascherare le ipocrisie, il ritualismo vuoto, l'egoismo che si nasconde anche nelle cose sacre. Non ha un compito facile, perché nel popolo c'è la sensazione che non valga la pena fare quel digiuno: tanto Dio non ci bada (v. 3). Tutto all'apparenza è corretto, c'è una ricerca di Dio, dei suoi giudizi, della sua vicinanza: ma non succede nulla. Non è facile smascherare la falsa religiosità, la sicurezza di chi si crede a posto, e si attende che Dio gli dia ragione e gli confermi benevolenza. Anzi gli spiani la via togliendogli ogni problema di ricostruzione, e facilitandogli la nuova coabitazione.

Il profeta mette subito in chiaro le cose: non è Dio che non risponde. La questione è un'altra: un digiuno cosi non bisogna farlo, non rende onore a Dio, ma aggrava ancor di più la malvagità della condotta ingiusta. Perché si vorrebbe rendere il popolo innocente, ma senza una vera conversione: e così se ne svela piuttosto il peccato-Si tratta di una falsa ricerca di Dio, di un alibi per tacitare le coscienze. Un vero oppio per la coscienza collettiva: fare tanto fumo davanti a Dio; e intanto, dietro, si trama contro il debole, non si condivide, non si rispettano i diritti, non si vive la fraternità veramente.

 

2. Il linguaggio del profeta mescola ironia e realismo, domande e dubbi retorici. Ha il coraggio di profanare certe ritualità che si vorrebbe far passare per espressione di autentica religiosità: il capo chino, il vestito povero e lacero, il letto scomodo. Ma accenna anche alle invocazioni classiche della religiosità: chiedere a Dio i giusti giudizi, la sua vicinanza, le sue vie. Dietro la correttezza più tradizionale e le forme penitenziali più generose, non c'è nulla, dice il profeta. Solo apparenza e alibi: mentre gli operai sono angariati (si usa lo stesso verbo della situazione degli ebrei in Egitto), i rapporti reciproci sono guastati con urla e alterchi. A Dio sale più il chiasso del litigio aggressivo che la lode rituale.

Questo modo di parlare è comune a tutti i profeti: e anche Gesù userà questa forma di ironia. Anche Gesù smaschera il formalismo esteriore che non può nascondere la falsità inferiore, il vuoto di valori. Tutta la letteratura profetica ha nella falsa religiosità uno dei suoi cavalli di battaglia: perché sempre nei momenti di crisi si cercano compensazioni religiose, invece che sottoporsi a un serio esame dei propri atti e delle conseguenze che ne sono derivate.

 

3. Il vero digiuno - ossia la vera forma di onorare il Signore liberatore, e non un idolo a nostra misura - sta nell'imitazione del suo stile, in tutte le azioni. Cioè nel «privarsi» di quelle azioni che esprìmono oppressione, sofferenza, emarginazione, sfruttamento. E qui il profeta si esprime con una duplice richiesta. Da un lato rompere con le forme di oppressione: si tratta di donare libertà, dignità, giustizia a chi ne è stato privato. E una fase di rottura instauratrice: che ha presente categorie ben precise di povertà e sofferenza. Si sente un'eco soprattutto delle forme di schiavitù da cui sono appena tornati liberi.

Ma c'è una seconda serie di azioni, diciamo più costruttive: esse esprimono lo sforzo di creare fraternità, di realizzare una grande famiglia. Si parla di pane e casa, di vestito e accoglienza. Saranno queste le categorie su cui insisterà Gesù nella scena del giudizio universale (cf. Mt 25,31-46). Mentre sarà Luca a dare risalto alla prima serie di azioni, quando presenta Gesù all'inizio del suo ministero, mentre commenta la profezia di Isaia 61 - che è parallela a questo versetto di Is 58,6 - nella sinagoga di Nazaret {Le 4,16ss.). L'una e l'altra delle due prospettive sono fondamentali: si tratta di togliere la violenza e di praticare la fraternità. O se vogliamo esprimerci in maniera più positiva, alla luce del vangelo: si tratta di vivere secondo lo spirito delle «beatitudini».

