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La famiglia Catoio di Eboli: quattro fratelli sacerdotidi Paolo Sgroia
Una meravigliosa famiglia si è distinta in Eboli tra l’800 e il ‘900. È la famiglia Catoio che ha dato alla Chiesa ben quattro sacerdoti: tre diocesani e un religioso morto in concetto di santità. In questa straordinaria famiglia si è distinto anche un valevole pittore morto in giovane età. Ma in una famiglia non nascono vocazioni per caso se non ci sono dei genitori che educano i propri figli alla fede. Il padre Raffaele, era conosciuto come uomo caritatevole, tanto che durante il colera del 1887, fu incaricato dal parroco di Santa Maria della Pietà, come “Aiuto per confortare i colerosi”. Raffaele nato a Eboli, nel 1821, sposò Teresa Costa ed ebbe tre figli: Francesco Paolo, Donato che prenderà il nome di Stanislao quando indosserà l’abito religioso e Antonio. La moglie morì molto probabilmente intorno al 1858. Raffaele nel 1860 si risposò in seconde nozze con Maria Giuseppa Merola, sua parente, e ci fu bisogno della dispensa papale per contrarre matrimonio. Dalla seconda moglie nascono Vincenzo, Giuseppe, Concetta, Maria e Teresa. Il 23 gennaio 1864 Raffaele Catoio è Consigliere Comunale. Muore nel giorno sacro all’Arcangelo Raffaele nel 1908, confortato dai SS. Sacramenti e dalla benedizione del Papa.
Francesco Paolo, il figlio primogenito nasce a Eboli nel 1851, fu battezzato nella chiesa di S. Maria ad Intra dal parroco Giuseppe Schiavone. Fu il primo sacerdote della famiglia ed anche maestro delle scuole elementari comunali. A soli 17 anni prese la patente di grado inferiore e in seguito quella superiore per insegnare. Il Comune di Eboli gli affidò giovanissimo la prima classe delle scuole elementari con più di cento bambini. Didatticamente doveva essere un errore, invece, si rivelò un vero bene per i ragazzi perché egli dedicò tutta la sua vita alle loro esigenze educative e formative. Della sua persona e dei metodi d'insegnamento molte furono le lodi dei professori dell'epoca. Il prof. Vito Elefante così scrisse di lui: “Rammento un prete, il pio Francesco Paolo Catoio il quale, mingherlino, ilare, col viso sempre atteggiato al sorriso, sincero, affettuoso, non istava, quasi mai, seduto in iscuola; girava torno torno ai banchi; e a chi dei suoi alunni rivolgeva un benevole sorriso, a chi una parolina di ammonimento, a chi un'occhiata di rimprovero ... E in un modo o un altro, il suo insegnamento riusciva proficuo e salutare abbastanza”. Il giovane sacerdote, attirava al suo seguito tanti ragazzi che lo seguivano nella chiesa di S. Bartolomeo (distrutta in seguito dai bombardamenti del 1943), da lui scelta ad oratorio. La sua opera non si fermò solo all'insegnamento nella scuola e in poco tempo fondò la Pia Unione dei Luigini, chiamata così in onore di S. Luigi Gonzaga. Con l'aiuto della Confraternita dell'Immacolata Concezione che mise a disposizione il proprio oratorio, i Luigini si riunivano ogni domenica e per la loro formazione fu stampato anche un manualetto. La Pia Unione fu approvata e incoraggiata dall’arcivescovo di Salerno mons. Valerio Laspro che la fece affiliare alla Primaria di Roma. Nel Venerdì Santo del 1878 i Luigini fecero la loro prima comparsa nella tradizionale processione del Cristo morto: erano vestiti da chierichetti con un medaglione aureo al collo e reggevano i fiocchi della bara. Francesco Paolo, seppe sviluppare i sentimenti e l’intelletto dei ragazzi con la musica che adoperò con vera perizia pedagogica. Musicò il Rosario dell’Immacolata sui versi del sacerdote ebolitano don Fedele Giarletta, l’inno a S. Luigi, una Messa, le strofe per le tre ore di agonia di Gesù, che furono cantate per la prima volta nella chiesa della SS. Trinità comunemente detta di S. Antonio. I Luigini, usavano il canto nella festa annuale della Premiazione e nei trattenimenti ricreativi del Carnevale dove si affermavano come abili attori in dialoghi e barzellette composte dal loro fondatore. Francesco Paolo morì giovanissimo il 30 dicembre 1881 e il sindaco di Eboli in un manifesto lo definì “educatore dei figli del popolo”, e don Vito La Francesca nel discorso di commiato proferì: “La scuola non fu per lui soltanto il libro e la materia che insegnava, ma la viva parola del maestro che vivificava lo spirito dei suoi alunni”. La sua opera fu continuata dai fratelli Antonio e Vincenzo, ma il tutto terminò quando l’oratorio dell’Immacolata Concezione fu distrutto dai bombardamenti dell’ultima guerra.