 

4. Il tema della ferita: possiamo immaginare quale possa essere questa ferita. Anzitutto la ferita collettiva, sociale e culturale: cioè la confusione caotica del ritorno. Fa dolore la mancanza dei segni pubblici: il tempio, il servizio cultuale, le varie organizzazioni religiose, il tempo non scandito dalle feste. Tutto era da ricostruire, lutto era sbrecciato, faceva pena. Ma c'era anche una ferita morale, che forse non si voleva vedere: la confusione fra religione autentica e ritualità formale. Dentro il cuore e la coscienza c'era confusione, e si confondeva il male vero con quello fittizio. Si cercava serenità e guarigione insistendo sui riti penitenziali: quasi a punirsi, per togliersi il senso di colpa. Era una falsa valutazione e una pessima via di uscita.

Non era moltiplicando le mortificazioni che si usciva dalla depressione collettiva, dal senso di frustrazione, dall'angoscia per la desolazione. Bisognava uscirne attraverso una nuova stagione di solidarietà sociale, vivendo insieme un nuovo esodo interiore. Sì trattava di fare il cammino dell'esodo di nuovo - molte sono le allusioni a questo evento - ma nel suo significato più profondo e spirituale. Camminando verso il prossimo, incontrandolo nella sua povertà e nella sua fame, aprendo il cuore e le mani. Solo così si conosceva sia la vera ferita, sia la vera guarigione: perché si instaurava la nuova solidarietà, frutto della comunione con Dio e con i fratelli. Allora Dio risponderà: «Eccomi!» (il contrario del silenzio del v. 3). Non lascerà senza risposta l'invocazione, perché essa nascerà dalla solidarietà e dalla vera condivisone.

 

5. I molti richiami a temi e simboli dell'esodo, quello dall'Egitto. C'è anzitutto il tema dell'oppressione degli operai («angariate»: v. 3b; cf. Es 5,6-11; Lv 23,27-32). E soprattutto ci sono i grandi simboli del deserto: la luce che guidava gli esuli anche di notte e la nube che li riparava dal sole cocente (Es 13,21-22; 14,19-20); il cibo offerto da Dio in terreni aridi, la manna (Es 16) e l'acqua che sgorgava dalla roccia (Es 17,1-7). Si potrebbe anche aggiungere l'osservanza del sabato (vv. 13-14) che era interpretato come memoria della «liberazione» donata da Dio e da vivere praticandola e donandola agli altri (Dt 5,12-15). Il grande paradigma dell'esodo viene così a rifiorire nella nuova solidarietà, nella capacità di tutti e di ciascuno di non ripetere l'oppressione antica, ma anzi di sostenersi a vicenda. Diventare l'uno per l'altro testimoni dì liberazione, di speranza, di nuova comunione rispettosa (cf. v. 9: «il parlare empio, il puntare il dito"), sarà segno dell'alleanza rinata.

E come se si volesse dire che l'autentica religiosità trasforma ciascuno e tutti insieme in nuovi «Mosè», che conducono verso nuovi patti di amore, che provocano Dio a ripetere gli antichi prodigi, a farsi vicino, a sostenere nell'angoscia e nella lotta di ricostruzione. Nella preoccupazione di fare solo dei riti, imitando gli antichi rituali, ma senza una vera coscienza di fraternità, c'è pura alienazione. Ci si ferisce, non si guarisce, non si ricostruisce nulla per quella strada: né le mura, né le persone. Senza carità reciproca, generosa, solidale anche il culto più grandioso è vuoto e sterile.

 

La Parola sapienza dì vita

• «Perché digiunare se tu non lo vedi, mortificarci se tu non lo sai?». Il profeta deve contestare la religiosità che all'apparenza sembra ispirata da retta intenzione. Col rischio di essere preso per disfattista: in quanto non sa apprezzare il ritorno alle pratiche antiche; vede solo difetti, poca sincerità, imperfezione. Potrebbe sembrare uno che non si accontenta mai, che cerca sempre e solo la perfezione. Il solito fanatico. E invece proprio qui sta il punto: non si esce dalle angosce, dalle frustrazioni passate e presenti, dalla desolazione delle rovine, moltiplicando pratiche sacre, aumentando gestì religiosi e mortificazioni esteriori, quasi soffocandosi di celebrazioni e devozioni. Dio non si compra con le pratiche ascetiche, fanatiche: ci si accosta a lui amando i fratelli e soccorrendoli nella necessità, non facendo finta di niente, o peggio sfruttandoli. Siamo a volte anche noi così: preoccupati dei riti e delle mortificazioni, e incapaci di solidarietà e fraternità. Cerchiamo un nuovo incontro con Dio ignorando i fratelli deboli, e consumando riti soltanto?

 

• «È forse questo il digiuno... Non è piuttosto questo....? ». Gli uditori del profeta Isaia separavano religione e vita, giustizia sociale e culto. Rendevano culto a Dio, e facevano soffrire la creatura che Lui aveva creato e liberato. È la tentazione frequente, vivere secondo due logiche: quella religiosa, formale e rituale, e quella degli affari e della vita sociale. Allora succedeva, ma succede ancora oggi: si mette tutto l'impegno per la messa, i sacramenti, per abbellire i luoghi sacri, per una presenza pubblica dei segni della religione. Ma poi si lascia libera corsa alle ingiustizie, alle emarginazioni, ai sistemi che tolgono il pane, la dignità, la libertà, la speranza a persone e gruppi sociali, a popoli interi. Il dialogo col cielo e la speranza eterna, ci hanno resi estranei e sordi al grido dei poveri e degli oppressi, alla loro dignità e speranza di giustizia e liberazione? Dobbiamo considerare l'impegno per la solidarietà e la giustizia parte vitale della nostra stessa fede.

 

«La tua ferita si rimarginerà presto». C'erano ferite nella memoria ma anche nel presente. Non solo mancava un'organizzazione religiosa e il tempio era distrutto, ma mancava la libertà per tutti, mancavano il pane e il vestito, la casa e il calore, una nuova vita. I sogni di un ritorno e di una restaurazione si infrangevano con le nuove povertà e i nuovi sfruttamenti: per alcuni non era finita la sofferenza; e questa volta a causa dei fratelli di speranza e di sangue. La sfida a riconoscere le vere ferite: gli affetti spezzati, la dignità del corpo mercificato, la giustizia irrisa, la libertà soffocata, la speranza delusa. Non dobbiamo pensare che tutto vada a posto miracolisticamente, basta fidarsi del Signore, andare da qualche santone, cercando benedizioni ed esorcismi. Le nostre soluzioni hanno il sapore della vita vera, della solidarietà, del pane spezzato e delle catene infrante?

 

«Brillerà fra tenebre la ma luce». Al ritorno dall'esilio, ogni famiglia ebrea era intenta a ricostruire il proprio nucleo, sen;a fare memoria della storia comune, dell'accumulo di sogni e propositi, e .senza custodire con attenzione chi era più fragile. L'umanità sta vivendo sussulti ed esodi, migrazioni sempre più caotiche e nuove emergenze. La Parola ci chiama a guardarci attorno, a praticare l'ospitalità, la convivialità, a costruire insieme una nuova città, senza egoismi. Questa è la via per edificarci come mondo nuovo. La presenza dei credenti in queste emergenze è cartina di tornasole dell'autentica fede vissuta. Oltre il pane e il vestito da offrire, c'è anche una dignità da accogliere, una ricchezza culturale da riconoscere, un patrimonio d'umanità da condividere. Non ci si può limitare a dare qualcosa con le mani, occorre condividere la vita, i sentimenti più profondi, per portare insieme ferite e rischi.