Era impiegato alla Prefettura di Salerno quando conobbe il venerabile padre Ludovico da Casoria, fondatore dei Frati Bigi. L’incontro avvenne probabilmente ad Eboli quando il venerabile agli inizi del 1870 si recava in un piccolo ospizio da lui fondato nel convento di S. Pietro alli Marmi, oppure quando svolgeva esercizi spirituali nella chiesa parrocchiale di S. Eustachio e nella chiesa delle Benedettine. Per dimora abituale il beato padre Ludovico nei suoi soggiorni ad Eboli usava una cameretta posta vicino al campanile della chiesa di S. Pietro alli Marmi, fornita solo di due tavole con pagliericcio, un tavolino e il Crocefisso. A ricordo è stata murata dai frati Cappuccini di Eboli nel VII Centenario Francescano, una lapide con la scritta: QUI / IN UMILE CELLA / IL VEN. P. LUDOVICO DA CASORIA / NEGLI ANNI TRA IL 1870 E IL 1880 / VENNE PIU’ VOLTE / A MEDITARE OPERE DI CARITA’ / SORRIDENDO ALLA NOSTRA TERRA / DONDE TRASSE ALL’APOSTOLATO / IL P. STANISLAO CATOIO / SANTA PRIMIZIA DEI FRATI BIGI / CELEBRANDO IL VII CENT. FRANCESCANO / EBOLI VOLLE RICORDARE. Donato prese l’abito bigio della congregazione nel 1874, nella Casa del Deserto di Sorrento con il nome di frate Stanislao. Nel 1877 chiedeva all’arcivescovo di Salerno il permesso di ascendere agli ordini sacri come si evince da un suo esposto: “Frate Stanislao di San Luigi, dell’Ordine dei Frati Bigi, dipendente dal padre Ludovico da Casoria, chiede di essere ammesso agli esami e, se riconosciuto idoneo, di ascendere agli ordini sacri”. Nel 1879 è ordinato sacerdote dall’arcivescovo Valerio Laspro. Nello stesso anno, padre Ludovico gli affida a Roma nel rione Esquilino, le scuole per il popolo, che resse per circa trent’anni. Padre Stanislao prestò la sua opera apprezzata e stimata al servizio dei giovani in tempi tristi in cui, soppressi gli ordini religiosi, i genitori non sapevano a chi affidare i propri figli per un’educazione morale e religiosa. Il frate ebolitano, tanto amato sia dai superiori sia da tutto il popolo, dopo una lunga malattia si spense a Roma in concetto di santità il 20 febbraio 1909, alle ore 20,20. Egli fu assistito nelle sue ultime ore di vita, nella Pia Casa dell’Immacolata, dal fratello Vincenzo e dal Superiore Generale di Napoli Padre Bonaventura Maresca da Napoli, successore di padre Ludovico da Casoria. Egli prima di morire per quattro ore estatico, con gli occhi fissi in alto, dialogava con la Madonna e gli Angeli. “Amare Gesù, amare Maria! Ah, non ho fatto male ad amare la Madonna, Madre di Grazia!”. Queste e tante altre parole infuocate uscivano dalla sua bocca mentre stringeva forte al petto il Crocefisso. Quando si sparse la voce della sua morte, fu un continuo accorrere di persone che volevano vedere per l’ultima volta le amate spoglie del “Santo”. Alcuni anni dopo la sua scomparsa si diffuse in Eboli la voce della possibile apertura di un processo di beatificazione, cosa che non è mai avvenuta.
Fu anche cappellano delle Monache benedettine di Eboli. Il suo apostolato e la sua persona sono ricordate ancora con tanta benevolenza. Si conservano nel Monastero ebolitano, come reliquie, dei suoi indumenti ed alcuni oggetti personali. Don Vincenzino, morì in Eboli il 3 dicembre 1953 ed ancora oggi è ricordato con tanto affetto dalle persone che lo hanno conosciuto. Le spoglie di Francesco Paolo, Antonio e Vincenzo riposano nella cappella della famiglia Merola nel Cimitero di Eboli. |
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