 

• «La tua oscurità sarà come il meriggio». La fase iniziale di ricostruzione era dettata dall'entusiasmo; ma gli israeliti dovettero constatare che le rovine erano tante. Non c'era rimasto quasi più niente; tutto un grande patrimonio era stato oscurato, non brillavano più i segni della tradizione. Non era facile far sorgere una nuova aurora; ancora più difficile far arrivare al meriggio pieno di luce il nuovo giorno. E la situazione che a volte anche noi proviamo: è tanto difficile ricominciare, rimettere ordine, riparare qualche cosa che è andata male. Figurarsi quando si potrà arrivare al meriggio assolato. Ci cascano le braccia, e allora non facciamo più niente, come schiacciati dalla distanza fra inizi e maturità. Capita d'essere come paralizzati da questa sensazione, dal lungo percorso fino alla maturità. Bisogna vedere le cose per gradì, vedere da dove cominciare, invece che fissarci solo sul punto finale. Sappiamo muovere i primi passi nella direzione giusta ?

 

• Aggiungiamo un ammonimento di un santo padre antico: -Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori Io trascuri quando soffre il freddo e la nudità... Che vantaggio vuoi che abbia Cristo se la mensa dei sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi egli muore di fame nella persona del povero?

Prima servi l'affamato e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d'oro in chiesa e non «li darai un bicchiere d'acqua fuori' Che bisogno c'è di adornare con vasi d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Perciò, mentre adorni l'ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo e più prezioso di quello» \

 

PER LA RIFLESSIONE

In molte occasioni della vita ci facciamo del male senza saperlo o anche senza volerlo, con conseguenze inaspettate. Una discussione, un malinteso, una decisione affrettata sono all'origine di amarezze e atteggiamenti duri per noi e per gli altri. Ci manca la forza di andare oltre, e cercare di capire che dietro a un errore potrebbe esserci una ferita mal curata o mai messa alla luce, o forse un dolore mai urlato. Esorcizzare i rimorsi e le delusioni con un accumulo di gesti religiosi, fino all’esasperazione, non guarisce, ma fa incancrenire le ferite, E importante riuscire a intravedere la sorgente liberante, per ridare forma a tante vite spezzate! Anche Isaia aveva davanti gente che affidava alla religiosità rituale e fanatica la guarigione di una ferita che solo in altro modo poteva guarire.

 

Tracce di contemplazione

Ci sono parole che sanano la mente e sollevano il cuore. Ci sono parole che uccidono, silenzi che non aiutano, frasi che dividono.

Ma c'è una parola che può guarire ogni fredda sordità, illuminare le nostre tenebrose cecità. E la parola fatta di gesti, di silenzi, di frasi sobrie e discrete, che nutrono il cammino ferito della vira. È l'ascolto, porta aperta della vita all'imprevisto dell'alterità.

Pesanti, le catene di un mondo che noi stessi abbiamo costruirò! Difficile allontanare la tentazione che siamo noi stessi a salvarci con digiuni e riti, o con quella strana «tristezza di circostanza», che osiamo chiamare penitenza.

Ecco la nostra fede burocratizzata!

Ma tu puoi liberarci, Signore, da abitudini e idee così poco umane, cu scendi nel nostro mondo, dove più di uno pensa di essere Dio, e ci indichi strade percorribili: togliere l'oppressione, porgere la mano a chi è senza pane, guar­dare il volto di chi ci passa accanto.

Le rovine costruite dall'odio e dal potere tu vuoi ricostruirle, ma insieme a noi. Non ci chiedi pratiche sacre e gesti religiosi, ma uno sguardo rinnovato sul mondo: gesti lenitivi, su ferite che sanguinano.

Scelte quotidiane che riporteranno la luce. E tu Irrigherai l’arido giardino, darai forza alle ossa stanche (Is 58,11 ), che finalmente accolgono la tua richiesta di fraterna giustizia!

Il nostro rito: l'amore.

 

«Tutto ciò che durante la giornata, crescerà nel Mondo, tutto ciò che in esso diminuirà - e anche tutto ciò che vi morirà - ecco, o Signore, l'elemento che mi sforzo di raccogliere in me per presentarlo a te.

E questa la materia del mio sacrificio, quell'unico sacrificio di cui tu abbia voglia» (P. Teilhard de Chardin).

 

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